"Trasmutazione e ricerca della materia in Giovanni Leto” di Giovanna Cavarretta

L’excursus artistico di Giovanni Leto si contraddistingue per una profonda capacità critica accompagnata dal valore di una costante ricerca del mistero dell’esistenza. L’incessante fluire nell’arte di forme poetiche desunte dallo studio di un nuovo e ricercato linguaggio espressivo è avvalorato dal fine di oltrepassare i confini di una logica comune, glissando parametri e schemi già desueti. Sin dagli anni della formazione, prettamente caratterizzati da singolari esperienze creative, distinte dai riferimenti al Figurativo e all’Arte Informale, si evince un percorso volto al superamento di dettami ormai storicizzati. Le opere sono caratterizzate da composizioni che rasentano il limite con il figurativo ma tese quasi alla dissoluzione degli elementi rappresentati. La tavolozza cromatica, infatti si fonda sul tema del chiaroscuro, arricchita dall’uso di materiali extra-pittorici quali le terre e gli smalti sempre più presenti negli anni a seguire. La grande svolta nella trasmutazione e ricerca della materia avviene intorno al 1985. Le cornici dipinte e fasciate evidenziano infatti quel processo di grande trasformazione degli elementi in superficie necessario per dare l’avvio all’indagine per una spazialità “Altra”: una rinnovata visione già resa concreta nel ciclo “Orizzonti”. Ogni opera riceve l’impronta del suo artefice identificandosi nella materia, luogo di una strutturalità dove la trasmutazione del dato sensibile ne costituisce lo scopo ultimo. Interpretare, rielaborare la realtà avviene mediante il riutilizzo di carta e di giornali che, arrotolati, vengono disposti in maniera orizzontale o comunque in modo asimmetrico sulla superficie del quadro. La sperimentazione di spessori tattili della carta stampata viene così reinventata attraverso una manualità, che assume le connotazioni di un rito: il rito della creazione. Un territorio che accoglie le diverse combinazioni, qualificandole, tramite la sovrapposizione di giochi geometrici, come operazioni estetiche seguendo una procedura tecnica, finalizzata alla pura manipolazione della materia. Sono composizioni scaturite dalla tensione di dati compatti che, dipanandosi sulla tela insieme ad intense cromie, danno vita ad una struttura tridimensionale. L’intento di fondare una semantica conforme ai nuovi principi, induce Leto ad affinare il connubio tra fisicità e spazio, cosicché l’opera scende dalla parete ed invade lo spazio. Le forme hanno una loro essenza, generata dall’intuizione intellettuale e prendono corpo e significato filosofico nella ripetizione originale di un’incostante ordine ben configurato. E il senso insito altro non è che reinventare la materia per trasferirla “altrove” e cioè nel sottosuolo di un’immaginazione che affondando le proprie radici sulla personale concezione dell’arte si esprime come libera funzione conoscitiva. La volontà di delineare inediti contenuti estetici affranca l’artista da un modo di concepire l’arte come espressione dell’epoca storica o dell’ambiente sociale nella quale viene realizzata. Pertanto, i punti di analisi si spingono nella direzione di un linguaggio laddove viene espressa in una libera dialettica fra innovazione e tradizione. L’opera così diventa testimonianza del fare un’esperienza individuale e reattiva per i contenuti sociali e i messaggi che il suo artefice a volte scrive all’interno dei “salsicciotti”. Un pensiero che s’ingloba nel sistema del sapere che superando il meccanismo della convenzionalità, quale un dis-velamento posto quasi a garanzia di valori etici e culturali in una società dei consumi divenuta specchio e verità di un’Umanità in declino. L’operazione concettuale trova il suo culmine nell’opera “Corpus Temporis”, pietra miliare dell’esposizione “Ritratto D’Ignoto” presso la Cappella dell’Incoronata a Palermo (2019): è il preludio di ulteriori e rivoluzionari inizi del cammino artistico-estetico di Giovanni Leto. L’installazione era costituita da una serie di involucri cartacei, che pendenti dal soffitto e sorretti a mezz’aria da fili di nylon, si libravano in estrema libertà come sospesi “nel tempo e nello spazio”, lasciando intuire come il corpo in balia del tempo ne subisca una profonda trasmutazione. Le informazioni contenute nei fogli di giornale si consumano, sbiadiscono parole, eventi e concetti che dapprima, contenitori vivi di esistenze o accadimenti, ora assumono la valenza dell’Oltre. Presenze scarne, spoglie di significati, corpi divenuti prima scheletri e poi polvere che lo spazio assorbe e disperde. L’opera sembra svanire nel Vuoto, in quella dimensione “Altra” dalla quale Tutto, forse, si origina o si ricrea. Sublime e non imbevuta di ascendenze metafisiche, essa conteneva al suo interno i fondamenti di un’imminente evoluzione. L’arte di Giovanni Leto non riflette il reale, ma una rielaborazione dettata da umori tattili e dall’esigenza di intervenire allo scopo di modificare ciò che già esiste. Il punto cardine di questa metamorfosi risiede nel dualismo conoscitivo di dissoluzione e ricreazione dell’oggetto, la cui attività di pensiero si espleta nell’invenzione di ulteriori composizioni mediante un “linguaggio non verbale”. Nelle tele la disgregazione del dato cartaceo, rimaneggiato ad una condizione di indistinzione, segna il punto di arrivo di una prospettiva inedita basata sul connubio di segno e gesto che, de facto, determina il superamento della precedente dimensione espressiva. L’aspetto dicotomico assume un ruolo peregrino ma non marginale. La ritualità del processo manuale sembra ora coniugarsi al gesto pittorico, esplicitato nelle vaste campiture di colore che invadono con intensità la tela. Il dato materico ritraendosi quale retaggio di un “segno” antico, lascia pertanto che la superficie sia copiosamente pervasa dall’assenza, da una quasi totale mancanza di dati sensibili e percettivi. L’opera risulta intimamente modificata nella struttura compositiva e mette a fuoco un originale principio di essenzialità. Come un alchimista, Leto opera una trasmutazione sostanziale per la qual cosa l’opera non è più data quale risultato della somma delle parti bensì dall’insieme, da quel Tutto, fonte generatrice ad acta. L’instancabile impegno analitico e il rigore critico costituiscono i fondamenti per la continua riflessione sulla natura dell’opera d’arte, nonché sul dialogo fra materia e colore in stretta relazione con la nozione di Tempo.

Da: "Insight", gennaio 2024

Pin It

Potrebbero interessarti

Articoli più letti

Questo sito utilizza Cookies necesari per il corretto funzionamento. Continuando la navigazione viene consentito il loro utilizzo.