“La sinistra “scopre” (a suo modo) l’emigrazione italiana” di Mario Bozzi Sentieri

Per decenni la difesa degli italiani all’estero è stata una battaglia identitaria ad esclusivo appannaggio della destra politica. Figura emblematica di questa battaglia  Mirko Tremaglia, che fino alla sua scomparsa (avvenuta il  30 dicembre 2011) è stato un  insostituibile punto di riferimento delle nostre comunità all'estero in tutti i continenti, dall'Europa, alle Americhe, all'Asia, all'Africa, valorizzandone gli organismi rappresentativi e rivendicandone, con orgoglio,  le radici culturali.

Ministro, tra il giugno 2001 ed il maggio 2006, di un dicastero intitolato proprio  “per gli italiani nel mondo”, durante il governo Berlusconi, dicastero poi soppresso alla fine del suo mandato, Tremaglia fu artefice nel 2001 della  legge “per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero”.

Questa autentica passione di Tremaglia per l’emigrazione italiana  risaliva al  1963, allorquando era  andato in Eritrea per cercare la tomba del padre caduto in guerra e una volta trovata, rimase stupito: "Non conoscevo nessuno là - raccontò - ma sulla lapide c'erano dei fiori freschi, deposti dagli italiani rimasti in quei luoghi". Da lì iniziò la sua battaglia  politica per dare voce ai tanti connazionali che risiedevano all'estero.  Fino ad arrivare alla creazione  di un ministero ad hoc e all’istituzione della “giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo” da celebrarsi ogni 8 agosto in memoria del Disastro di Marcinelle, avvenuto nel 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier nel Belgio, che contò 256 morti, di cui 136 immigrati italiani.

Oggi della conoscenza dell’emigrazione italiana sembra volersi interessare anche la sinistra, ovviamente a modo suo, con tutte le strumentalità e le  banalizzazioni che le sono tipiche e con il solito fervore “educativo” che sembra caratterizzare le sue ultime iniziative. Ne è un esempio significativo la proposta di legge (n. 525, a firma Fabio Porta ed altri) intitolata  Disposizioni per la promozione della conoscenza dell’emigrazione italiana nel quadro delle migrazioni contemporanee.    

Già il richiamo alle “migrazioni contemporanee” dà il senso del tentativo di assimilare un’esperienza storica, risalente alla seconda metà dell’Ottocento e poi proseguita nella prima metà del Novecento, in contesti ben diversi da quelli attuali, alla realtà contemporanea, quella dei migranti in fuga dall’Africa, su instabili barconi ed in balia di vere e proprie organizzazioni criminali.

Palese il tentativo di creare il classico corto circuito culturale, allorché, quando si parla di    “contenuti e metodologie del progetto nazionale” (art. 2) si pone l’accento su “ l'apprendimento dei diversi aspetti della storia dell'emigrazione italiana e dei fenomeni di nuova mobilità nel quadro delle tematiche relative alle migrazioni, intese quale elemento significativo e ineliminabile dell'età contemporanea”.

Come dire:  le migrazioni sono tutte uguali. Il che evidentemente non è, nella misura in cui le modalità migratorie sono state ben diverse rispetto a quelle attuali (pensiamo ai controlli in partenza dai Paesi d’origine e a quelli dei luoghi di sbarco, alle modalità di viaggio, alle quarantene) e alla composizione sociale dei migranti.  L'emigrazione italiana è stata peraltro un'emigrazione di lavoratori, spesso qualificati, di artigiani e di imprenditori, certamente anche di braccianti, mentre non si può affermare la stessa cosa dell'immigrazione odierna verso  l’Italia.

Che, nella proposta,  ci siano evidenti interessi strumentali emerge anche dall’art. 4, laddove, al fine  di incentivare la partecipazione degli istituti scolastici alla realizzazione del progetto e l'impegno a conseguire risultati efficaci e qualificati nell'attività di ricerca e di formazione, si prevede l'istituzione del premio nazionale “Migranti come noi”, riservato a classi e a istituti scolastici che si siano particolarmente distinti in tali attività. “Migranti come noi”, in sintesi: tutte le migrazioni sono uguali e vanno accettate come tali. Discorso non nuovo questo, continuamente riproposto, almeno dai primi anni '90,  ed ora messo al centro, con una certa spregiudicatezza,  dell’ennesimo “progetto educativo”, che scantona completamento dagli orientamenti della proposta   (Disposizioni per la promozione della conoscenza dell’emigrazione italiana) utilizzandola strumentalmente.

Altra questione evidentemente è  dare agli studenti italiani  fondati elementi di valutazione storica, riconoscendo il valore di una memoria e il persistere, tra gli  italiani all’estero, di identità ben radicate. Qui sì che ci sono storie da cogliere e da valorizzare, esempi da portare all’attenzione collettiva, figure emblematiche che hanno fatto non solo la storia dell’emigrazione italiana, ma sono parte fondante della nostra Storia nazionale: nessuna confusione perciò, né “contaminazioni” irrealistiche, quanto il rispetto della verità storica.

La  realtà  autentica della diaspora degli italiani nel mondo è altra questione e la necessità di favorirne la conoscenza, in particolare tra le giovani generazioni, è evidentemente questione ben diversa rispetto ai tentativi di strumentalizzarne l’essenza, assimilandola alle “migrazioni contemporanee”. Assimilare storie e culture così diverse tra loro nulla ha a che fare con una memoria ed esperienze non assimilabili, mentre appare bene evidente il rinnovato interesse da parte delle diverse comunità di origine verso le proprie radici di appartenenza, i rispettivi luoghi di provenienza, i tipici  usi e costumi. A queste realtà bisogna sapere guardare, impegnandosi a saldare memorie e giovani generazioni, i figli dell’emigrazione italiana nel mondo e gli studenti italiani, uniti nella conservazione della memoria di una vicenda storica tanto importante, ben  radicata nel vissuto più profondo del popolo italiano: una sfida identitaria che va al di là degli anni trascorsi e

delle distanze geografiche. E che soprattutto non deve essere  strumentalizzata politicamente.

 

 

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