"Oltre la nazione, la patria" di Antonino Sala

A Roma sabato 28 e domenica 29 gennaio 2023 l’Istituto nazionale per la Guardia d’onore alle reali tombe del Pantheon presieduto dal capitano di Vascello Ugo d’Atri, ha festeggiato tra un tripudio di bandiere tricolori e una selva di labari azzurri, a cui hanno fatto da corona gli aderenti in alta uniforme (mantello con insegne e basco), i suoi 145 anni, peraltro portati benissimo. Alle celebrazioni ha partecipato il principe Emanuele Filiberto di Savoia, in rappresentanza del padre Vittorio Emanuele presidente onorario dell’Istituto, che ha reso gli onori al Milite Ignoto con la deposizione di una corona d’alloro all’Altare della Patria. Un momento sicuramente toccante per chi ancora crede nei patri valori, che è proseguito con un corteo molto ordinato fino al Pantheon, preceduto dalla Fanfara alpina tridentina “Walter Smussi” di Brescia, conclusosi con la santa messa in suffragio di tutti i re e le regine d’Italia.

Va inoltre rilevato che la processione civile si è svolta tra due ali di folla visibilmente commossa e composta e con la partecipazione di tanti sindaci ed altre autorità pubbliche. Questa bella manifestazione, organizzata nei dettagli grazie alla sapiente regia del presidente Ugo d’Atri e di tutti i dirigenti delle Guardie d’onore, offre l’occasione per una riflessione sul significato e sul valore del concetto di “Patria” e sulla differenza non solo nominalistica di quello, tanto in voga oggi, di “Nazione”. Anche se in qualche occasione tutti e due coesistono nello spazio e nel tempo, essi divergono per diverse accezioni. Intanto il primo etimologicamente deriva dal latino “pater” (padre) e dell’aggettivo “patrius” (paterno) ed indica il suolo natio, la cosiddetta terra dei padri, il luogo a cui gli individui si sentono intimamente legati per storia, tradizione, cultura, religione e ricordi.

Il secondo proviene anch’esso dal latino e precisamente da “natio” (nascita) e in questo caso si riferisce ad una comunità che condivide oltre alle stesse caratteristiche del precedente, anche quello di appartenenza di sangue ed eventualmente di condivisione di una stessa organizzazione statuale. È notorio che gli antichi romani distinguevano la “Patria” dalla “Nazione”, essi usavano generalmente la seconda per indicare le popolazioni straniere, barbare, alleate, ostili o sottomesse a Roma, unite da una componente familiare, anche se spesso non erano nemmeno dotate di un ordine politico articolato né di un livello di civiltà paragonabile a quello nato sulle sponde del Tevere. In contrapposizione a questo termine i “Quiriti” preferivano usare “Civitas”“Patria”“Res pubblica”“Urbs”. Ecco, sta in questo la principale differenza tra le due espressioni, anche se spesso oggi si usano a torto come sinonimi, ed è il livello di civiltà a cui si riferiscono: uno prettamente spirituale e l’altro più materiale.

Infatti la “Patria” non è solo quella terrena, legata alla propria appartenenza spazio temporale, ma è se vogliamo una via interiore, un luogo metafisico dove ritrovare sé stessi, in dialogo con i propri padri non solo biologici ma anche culturali. Essa diventa uno spazio quasi mistico, ideale, in cui ci si riappropria della propria anima profonda. È la galassia del “noi” ma come “io”, in guisa di tessera di un grande “Mosaicosmo”, così scrive il filosofo Tommaso Romano, che non si annulla nella massa informe, ma si esalta nella diversità, nell’individualità e quindi nella libertà. Scrive Johann Gottfried Herder nella seconda metà del settecento che “ogni nazione ha le sue ricchezze e proprietà dello spirito, del carattere come del Paese e il compito dello Stato è favorire ciò che giace in una nazione e destare ciò che vi dorme”. Da lì l’idea “totalitaria” di un’entità sovraindividuale che sprona e agevola e quella di una “nazione” che se ha un proprio carattere elabora anche una propria lingua con quella particolare caratterizzazione. Aggiunge il pensatore prussiano, “la generazione nazionale resta la stessa per millenni se non ha mescolanze estranee e opera con più forza se rimane avvinta alla sua terra come una pianta”. Discutibili considerazioni biologiche e culturali a un tempo, che unitamente a quelle statolatriche di Georg Wilhelm Friedrich Hegel hanno inconsapevolmente preparato le basi del successivo e nefasto nazionalsocialista.

Federico Chabod, nella sua importante opera “L’idea di nazione” afferma infatti “il secolo XIX conosce, insomma, quel che il settecento ignorava: le passioni nazionali. E la politica diviene con l’Ottocento assai più tumultuosa, torbida, passionale; acquista l’impeto, starei per dire il fuoco delle grandi passioni; diviene passione trascinante e fanatizzante com’erano state, un tempo, le passioni religiose. Ora, da che deriva questo pathos se non proprio dal fatto che le nazioni si trasferiscono, potremmo dire, dal piano puramente culturale, alla Herder, sul piano politico? Come abbiamo già più volte detto, la nazione cessa di essere unicamente sentimento per divenire volontà; cessa di rimanere proiettata nel passato, alle nostre spalle, per proiettarsi dinanzi a noi, nell’avvenire; cessa di essere puro ricordo storico per trasformarsi in norma di vita per il futuro. La nazione diventa patria: e la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità: e come tale sacra”. E in questo crogiolo tutto è possibile, in nome di un “totalitario” desiderio di unità e forza.

Certamente la coesione istituzionale della “Patria” è anche e non solo un fatto politico, come si legge in Niccolò Machiavelli, ed è un bene da tutelare difronte alle spinte centrifughe, che in verità sono state sempre operanti nei secoli, e rischiano oggi di disintegrarla. Ed è per questo che non bisogna sostituire il centralismo nazionale con quello regionale, contro cui peraltro si batterono in Parlamento Giorgio Almirante, Alfredo Covelli e Giovanni Malagodi, proprio in nome dell’Unità al momento dell’istituzione delle regioni ordinarie non previste nella Costituzione della Repubblica italiana. Peraltro un’idea federale non può prescindere dai principi di unità, sussidiarietà e solidarietà tra istituzioni, nel rispetto delle identità locali in nome di una comune appartenenza storica e statuale.

Ed è forse l’aspetto particolarmente patriottico che si coglie osservando la manifestazione dell’Istituto nazionale per la Guardia d’onore: un sincero ed imperituro sentimento di amore per l’Italia, che si rinnova da 145 anni difronte al “Tempio di tutti gli Dei”, il Pantheon, che ci lega ai padri della Roma antica e moderna, come il re dell’unificazione Vittorio Emanuele II, e che prescinde dalla forma istituzionale che essa ha poi assunto nel tempo. E così per un giorno ci si dimentica di essere guelfi o ghibellini, perché oltre la Nazione c’è la Patria: “Redenta ed Una”.

Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno, a le piaghe mortali

che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,

piacemi almen che ‘ miei sospir’ sian quali

spera ‘l Tevero et l’Arno,

e ‘l Po, dove doglioso et grave or seggio”.

Francesco Petrarca – Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)
 
in: "L'opinione delle libertà", 9 febbraio 2023
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