XXVII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

un antenato materno di Antonio Saccà,
medico al servizio a corte del vicerè delle Due Sicilie

Quanto  narrato ultimamente considera la mia vita a Roma, comunque al di fuori della Sicilia e dei miei parenti. Ma la Sicilia esisteva, e la mia famiglia assolutamente.  E se mutava la mia vicenda, mutava anche la vicenda dei miei familiari. Non mi sfuggiva occasione per tornare a Messina e dai  familiari. Ritrovavo me stesso, davvero la familiarità, mio fratello, mia sorella, la sorella dal secondo matrimonio materno, mio patrigno. Franco, Caterina(Katia), Anna(Annuccia), li vedevo al presente e li univo al passato, ne ripensavo memorie, e quando nella lucentissima stanza con  tendine trinate, mia madre seduta all’altra parte del tavolo intarsiato di cristalli, giungeva mio fratello, con i  passettini cauti avendo piedi minuscoli rispetto al corpo, o mia sorella Caterina, Anna stava in casa, rinascevo, mi colmavo della loro presenza e dell’intero passato, il passato nel presente, la vita nella vita. Sul tavolo la lettera che avevo inviato a mia madre quando mi stabilii a Firenze. Nella mia famiglia avvenivano  cambiamenti, dicevo. Annuccia  cresciuta e cresceva, perduto non soltanto la bambinaggine grassottella,  diventava una signorinella, snellita di molto , alta, ben vestita, era venuta con mia madre qualche anno prima quando stavo a Firenze , fui già sorpreso di un inizio di mutamento. Mia madre minimamente imbianchita , energica come sempre, forte nel corpo e nella volontà. Madre. Ma tant’altro  diverso  dal mio tempo trascorso lontano. La casa. Abbandonata quella piccola, modesta ma dentro me finchè vivrò, la casa del cortile, la casa dei compagni di infanzia, di Toruccio, Antonio, Antonello, i Ferrara, gli Azzarà, i Calapso,  la venditrice di impiastri, di Nico, dove siete, è tutto spento, chi vive ignorando che io ho vissuto in quelle stanze?Il cortile esiste ancora, i bambini giocano nel cortile, ed il torrente, ed il Ponte Americano, e le colline, e le serenate notturne? No. Ora vi è un’altra abitazione, ampia, una scaletta dentro il portone, finchè visse, anche a cent’anni, mia madre quando tornavo mi aspettava davanti alla porta di casa, e la guardavo, vecchissima, fiera, dignitosa, mia madre, la persona che ho massimamente stinato. Ingresso, una stanza,  un minimo corridoio, a sinistra un saloncino stanza da pranzo, poi l’ampia cucina, poi la stanzetta dove dormiva mia madre e cominciava il lungo corridoio, a sinistra una camera, quindi la camera  di mia sorella Annuccia, finiva il corridoio, a sinistra, qualche metro, il bagno, ma il corridoi raggiungeva il luogo solenne, il gran salone, proprio un gran salone, specchiere, poltrone dorate, vasti divani, e ritratti di persone che mia madre reputava personaggi e nostri antenati. Balconcini in ferro ornavano la facciata esterna, persiane verdi, in legno . Ah, sì, vi era anche un bagnetto accanto alla cucina ed alla stanza di mia madre. Salendo altre scale l’esteso terrazzo, ed  il porto, ed il mare, e  le colline presi volgendo lo sguardo, ed i tetti delle altre case.

 Io e mia madre facevamo narrazioni nella sala da pranzo, lei su una sedia poltrona, non mi guardava, di fianco ,io dall’altro lato del tavolo, e dicevamo dei miei viaggi, dei miei libri, dei parenti,  degli amici rimasti a Messina. Dei vivi, dei morti, delle vicende. Come sparivano  gli esseri umani, come il silenzio  annullava l’esistenza, come lunghe esistenze si dissolvevano interamente! Tornavo per le festività ,Natale, Capodanno, Pasqua, con me  Enrica, e dopo Enrica , Elsa.  Enrica piaceva  a mia madre, la ragazza semplice, onesta,, affezionata, secondo mia madre, e secondo verità, Elsa non le gradiva , agitata, di altri mondi sconosciuti a mia madre, e  incredibilmente essendo lei, Elsa, bisognosa di madre avendo patito una tragedia con la madre, forse per bisogno di aver madre chiamava madre mia madre, o per immaginare una famiglia, a mia madre disturbava e molto l’essere presunta madre di una persona  di non  tempi lontani dai suoi, si giudicava invecchiata, e mia madre non voleva invecchiare né apparire vecchia,, tutt’altro, affidò il suo aspetto ad un ritrattista, e scrisse le memorie dopo gli ottanta anni, no, non voleva e non era madre di Elsa, persino a cento anni, persino giorni prima di morire, persino ore prima di morire pensava al nostro futuro, per l’eternità madre.

