XXIX Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Quanto adesso scrivo è ampiamente narrato  nel mio libro  “Ho vissuto la vita-Ho vissuto la morte”(Armando Editore)ed anche nel libro “La memoria dei ricordi”, stesso Editore. Da Elsa De Giorgi, e da me, venivano tutti, a tavola, nella piccola camera,molto stretti spesso: Rafael Alberti  il premio Nobel  Michelangel Asturias con la moglie, De Chirico con la consorte, Renato Guttuso con Mimise, Agostino D’Avack con la maestosa consorte,una volta venne anche il figlio Massimo,ah ecco Carlo Levi, sicuramente Carlo Levi, una sera arrivò Pietro Nenni, venne Moravia,Pasolini, spesso,  non ¨ che si parlasse di questioni gravi, ma erano personaggi con imprese già compiute, durevoli, e taluni valevano di certo. De Chirico, alto, silenziosissimo, capelli  lattei, pelle raffinata, avorio, impettito, nel libro  scrivo di episodi umoristici che ebbi con De Chirico; Guttuso in agitazione costante, fumava, beveva, avido di femmine; sereno, almeno all'apparenza, Rafael Alberti, amichevole, espansivo, mi dedicò la Prefazione al libro di poesie “Il silenzio”, edito da Samonà e Savelli. Pasolini incontrava da noi personalità  cattoliche, in specie Monsignor Fallani, che aveva incarichi decisivi, Pasolini ne bisognava per la distribuzione dei suoi film. Assistevo più che partecipare, in tensione, bastava  uno spiffero e poteva scatenarsi la tempesta, il che spesso da Anna Magnani, dalla quale ci recavamo quasi settimanalmente, tra Anna ed il figlio o qualche ospite  non di rado screzi, ed ANNA NON SI FRENAVA. Di circostanze ne vissi stravaganti, la moglie di Giorgio De Chirico sempre a parlare, piccola, trattava malissimo De Chirico e sonoramente, con un De Chirico che sembrava non ascoltarla e addirittura non vederla. Guttuso, se eravamo ai ristoranti, circondati di ragazze, metteva le mani sotto  la tavola chissà dove, e Mimise fingeva di non vedere e con gli occhi alquanto deformati da un incidente fissava in lontananza. Rafael Alberti era un amichevole, diffuso conversatore, conosceva il mondo, esule dal franchismo, andammo insieme ad Elsa e la consorte di Rafael, bellissima, in Francia,  credo che Rafael parlò sempre, con verve e tante vicende. Molti di quei personaggi erano interni alla storia, storia vivente. In Francia Rafael mi disse che avremmo fatto visita a Picasso, che ebbe malesseri, e non realizzammo l’aspettativa. Ma gli innumerevoli casi del periodo li ritraggo nei libri su detti, ritengo la più estesa e diretta , realistica cognizione di personaggi  in ogni caso ragguardevoli o. comunque, riconosciuti.

