UN ASPRO CANTO, di Francesca Simonetti

 

          

 

 

           In questa silloge, Francesca Simonetti esprime una poesia “nuova”, intensa, di forte carica emotiva, intrisa di mestizia, di rabbia e di dolore contenuti. È “un aspro canto” perché la parola “dolce e possente” non riesce a mitigare il dolore, è sovrastata da tanta tragedia umana, dal «male di vivere» di fronte al quale nulla può l’indifferenza montaliana; infatti, “siamo ancora dolenti per le nuove guerre (…) per il mondo immerso nella morte del pensiero”. Difficile è cantare in un mondo, dove è quotidianamente perpetrato lo “sterminio della bellezza”, e tuttavia la nostra poetessa non  appende la cetra «alle fronde dei salici» perché, come espressamente dichiara, “la fede ancestrale / l’amore” delle persone care le fanno “da faro / nelle alterne tenzoni” della vita. L’attualità col suo carico di  violenze contro le donne e i bambini, di odio, d’indifferenza verso i nuovi migranti, di tante vite innocenti naufragate nel Mediterraneo, irrompe come un fiume in piena in questa raccolta, dove forte e costante è la ricerca della bellezza, dove l’amore, la solidarietà, la pace si traducono in parole e immagini scolpite potentemente contro il “frastuono del tempo / che ingoia l’odio e l’amore”, contro le “beffe / (di) quel destino che torna ricorrente / ignoto ed infinito come gli uragani / o i maremoti”. Altri temi sono: la memoria degli “anni / dileguantesi come farfalle silenziose”, la vita rivissuta come un viaggio, come un treno ora fermo su un “binario in disuso” e che è mosso solo dai ricordi, da “fardelli di ritrovati sogni”, il pensiero della morte, legato inevitabilmente al tempo che si accorcia, e la lotta per non essere “schiava della paura”, per sopravvivere, “ogni giorno” allenandosi “per incontrare il sole”.  In questa silloge, lo spessore del pensiero è in stretta simbiosi con i sentimenti più alti che la poesia permea di sé ed eleva fino a una sommessa preghiera per la salvezza dell’uomo e del mondo riposta in un “Dio (che) si nasconde nelle pieghe / dei cuori e attende”, e che, dunque, nonostante tutto, ha fiducia nell’uomo. E se Dio ha fiducia, allora non può venire meno la speranza in un tempo migliore, in una “dimensione nuova dell’esistere”.

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