Contro tutte le “censure”. L’orgoglio di una memoria condivisa – di Mario Bozzi Sentieri

Dino Cofrancesco,  professore emerito di Storia delle Dottrine Politiche dell'Università di Genova, oggi presidente dell’Associazione Culturale Isaiah Berlin, non può essere certamente  annoverato nella schiera dei “nostalgici”. Di cultura liberal-socialista è però laicamente contrario al “politicamente corretto”, a cui oppone una integrale difesa della libertà e quindi del pluralismo culturale.  Senza se e senza ma, potendosi così  permettere di sparigliare il campo delle vecchie appartenenze ideologiche. Ivi comprese quelle che – da sinistra – hanno condotto (e vinto)  la guerra della memoria, a partire da quella locale. 

In una corrosiva nota, pubblicata su  “il Giornale del Piemonte e della Liguria” (”Genova cominci a ricordare i suoi geni”), Cofrancesco  nel denunciare le “dimenticanze”, rilevate su “il Dizionario degli scrittori liguri”, sottolinea  come esse  non siano casuali, quanto piuttosto – come ha peraltro scritto in premessa  il coordinatore dell’opera Francesco De Nicola – nascano “dal giudizio di chi non rinuncia a esprimere le proprie valutazioni nel compilare un dizionario, opera apparentemente solo informativa”.

In buona sostanza: la memoria è mia e la gestisco io. Con il risultato di vedere letteralmente “censurate” figure eminenti della Storia non solo locale, ma nazionale. Su Genova Cofrancesco indica, ad esempio, figure come Gianni Baget Bozzo, geniale polemista d’indirizzo cattolico; il regista Pietro Germi, una delle icone del cinema italiano; il filosofo Giuseppe Rensi. Ancora più gravi le assenze  – tra le tante –  di Giovanni Ansaldo, grande firma  del giornalismo italiano del ‘900, e di Vilfredo Pareto, uno dei padri delle moderne scienze sociali.

“Come mai – si chiede Cofrancesco -  la Superba ha dimenticato queste sue glorie e, in particolare, Pareto, che tutto il mondo intellettuale ci invidia ? Forse per entrambi hanno giocato posizioni politiche che non rientrano nel mainstream ideologico della sinistra, tant’è che nessuna via, piazza, scuola pubblica è stata dedicata ai due immortels genovesi. E’ vero che non possono rivendicare meriti ‘resistenziali’ (Pareto, tra l’altro, morì nel 1923) ma la cultura politica di un popolo che si rispetti rende omaggio a tutti i suoi geni, conservatori o progressisti che siano”.

La denuncia di Cofrancesco non vale  solo per il capoluogo ligure. I tanti troppi nomi “dimenticati”, nella memoria e nella toponomastica delle nostre città, sono le vittime di una visione della Storia e della cultura a senso unico, a cui è tempo di porre rimedio. In ragione – sia chiaro – del valore di quelle  figure, della loro grandezza civile e spirituale, non certo di un’appartenenza settaria.

Emblematico il caso di Giuseppe Mazzini,  recentemente denunciato da  Achille Ragazzoni, in un’intervista a  Barbadillo.it (“I 150 anni della morte di Mazzini? Occasione perduta”, a cura di Michele Salomone). L’emissione di un francobollo e le poche iniziative istituzionali dedicate, nel 2022,  ad uno dei padri del Risorgimento, qual è Mazzini,  confermano la disattenzione verso personaggi che rappresentano – dovrebbero rappresentare – un patriottismo senza compromessi e le “ragioni” profonde dell’unità nazionale finalmente compiuta. In  questo caso – denuncia  Ragazzoni – è il Risorgimento ad essere stato mandato in soffitta. Le cause ?  “Nel secondo dopoguerra il potere reale, prima ancora che politico, è stato preso da forze che avevano tutt’altre radici o che, addirittura, erano eredi delle forze che il Risorgimento avevano combattuto. Con la scusa dell’antifascismo, promosso magari da persone che erano state fasciste estremiste quando ciò poteva portare qualche vantaggio, mentre antifascisti seri (che erano stati antifascisti quando esserlo era pericoloso…), come Randolfo Pacciardi, avevano fatto un bel fregaccio sui non pochi torti subiti in passato e invitavano tutti a rimboccarsi le maniche per ricostruire l’Italia sconfitta, si coprirono di una patina negativa valori come l’amor di Patria, il senso del dovere e della disciplina, insomma tutto ciò che ci rende diversi dai quaquaraquà magistralmente descritti da Leonardo Sciascia”. 

Dalle denunce di  Cofrancesco a quelle di Ragazzoni, dalle tante storie locali alle più vaste vicende nazionali, il senso della sfida è sempre lo stesso: “avere rispetto” per la memoria, nel segno di una visione non formale dell’identità nazionale, vista quale proiezione delle figure esemplari della nostra Storia.

Ad esse  è tempo di dare degno riconoscimento. E non certo per un formale ricordo, quanto per “ricucire” le ragioni  di un’appartenenza  spirituale. Abbiamo bisogno di esempi positivi, di figure emblematiche a cui guardare per evitare  la “cancellazione” di una memoria, anticamera dello  sradicamento collettivo. Ne hanno bisogno soprattutto le giovani generazioni per “ritrovare” con i “geni” della nostra Storia il valore di un futuro, da costruire con orgoglio. A chi crede in  questa “aspettativa”, a chi vuole farsene concretamente carico, di scoprire, città per città, borgo per borgo, le zone grigie di una Storia da ritrovare, nelle sue figure  eminenti. A chi ha responsabilità amministrative e politiche di dare rappresentazione pubblica  alle glorie delle tante storie italiane. Ne va del nostro futuro.

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