Sulle ingerenze storiche e sociologiche nella Biografia

di Giuseppe Bagnasco

 

   C’è una espressione nella lingua siciliana che alla solennità unisce la drammaticità del momento in cui viene pronunciata: “ Chi s’avissi a perdiri u me nomu si ..”( che si possa perdere la memoria del mio nome se ..) ecc. ecc..Un giuramento terribile se si pensa che viene messa in gioco forse la parte più essenziale del dopo-vita: la memoria. E non a caso nella mitologia greca, a madre delle Muse, cioè delle Arti che sono quelle che qualificano una civiltà, è posta Mnemosine (la Memoria). Senza di essa nessun popolo avrebbe la propria storia e le proprie radici, rappresentando essa il tramite tra il passato e presente. Senza di essa nessun uomo celebre sarebbe stato ricordato e di conseguenza mai sarebbe nata la biografia. E questo vale, con diversa valenza anche per l’uomo comune a cui soccorrono i parenti sia con l’ avvalersi del  necrologio su un qualunque giornale, sia con il potere fare pronunciare il nome dell’estinto durante l’Ufficio della santa Messa. Oppure, e questa è la soluzione di gran lunga più comune, il riportarlo sulle lapidi delle sepolture con tanto di foto.

  Ciò non vale per le cappelle monumentali dove sugli architravi viene riportato solo il nome del casato, mentre in quelle di ceto borghese, cosiddette gentilizie, si erge spesso una colonna di solito spezzata con l’effigie e il nome accompagnato da titoli più o meno nobili. Più giù la massa. E con ciò non intendiamo “massa” in senso dispregiativo, ma perché gli epitaffi sono massificati dal momento che riportano spesso sempre la solita frase commemorativa: “Sposo affettuoso, padre esemplare” o per la donna “ Sposa integerrima, madre virtuosa” o la frase già predisposta su targhette di ceramica e uguale per tutti: “Resterai per sempre nei nostri cuori”. Ma, incediamo noi, perché questo bisogno? Perché il sottolineare questi valori quando spesso non corrispondono alla realtà vissuta, cioè sono inventati? Soltanto, interpretiamo noi, perché detto sentire è inteso come un mezzo col quale nel tempo, venga ricordato al meglio. Solo qualche volta le parole hanno e danno un senso tali da offrire la possibilità di intravedervi come una microbiografia. Così è quando accade di leggere: “Stupì il coraggio, condusse con lealtà, vestì l’onore”. Eccoci di fronte ad un epitaffio in cui, come avverte Tacito, si può esprimere tanto con tanto poco.

     Per gli uomini illustri la Biografia non ha questo compito meta-spirituale giacchè rappresenta  non soltanto un tramite, ma un mezzo, con cui descrivere insieme alla vita, le loro opere e con esse un pezzo di storia patria. Infatti quando si narra la vita di un uomo illustre, inevitabilmente si narra e in un certo senso si glorifica anche la terra dei suoi natali. Natali che a volte vengono vantati da più di una nazione. Si pensi ad esempio alla querelle portata avanti per anni  da parte della Spagna per attribuirsi quelli di  Cristoforo Colombo. All’invenzione della scrittura, ultimo tratto di un percorso che dalla pittografia condusse prima alla ideografia e poi alla scrittura sillabica o monoconsonantica fonetica fino ad arrivare a quella alfabetica, si attribuisce la nascita della narrazione (con Esiodo) a cui  seguirono le leggende sui  miti e gli eroi (per attestare la nobiltà originaria del popolo greco), e l’inizio, non senza un accento agiografico, delle biografie “De viris illustribus”. Ed è su questo che Tommaso Romano, in “La colonna e il mare” (ISSPE- Palermo 2009) si sofferma quando afferma che “bisogna rifiutare ogni presupposto agiografico, ideologico o morbosamente scandalistico, giacchè è la persona umana che, cercando un senso alla sua esistenza, dà un senso alla Storia”.

   Qui, in questa sede, non vogliamo riproporre la sequela dei biografi degli uomini illustri, da Nepote a Svetonio, da San Girolamo a Petrarca, che nei vari campi, dal filosofico al militare, dal letterario allo scientifico, hanno dato l’alloro alle proprie Patrie. Tuttavia notiamo come ogni nazione, in senso più o meno agiografico, a volta sciovinistico, ha vantato biografie di propri figli valorizzando loro e se stesse. E così nel mondo antico, da Ione di Chio agli Alessandrini, comincia a fiorire uno stuolo di biografie che nel tempo confluiranno nella universale Biblioteca tolemaica di Alessandria. Scrigno e tesoro incommensurabile del sapere delle civiltà mediterranee e asiatiche, fu distrutta la prima volta dai romani che vedevano in essa una supremazia culturale su Roma, e in seguito dai conquistatori arabi. Due fatti esecrabili della cui portata ancora oggi non conosciamo appieno l’enorme danno arrecato alla conoscenza. Si pensi soltanto alle possibili notizie riguardanti la costruzione delle piramidi o alla chirurgia cranica e di cui ancora oggi ignoriamo i progetti e le attuazioni.

