Riflessioni sul dipinto “Alice dentro lo specchio” di Francesco Maria Cannella - di Vinny Scorsone

 

Vivo in una dimensione sospesa tra la vita e il sogno. Lo specchio, un tempo portale amico tra due mondi, si è cristallizzato impedendomi ogni movimento.
Sopra la mia testa (o forse nella mia testa), sento il bianconiglio scavare: mi sta cercando. In un tempo ormai lontano, mi sono lasciata cadere infinitamente nella sua tana alla ricerca, alla scoperta dell’altra me. Sono fuggita in un pomeriggio assonnato e non mi sono più ritrovata. Prigioniera dei miei pensieri, delle mie inesattezze, vivo intrappolata dai riflessi, sotto la coltre di una vita sfuggitami. Mi sono spinta troppo oltre, troppo oltre ho atteso e il portale si è richiuso. Il piccolo uscio, che un tempo mi ha fatto intravedere il giardino, è ormai sigillato. “Aprimi!” mi grida, ma io ho perso la chiave. La scacchiera, che un giorno ho percorso su di un treno, si sta ora dissolvendo togliendomi ogni punto di riferimento.
La vita ha segnato, come solchi, le mie riflessioni ha tagliato le mie vene e la linfa che ne è fuoriuscita ha generato radici, ma nulla si è mostrato in superficie. In superficie tutto è rimasto silenzioso, vuoto, inerte come se io non ci fossi. Nessuno mi vede, attraverso lo specchio, eppure io esisto. Una fioca luce mi disvela agli occhi di chi ascolta. Come “macchia” che si allarga sullo specchio, il mio silenzio si fa assordante lasciandomi sola. Le mie innumerevoli parole si sono taciute e io ho smesso di darmi consigli. So chi sono, anche se non riconosco il mio riflesso. Quel volto non mi appartiene più così come i miei occhi. Rimango in attesa di ciò che sarà, galleggiando nel mio stagno di lacrime che ancora mi accompagna.
“Alice dentro lo specchio” non è solo il titolo di un quadro di Francesco Maria Cannella di cm. 150x100 realizzato nel 2018, ma anche una superficie riflettente l’animo dell’artista.
Inizialmente, il dipinto si offre muto allo spettatore. L’aspetto trasandato e decadente della tela si pone come un’ouverture dell’opera stessa. I pensieri che si aggrovigliano nella parte superiore della tela hanno un sentore di terra bagnata, la stessa terra che smuove e scava il bianconiglio, traghettatore di uno spirito irrequieto in un luogo altro che è quello dell’inconscio e della scoperta del Sé. Un luogo immaginario, ma ben reale nella mente umana, dove far convivere due parti di una stessa anima. La rabbia, la delusione, la solitudine emergono dal fondo del dipinto azzerando ogni emozione in un distacco lacerante dalla propria esistenza. Lo stesso modo di stendere il colore rimanda a certa pittura gestuale che caratterizzò artisti come Hartung o Vedova, eppure l’opera è silenziosa, avvolta in una solitudine esasperante, orfana di ciò che fu, non è e non potrà mai più essere. Creata in un momento particolare della vita dell’artista, essa offre una chiave di lettura già nel titolo e il rimando a Carroll è evidente sin dalla porticina (irrimediabilmente chiusa) in basso a sinistra. “Open!” grida, (ricorderete certamente la bottiglietta con su scritto “bevimi” e il pasticcino con su scritto “mangiami” nei quali si imbatte Alice nel primo capitolo di “Alice nel Paese delle meraviglie”), ma noi siamo troppo sordi per ascoltare il grido dell’artista. Altro riferimento visivo, questa volta riferito ad “Alice attraverso lo specchio” (sicuramente più immaginifico e surreale del primo), sono i segni sulla tela che rimandano alla scacchiera in cui si imbatte la giovane protagonista. Cannella, però, contrariamente ad Alice, non riesce ad attraversare lo specchio, anzi ne rimane intrappolato, in compagnia di fantasmi interiori che gli suturano il cuore e mettono il suo animo in tumulto. Imprigionato in una sorta di limbo, il dipinto appare in attesa di ricongiungersi alla parte mancante di sé. Lo sguardo del fruitore dell’opera vaga nel vuoto, nell’apparente trasandatezza della realizzazione di essa che inizialmente ne respinge la visione, quasi come se il dipinto urtasse la parte più intima dell’inconscio di chi osserva. Ed è qui che il gioco di specchi avviene. Lo spettatore diventa parte attiva dell’opera stessa trasferendo in essa le proprie ansie e paure, indeciso se lasciarsi catturare o negarne la presenza.
Riprendendo digitalmente il dipinto, Cannella nel 2022 ha realizzato un’elaborazione grafica dello stesso. In essa i colori deflagrano sulla superficie accendendola di nuova vita. Il bianco, che prima riempiva lo spazio facendolo divenire vuoto interiore, ora si carica della forza degli azzurri mentre la terra del conscio si fa nuvola vagante sui bagliori di una nuova alba accecante.
Il dipinto, quindi, cede ora il posto alla sua rielaborazione. Il tempo è trascorso, la vita si è mutata. Questa nuova versione di “Alice dentro lo specchio” riannoda le trame, ricuce gli strappi. Il colore vibra sulla superficie e i vuoti sono parzialmente colmati. Ogni elemento persiste, ma nulla è come prima. È una “elaborazione del lutto” junghiana questa nuova visione digitale, un processo di crescita in continua mutazione che ben si riallaccia ai corti di video-arte realizzati dallo stesso artista. La luce, difatti, si riappropria dello spazio e ritorna ad essere parte attiva nel processo di creazione.
Dipinto e rielaborazione condividono il medesimo spazio: due facce della stessa medaglia, due aspetti di un unico processo vivifico (presente anche nei suoi scritti) che trae forza dalla riappropriazione del proprio percorso interiore in cui “fantasmi”, perdite, rabbia e nuove albe stanno ricominciando a convivere sostenendosi vicendevolmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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