Mia sorella maggiore, Caterina, ebbe due figlie,  Irene ed Ermanna ,poi nacque un figlio che nel tempo apparve magnificamente , forte volto, poderoso busto, ,disgraziatissimamente  quasi rettiliforme nelle gambe, spina dorsale bifida,  si dice. Gaetano  cresceva, apparentemente non se ne angosciava del male, parlava divertito, raccontava con quel magnifico buste eretto che lo faceva sembrare alto da seduto, a muoversi come se strascicasse la parte inferiore del corpo. Se non angosciava se stesso, almeno a  stargli  accanto, angosciava mia sorella ed il coniuge. E tutti i familiari. Altro dolore, precocissimo dolore, la consorte di mio fratello, una donna semplice, operosa,  madre,  moglie, per tali fini viveva, tali fini adempiva, Apprendo che ha un male , il male, quello che si univa alla morte. Si cura, non rinuncia a badare ai figli, persino lavora,   senza dare aspetto di malattia, o parlarne, o esigere compatimento, conforto. Talvolta  le cure la stroncavano. Terrea, silenziosa, in un angolo, rincantucciata, lasciava scorrere i giorni, e poi tentava di vivere. Era un Natale o comunque festività, e Lei volle che lo svolgessimo a casa sua. Io tornai in Sicilia, mi pare con Elsa, non sempre i tempi che riferisco sono  veritieri, i fatti senz’altro. Aveva il turbante, per la caduta dei capelli, terrea, il grigio terreo, gli occhi larghi e derelitti, qualche parola, poi se ne rimase in un angolo, silenziosa, ogni tanto uno stentato sorriso per segnare che era presente, ci salutava, era con noi, ma era anche un addio, aveva richiesto i parenti per  l’addio, un addio fraterno, come fosse un saluto per un incontro festivo, tramutò la festività in addio, anzi l’addio in festività. Ecco, tutti i parenti, ecco, mia madre, dispiaciutissima,, e mio fratello suo coniuge, che forse anzi di certo aveva inseguito altre donne e tuttavia la amava, e diverrà un padre materno nel segno della consorte-, à  in silenziose mettere la morte ripeto Non dare questa impressione addirittura peste sapendo . Fu l’addio. Io partii. Qualche settimana e ne appresi la morte. Aveva qualche anno più dei quaranta.

Accosta vicende che non si sono attuate in epoca identica, discostate di qualche anno, ma non alterano la loro esistenza.  E questa vicenda si prolungò. Tragicamente.  Mio patrigno era un funzionario di rilievo nell'istituto Autonomo delle Case Popolari. Aveva prediletto un suo collaboratore per motivi che ignoro. Forse per l'anarchismo che  il mio patrigno considerava suo dovere sociale contro i malfattori, i corrotti,  effettivamente agiva secondo giustizia, e ne faceva polemica e discorso, inviso certamente a chi non retto non lo era. Colui che egli prediligeva, un giovane alto, di buona famiglia, magnifica moglie , comprese che la parte dei malfattori prevaleva, faccio supposizioni credo verosimili, E i malfattori lo ricompensarono, addirittura non dico scavalcò ma comunque pareggio mio patrigno, addirittura spossessarono  mio patrigno di ogni minima funzione.  Ed erano compiti  consistenti, assegnazione di case, ricostruzione, il dopoguerra.  Totalmente spossessato di compiti. Un giorno, io ero a Messina, tornavo, andai nel suo ufficio, il tavolo spoglio, neanche un foglio. Annientato, ingannato, tradito. Cominciò litigi, accuse, scriveva, scriveva, il mondo nemico, vendicarsi, già in rissa con la società corrotta ora ne ebbe ragioni personali e accertate. Scriveva, scriveva. Spero pagine salvate. Ne subì percosse la salute. Quando ero Messina si nascondeva da me, una volta che lo vidi, magrissimo, naso beccuto, occhi sprofondati  e smorti , mia madre lo sosteneva. Mia sorella Anna si era già sposata, mio patrigno faceva tutto per lei. E mentre mio patrigno moriva mia sorella era sul punto di generare. Io vivevo tutto da lontano. Ma dentro di me era come viverlo immediatamente. Sia la vita, sia la morte. Gli altri in noi. La vita.La morte.

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