Elsa De Giorgi non rinunciava alle amicizie ed alla vita socializzata.Oltre le cene riceveva.Sperimentate vicende da ammattire, procedeva. Il coniuge sparito  senza motivo  o per motivi criminali, lei reputava, Calvino che l’abbandona nel momento più derelitto della condizione che Elsa subiva, la madre impazzita , follemente innamorata di   un altro  uomo non resse il tradimento, le male azioni di chi vedendo Elsa caduta cercava di scalciarla,i processi  che il suo spirito reattivo cagionava, e sia, combatteva,scriveva su di un quotidiano di Genova, socialista, la feci collaborare al Pensiero Nazionale, le feci pubblicare il romanzo “Storia di una donna bella”( Samonà e Savelli), avrebbe avuto tali esiti anche senza di me. Io vivevo parossisticamente, mi svegliavo all’alba, per viaggiare a Rieti, insegnavo al Liceo Storia e Filosofia, a Roma insegnavo Sociologia delle Forme espressive nella Scuola di Perfezionamento in Sociologia e Ricerca Sociale, Facoltà di Statistica, La Sapienza, successivamente alla Facoltà di Sociologia, in via Salaria, inoltre conobbi per mezzo di Massimo D’Avack, figlio del Rettore dell’Università di Roma, La Sapienza, un sacerdote,  Sante Montanaro, amante della letteratura, dell’arte ,della cultura, intrinseco a Paolo VI, al dialogo con i non credenti.  Monsignor Montanaro era sostenuto anche da una signora, Maria D’Ambra, siciliana di Lipari stabilita a Roma. Montanaro, firmandosi Naro Damonte, dirigeva una eccellente rivista “Opera Aperta”, che proponeva il dialogo tra comunisti e cattolici o, meglio, credenti e non credenti. Scrivevo ne L’Unità, Paese Sera, Mondo Nuovo, Il Pensiero Nazionale,  Revue International de Sociologie, Lo Spettacolo, della SIAE, pubblicai il volume di poesie “Il Silenzio”, avevo il contratto con la Mondadori per condurre insieme a Vasco Pratolini il percorso della società letteraria italiana dall’Ottocento alla metà del Novecento. Il periodo era decisivo. Il proletariato aveva  conquistato il grado di classe importante sia nel consumo,sia nel farsi valere difendendosi, sia in rami del tutto rivoluzionari, sia addirittura in settori terroristici, eversivi. Nel tempo la ramificazione consumistica ebbe prevalenza, ma si ancorò a precisi diritti che permettevano il consumo, l’acquisto della casa, far studiare i figli, sovente il passaggio da sottoproletario a proletario, da proletario a piccolo borghesi. Il terrorismo, salvo da infiltrazioni equivoche, nacque per dissolvere l’integrazione da benessere, per suscitare crisi,  e ridare posto alla rivoluzione. Ma, ripeto, l’integrazione consumistica vinse: più produzione, più consumi, più profitto, più investimenti, più occupazione, più consumi…Sembrava la perfezione della ruota, il moto perpetuo.Io non ero e non sono contrario al consumismo,che, del resto, rimpiangeremo, ma compresi che il proletariato aveva poco o zero da proporre, non era la classe della civiltà prossima, non “superava” la borghesia. Siamo agli inizi degli anni Settanta e avvenne qualcosa che cambio segnò alla mia mia vita. Collaborava a L’Unità, pubblicai il libro:”Contro la ragione. Il marxismo tra il sesso e la morte”(scrivo a memoria, posso alterare qualche data ma la sostanza è precisa). Fui recensito in maniera polemica appunto su L’Unità. Mi ero  convinto che il proletariato  non sarebbe stato la classe  alternativa alla borghesia, definii la questione in un testo  su “Critica Sociologica”, di Franco Ferrarotti, rimango a favore del proletariato per il benessere ma non suscita una diversa civiltà meno ancora elevazione culturale. Inoltre non risolvevo la condizione esistenziale dell’uomo nella storia, meno ancora nella classe , esisteva, esiste  l’Io come Io,   la morte , l’amore,  la solitudine il sentimento dell'io. Di sicuro vi sono modi di valutazione ma non coglievo che ipotesi realistica fosse concepire una società in cui l’uomo non soffriva di morire, quasi che la morte costituisse una condizione storica superabile da un mutamento sociale(tornerò sull’argomento).Avevo “scoperto” che  Marx non considera la morte come evento personale ma della specie, ne dirò. Insomma nel marxismo non vi era posto per la tragicità della morte individuale. Assurdo. Al dunque, rivalutavo la presenza dell’individuo. Non mi restava che allontanarmi dalla sinistra. Alfredo Cattabiani pubblicò un dialogo con me a proposito nella rivista Il Settimanale, la Sinistra mi rinnegò almeno quanto la rinnegavo io.

