“L’arte globale della fiction nazionalpopolare” di Carmelo Fucarino

Tutto è possibile in questa società della bruttura e del pessimo trash (non quello di Andy Warhol), del crepuscolo degli dei, della scomparsa per avvelenamento delle ideologie. In una società di partiti personali e della ristrutturazione di alcuni che pretendono di non esserlo. A parte la trasformazione del Movimento 5S in partito, fa sbellicare dalle risate la volontà del salvatore del PD Letta davanti alla “vergogna” espressa dal suo ex-segretario, io dico della sua incapacità e fallimento. Secondo lui la prova del rinnovamento del partito consisterebbe nel mettere qualche donna in posti chiave, punta a ricreare il partito con un semplice collage pari opportunità. Se fosse così semplice viva le donne. Forse che il popolo di sinistra si era stufato proprio per questo? Che pena! E che miseri obiettivi per le allodole!
Questo breve preambolo per dire che come governo di questa società siamo messi troppo male. Perché è la società che è in agonia, il modus vivendi che ormai è globalmente avvelenato.
È la società civile che si mostra pienamente adeguata a questi campioni delle fakes e dei mezzibusti televisivi che sfilano nella ossessione quotidiana dei cosiddetti  media e ancor più nei social, eletti ormai tutti ad esperti virologi. Ormai preferiscono l’epigrafe del cinguettio apodittico di Twitter. Tale società può essere trattata per quello che è e che si merita. Svuotata di cultura e quasi analfabeta così ridotta per principio assiomatico e per volontà di potere. Così si governa ormai in modo assoluto (dal latino “sciolto”).
Un caso eccezionale ne qualifica il livello, lo sceneggiato Leonardo, presentato come la meraviglia dei kolossal in una serie di puntate televisive. Certo, noi siamo nati e siamo stati allattati con lo straminio dei colossal biblici e peplum, l’apripista I dieci comandamenti di Cecil De Mille con Charlton Heston, Yul Brynner e Anne Baxter (1956), il Ben-Hur (1959) ancora con Ch. Heston, il Mosè (1974) con Burt Lancaster e Irene Papas, Mariangela Melato e Michele Placido. Era l’esperimento del grande schermo del Cinemascope e di altri espedienti stereofonici. E siamo stati subissati dal mito di Ercole con qualcosa come trentadue titoli dai più classici ai più estrosi come Ercole al centro della terra (1961) o Ercole contro Roma (1964) o addirittura un Ercole a New York (1970). Però parallela c’era la televisione dell’acculturazione popolare. E non mi riferisco solo al maestro Manzi per gli assoluti analfabeti di nascita e crescita, ma anche ai laureati che lo erano ritornati presi dal gioco aberrante del consumismo e del boom economico. Fu allora la RAI di Ettore Bernabei, di rinomata pruderie sessuofoba alla cattolica, famosi i pantaloni alle gambe dei tavoli, ma geniale e immenso per la formazione culturale dell’Italia post-bellica. Furono allora strumento di cultura gli inventati sceneggiati, che come esplicita il termine, mettono in scena i capolavori della letteratura italiana, ma anche mondiale, dai Promessi sposi al Mulino del Po, come Guerra e pace e Anna Karenina, dei Fratelli Karamazov o Madame Bovary, ma anche della divulgazione del teatro con artisti mostri, i mattatori del tempo, e un arco che andava da Eschilo a Brecht e Dürrenmatt al difficile Beckett, a Capote. Il mito biblico era rimasto allora intoccabile, di Ercole si poteva dire quello che si voleva tanto era un eroe del mito pagano. Così le varie agiografie del Cristo in cui nessuno si sarebbe azzardato ad inventare miracoli horror. Eppure. Aveva avviato la dissacrazione ad uso popolare cinematografico il sanguinolento trucido Mel Gibson nel 2004 con Jim Caviezel e Monica Bellucci negli antri di Matera. Si utilizzava la moda alla Dario Argento, ma la trama evangelica restava solida. Era la meraviglia degli “effetti” visivi e sonori. Eppure questa recente ultima Pasqua anche questo confine è stato varcato. L’ammiraglia RAI1 ci ha proposto un mirabolante Risorto, presentato come thriller, un altro documento della nuova TV specializzata nel settore di intrattenimento a base esclusiva di polizieschi, gialli, horror e thriller. Anche i talk show si servono di questi ingredienti e il COVID si offre nelle forme dell’orrido e del macabro con le sfilate di carri militari di bare. Nel giorno della Resurrezione RAI1 ha proposto il suo thriller osceno, un’indagine stile poliziesco sul trafugamento del cadavere del Cristo. Ci sono stati restituiti dai rotoli del Mar Morto passi di Vangeli apocrifi. E c’era tanta materia dalla celebre Maddalena di Dan Brown. Ma non è stato ritenuto sufficiente. Si è preferito inventare di sana pianta un’altra storia con un iniziale sgozzamento e sventramenti da parte di legionari romani fra pale di fichidindia davanti le mura di Gerusalemme ai tempi di Tiberio. L’orrido di Gibson era nulla, qui un truce legionario commosso dalle sofferenze del Cristo, gli spezza le gambe e lo trafigge. Dopo queste scene di gratuita violenza si avvia l’indagine legionaria sulla scomparsa del cadavere di Cristo, tra taverne di avvinazzati e postriboli, le spiate e la cattura della Maddalena. Fra le parti orripilanti il disseppellimento di cadaveri puzzolenti da una fossa comune alla ricerca di quel Joshua crocifisso dalle gambe spezzate con la daga, il macabro grondante sangue alla Dario Argento. Tutto risolto nella parte edulcorata del miracolo dell’ultima cena in un sudicio rudere di casa inventata e la fuga dei dodici