"La Presenza Invisibile" Introduzione di Gonzalo Álvarez García a "Fine dei giochi [ 2015 - 2018 ]" di Francesco Maria Cannella (Ed. All'Insegna dell'Ippogrifo)

Poche settimane fa venne a trovarmi una persona diversa dalle mie abituali frequentazioni di novantacinquenne: giovane, barba folta. Aria - vagamente -, del “68”. Amici in comune: Aldo Gerbino, Tommaso Romano, Maria Patrizia Allotta, Vito Mauro...

Giovane, scrittore. Completamente sconosciuto. Cosa sorprendente in una città non eccessivamente popolosa come Palermo, dove gli uomini di cultura, bene o male, si incontrano. Ovvia in una società “multitudinariamente” sola e, in più, super-civilizzata, dove l’arte di “leggere” tende a scomparire mentre cresce smodatamente la professione di “scrittore”.

Abbiamo conversato per un’ora buona, del più e del meno. Mi lascia alcuni libri già pubblicati e altri in preparazione. Sta ultimando una plaquette mista - poesia e prosa -, e vorrebbe alcune parole di presentazione.

La sera stessa inizio la lettura di “Per obliquo rumore”, un suo volume di Poesia, piuttosto corposo, pubblicato nel 2018, e rimango stupito. Tutti i giorni incontriamo poeti, ma un vero Poeta non lo si incontra tutti i giorni.

C’era un non so che in quelle pagine. Una presenza? Sì. Una specie di presenza invisibile che si piantava davanti a me e mi fermava, e mi costringeva a leggere con calma, a rileggere le righe che avevo appena finito di leggere, a sudare per poter accedere al suo mondo ombroso, alla sua oscura trasparenza.

La lingua letteraria di Cannella non è improvvisata. Si sente l’odore delle cose possedute da lungo tempo, ereditate. Dice ciò che vuole dire e nasconde ciò che intende nascondere.

È schietta. Non ricorre a contorti giri di parole quando deve nominare cose che il Padre Eterno ci regalò con divina semplicità e perfezione. Non ha bisogno di quelle comiche forzature tanto usate alcuni decenni fa dalla nostra “classe dirigente” infantilmente bigotta, che vietava l’uso della parola “membro” nelle sedute del Parlamento o gridava allo scandalo se si trovava a passare nelle vicinanze di quel geniale cartellone di Fellini “Beviamo più latte!”, mentre solitariamente, dalla finestra della propria camera da letto, esplorava avidamente con il binocolo ogni piega del superbo corpo di Anita. Insomma, dice pane al pane e cazzo al cazzo - se occorre -, come usava fare nel Cinquecento Michel de Montaigne, Magnifico-Maestro nel pensare e nel dire.

Certe venature del suo stile mi riportano cento anni indietro, ai tempi augurali del “surrealismo” di Federico García Lorca, il Poeta, e Salvador Dalí, il Pittore, quando parole come “bello” e “brutto” non avevano alcun significato:

“...Filastrocche e balocchi pingui / agitano le pareti come a dover mentire / in silenzio”. (Cannella - La Stanza di Proust).

“...Canto tu corazón astronomico y tierno, / de baraja francesa y sin ninguna herida”. […Canto il tuo cuore astronomico e tenero / di carte francesi da gioco senza alcuna ferita]. (Federico García Lorca - Ode a Salvador Dalí).

Non so se l’accostamento è pertinente o eccessivo. Forse è soltanto una forzatura, provocata dal fatto che quando iniziai la lettura di “Per obliquo rumore” avevo appena finito di leggere un altro vecchio libro delizioso: le lettere di Salvador Dalí a Federico García Lorca.

Sono convinto di una cosa. La Presenza Invisibile che si aggirava tra le pagine mentre leggevo la poesia di Cannella costringerà un giorno o l’altro i critici a concedere alle sue raccolte poetiche e ai suoi romanzi l’attenzione che, a mio avviso, meritano.

 

 

LA STANZA DI PROUST


[…] poiché tutti viviamo di stelle spente.
Cristina Campo, Poesie sparse, ottobre 1958.

I soffioni cadono traversi
e s’impigliano si rialzano grevi

L’arredo si svuota da sé e l’imago
traslucida permane invariata

Filastrocche e balocchi pingui
agitano le pareti come a dover mentire
in silenzio -

                        fuori dalla caverna
 
 
 
 
 

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