Con la Mondadori  in linea di massima il lavoro procedeva,a nostra disposizione   la più valida casa editrice d'Italia e tra le massime d'Europa e del mondo.A Milano con Vittorio Sereni  e a Roma  Niccolò(o Nicolò)Gallo, Rea,  dirigente a via Sicilia,tutto il personale della sede, tutti a nostra disposizione,  facevano vari incontri per noi, anzi per me,presentai Opera Aperta, mi  ospitavano in ogni  manifestazione. Comprendo ora come si “lancia” una persona rendendola personaggio. E’ faccenda rilevantissima. Con Vasco Pratolini  a casa sua o alla Mondadori , quotidianamente. La nostra Opera  non avanzava bene  Pratolini era incupito dai suoi romanzi,  “La costanza della Ragione”, “Allegoria e Derisione”, “Lo Scialo”, come detto la cronologia non è sempre oggettiva, forse stiamo nella seconda metà degli  Anni Sessanta.Mi pare fossero una trilogia i romanzi di Pratolini,ioncupito dalle vicende personali  complicate da  Elsa   De Giorgi,la quale riceveva ospiti, litigava,  si faceva abbindolare nei processi  e molto molto troppo possessiva, indagatrice, sospettosa nei miei riguardi, non  la situazione migliore . Qualche interesse di troppo per qualche donna, la domestica, una signora, docente, Tecla S., ne scriverò nel libro che sorgerà da queste narrazioni, Lei, Elsa, si impaniava con attorucoli  giovanissimi per la tendenza a fondere amore materno con amore, e  scadeva nel ridicolo drammnatico. Si reputava giocatrice di complicazioni sentimentali  come una salottiera del XVIII secolo, ma finiva nella rete che gettava, e soffriva più di quanto supponeva di far soffrire. Non era uno spettacolo da guardare che patisse per qualche scugnizzo. La mia natura protettiva cercava di tutelarla, la mia voglia di vivere la distanziava. Distacco, ritorno, il rapporto non era continuabile. Qualche pacificazione, al Circeo,  due villette, un'altra l'aveva donata alla segretaria di Giulio  Andreotti per la faccenda Contini Bonacossi. Al Circeo villeggiava Anna Magnani, ci incontravamo come a Roma, vi era  il compositore Goffredo Petrassi, accanto a noi la proprietaria dell’Aperol, veniva anche un architetto di nome, Antonio Valente, la campagna, il mare, quanto di più rasserenante la vita consentisse, affacciarsi e vedere, e odorare i mirti, e nutrirsi di colori, un bel vivere, proprio la vita. Il rapporto con la Natura modifica l’esistenza e fa sentire la vita.

Mi dedicavo minimamente a scrivere l’opera per la Mondadori, scrivevo cose mie, mi dedicavo alla scimmietta Pepè, la quale si impossessava dei miei capelli e rifiutava di essere spostata, mezze giornate ovunque andassi. Pensavo di avere molto tempo, al momento avrei fatto quanto non facevo   Quando si è aiutati, pagati largamente, tutti a disposizione vi è, o per me vi fu, scaduta della volontà. Inoltre, vita tumultuosa,e del resto mi affidavo a quanto già scritto nel “Saggio sulla letteratura italiana attuale” su Nuovi Argomenti. Sebbene squassato da vicende private alla fine il lavoro lo concludemmo. E ne provennero eventi da non credere,non li vivessi io.Pratolini  pubblicava i libri, i romanzi che combinavano la sua trilogia, salendo da ceti inferiori alla borghesia, al modo di Giovanni Verga.I libri furono annientati  con dispregio e dai giornali di sinistra. Vasco essiccò, proprio un ramo verde che  intisichisce a sterpo da bruciare. Gli venne a cessare il nutrimento, secco, arido, rimpiccioliva, strascicava, incurvato, il volto sminuiva, gli occhi dilatavano sgomenti. In questa situazione di desolazione si alletta e non ci incontriamo alcuni giorni. Mi reco ad  incontrarlo. Vuole parlarmi. Rimane a letto. E’ un quarto del Pratolini  Pigola pigola più che parlare. Mi porge un foglietto. Ha inviato senza dirmelo una lettera ad Arnoldo Mondadori  dicendogli che non è in grado di continuare il lavoro  e lo vorrebbe affidare al  suo amico  studioso  documentatissimo di letteratura,  Ruggero Jacobbi. A Milano  è il panico, se Pratolini ritira la firma un testo Jacobbi/Saccà differenzia da un testo Pratolini/Saccà. Monda<dori invia immediatamente Vittorio Sereni, lo incontro, mi pare che sospetti un  litigio tra me e Vasco Pratolini ma si avvede che Pratolini è semispento. Ci viene scritto che l’opera  ha difetti di “parlato” o non ricordo che. Non si pubblica. Dicevo: incredibile, la vicenda. Infatti. Pratolini il testo lo aveva concluso, bastava che dichiarasse di volere Jacobbi come ausilio Ma era angosciatissimo, ai confini della perdita mentale.  Ritengo temesse altri giudizi mortiferi. Ma chissà, forse Jacobbi lo spinse all’errore. Chissà. Io disgraziatamente non possiedo il mio testo, forse la Mondadori l’ha nei suoi sterminati archivi.Non era opportuno incontrare Vasco in quelle condizioni e dopo l’assurdo gesto rovinoso. Lo rividi quando morì Niccolò Gallo, un uccelletto. Dopo anni, morì. Io vivevo, una vita non tranquilla.

 

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