tra gole e deserti, con mistione di abbraccio del lebbroso e di pesca miracolosa, tra sorrisi melensi di connivenza degli apostoli. E l’ascesa dell’uomo barbuto fra pullulare di polline su un orizzonte di luce. Se si è arrivati all’invenzione della Resurrezione del Cristo che da 2021 anni è stato sancito dalla vulgata dei quattro Vangeli sinottici di tutte le chiese cristiane, che impressione potrebbe farci, l’invenzione della biografia e dell’attività di Raffaello, proposta sempre in un Kolossal serial di quattro puntate dalla solita RAI1 nazional-popolare, protesa ad emulare le floride tv commerciali private. Perché mentre per le private conta il budget, per la nostra emula conta l’audience a qualunque costo. Perciò non condurre nel sublime ed educare, formare il cittadino alla conoscenza e all’interpretazione della verità, ma scendere al livello bruto del cittadino ormai senza cultura. Anche le scelte in percentuale dei votanti indicano quanto siano capaci di avviare un giudizio critico della realtà. Gli opion-maker di un tempo ormai sono sostituiti da più subdoli manipolatori che ti promettono e fanno credere il paradiso in terra. È stata tale la mostruosità della mistificazione che nello strumento di acculturazione globale di Wikipedia si è sentito il bisogno di concludere la voce Leonardo (serie televisiva) con un’analisi episodio per episodio delle “inesattezze storiche” e degli “Errori ricorrenti nei costumi, nelle decorazioni e mancanze in generale”. Per chi vuol spassarsela consiglio la lettura. Ma non è questo il problema, anche i cowboy hanno portato l’orologio da polso.
La questione è più profonda e tocca la falsificabilità di una biografia, soprattutto di un personaggio storico di grande spessore. E diventa questione essenziale perché ormai questo appare l’indirizzo di tanta filmografia su sceneggiature inventate per esaudire le brame popolari. Strabiliante ed offensiva l’invenzione di una modella Caterina e del suo assassinio, sul quale ruota tutta la narrazione. Qui è evidente, come per quel Cristo involato, l’esigenza di andare incontro agli appetiti creati e assecondati del popolo, istruito  e non, con gli onnipresenti sceneggiati gialli, horror e thriller di basso consumo, le ormai internazionali sparacazzate.
Certo ci sono dei limiti  da porre alla credibilità e all’intelligenza umana. Non si può ricostruire un giallo sulla vita di Leonardo, creato sull’assassinio di fantasia di una modella inventata. Ma ormai la produzione seriale americana aveva raggiunto simili limiti. E per questa oscenità, non mi riferisco ai lunghi baci omo, a proposito di una denunzia anonima contro un Jacopo Saltarelli, ma alla invenzione tout-court per la quale si sono mobilitati Italia, Regno Unito,  Irlanda, Spagna, USA in un genere “drammatico, storico, in costume”, 52 minuti per otto episodi. A parte i barbuti e la lettera in inglese, per di più bruciata, è la storia che stordisce, un inquisitore che compare ad intercalare su una vicenda che sa di carnevalata in costumi anacronistici ed inventati. La fantasia allo sbaraglio per sbalordire i gonzi.
A me piace ricordarlo come lo presentò Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574), quasi suo contemporaneo (15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519): «Grandissimi doni si veggono piovere da gli influssi celesti ne' corpi umani molte volte naturalmente; e sopra naturali talvolta strabocchevolmente accozzarsi in un corpo solo bellezza, grazia e virtú, in una maniera che dovunque si volge quel tale, ciascuna sua azzione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti gli altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa (come ella è) largita da Dio, e non acquistata per arte umana. Questo lo videro gli uomini in Lionardo da Vinci, nel quale oltra la bellezza del corpo, non lodata mai a bastanza, era la grazia piú che infinita in qualunque sua azzione; e tanta e sí fatta poi la virtú, che dovunque lo animo volse nelle cose difficili, con facilità le rendeva assolute. La forza in lui fu molta e congiunta con la destrezza, l'animo e 'l valore sempre regio e magnanimo… Et avendo uno intelletto tanto divino e maraviglioso, che essendo bonissimo giometra, non solo | operò nella scultura e nell'architettura, ma la professione sua volse che fosse la pittura» (p. 562-63). Vasari avrebbe dovuto certamente parlare o  semplicemente accennare a questa sua presunta scelta sessuale. Certo che un po’ di sesso diverso fa effetto, anche se impossibile dimostrarlo e in mancanza di un outing impossibile per i tempi, data la pesante condanna. Si potrebbe anche dire che non era ed è di obbligo citare le tendenze omosessuali degli artisti. Oggi va di moda per ragioni di parte, a giustificare un diritto da sbandierare o da denigrare. E può diventare prova una personale divinazione di Freud a caccia di complessi e devianze, con le sue diverse interpretazioni, partendo dal ricordo infantile del nibbio (“Un ricordo d’infanzia di Leonardo Da Vinci”, Eine Kindheitserinnerung des Leonardo da Vinci, 1910).
Nel complesso non mi è neppure chiaro cosa vuol dire questo pot-pourri e cosa c’entri in tutto questo tramestio il genio di Raffaello o il suo vissuto quotidiano, segno della perenne insoddisfazione e dell’incompiuto, che non toccava solo la pittura, avendo iniziato la sua esperienza con la musica e lavorato molto anche e in sommo grado come “ingegnero” ante litteram.
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