   Le biografie, come la Storia, devono essere spurie da tutto ciò che non può valere per comprendere le gesta di un grand’uomo, e soprattutto, al contrario, non devono ignorare o peggio ancora storpiare la verità dal momento che esse costituiscono una costola importante della Storia. E questo perché, al di là dell’evento storico, certo importante e definitivo, assume rilevanza il personaggio che l’ha determinata. Infatti, giusto per riprendere il leit-motiv della agiografica celebrazione dei 150 anni dell’avventura dei Mille, non possiamo non vedere come le innumerevoli biografie su Garibaldi, Bixio, Cavour e quant’altri, non ci sembra siano obiettivamente corrette. Nelle biografie dove nel tempo accanto agli eventi, si è dato via-via spazio alla centralità dell’uomo, sono stati messi in luce sia il tessuto sociale dove i futuri illustri vissero fin dalla giovinezza sia le particolari vicende che vi si inserirono. È dunque l’aspetto sociale, finanche di carattere familiare, che viene messo in relazione alle conseguenti azioni che essi intrapresero. Si pensi, ad esempio, a Giulio Cesare. Se non fosse stato oppresso dai debiti contratti per la scalata al potere, sarebbe partito per le Gallie nelle quali emerse il suo genio militare ma da dove portò via cinquantamila prigionieri da vendere come schiavi? E Alessandro di Macedonia, se non fosse stato convinto dalla madre Olimpia d’essere il figlio del supremo dio Ammon, per la qual cosa si riteneva  invincibile e destinatario dell’unificazione di tutti i popoli del mondo, sarebbe partito alla conquista dell’impero persiano con quarantacinquemila uomini contro un milione? e il giovane Napoleone avrebbe avuto dal Direttorio il comando dell’Armata d’Italia senza l’intercessione che la consorte Giuseppina de Beauharnais fece presso il suo ex amante Barras? o per tornare su Garibaldi, se da massone non avesse avuto il sostegno economico e politico delle varie logge italiane, europee e americane, avrebbe assunto la direzione di quell’accozzaglia di quei mille ladroni ( li definì così nelle sue memorie)  contro i centoventimila regolari dell’esercito borbonico?. E ancora, l’incorruttibile Robespierre educato alle idee del Rousseau, se non avesse avuto quel delirio d’onnipotenza giustizialista, avrebbe dato vita al “Terrore” fino alla decapitazione della “Nemica”, la regina Maria Antonietta, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, senza tema di emulare Enrico VIII d’Inghilterra? e Martin Lutero, se non ci fosse stata la peccaminosa corruzione della Curia romana e del Clero con la vendita delle indulgenze, avrebbe mai affisso alle porte della cattedrale di Wittemberg le sue 95 tesi teologali e dato inizio a quella Riforma che provocò lo scisma della Chiesa a cui poi seguirono le funeste guerre di religione? .E che dire delle epurazioni naziste degli ebrei che costrinsero gli scienziati da Fermi a Szilard, da Wigner a Teller, ad emigrare negli Stati Uniti per i quali ad Alamogordo costruirono quella bomba atomica che traumaticamente pose fine alla guerra col Giappone?. E Mosè, senza la persecuzione del faraone Ramses II, fino a quando sarebbe rimasto in Egitto?. Quando avrebbe condotto verso la Terra Promessa il suo popolo e ricevere da Dio le Tavole della Legge ?. Cosa veramente sarebbe accaduto se la peste non avesse falciato Pericle nel bel mezzo della guerra con Sparta?. E senza la caduta di Costantinopoli nel 1453, Cristoforo Colombo quarant’anni dopo, avrebbe cercato per mare la via delle Indie senza il probabile ausilio delle antiche carte nautiche arabe?.

   Tanti, come si vede sono i motivi per cui un uomo non è mai il semplice e l’unico artefice di straordinari eventi. Quali biografie sarebbero state scritte su questi interpreti e attori della Storia senza il verificarsi delle tante ingerenze e dei presupposti qui ricordati?. Pertanto quando uno storico si accinge a scrivere la biografia di un illustre, non può tenere conto, come prima avveniva,  solo delle sue azioni sia pure eccezionali, ma soprattutto di quanti ne ebbero a condizionarne la vita e le imprese, finendo con ciò finanche per influire sui suoi tratti comportamentali. Per questo non si possono escludere a priori quegli avvenimenti positivi o negativi che hanno inciso sul suo trascorso non trascurando il campo spirituale o quello  dell’indottrinamento. Così, ad esempio per i filosofi, sullo sviluppo delle loro teorie, non fu certo estranea alla loro formazione l’essere stati discepoli di una data scuola filosofica.

   Per quel che riguarda la biografia di un illustre nel campo militare, questa da sempre ha avuto maggiore risonanza e ridondanza rispetto a quella di un letterato o di un musicista, poiché un avvenimento politico-militare, naturalmente insito nella semiologia della Storia, finisce ineluttabilmente per incidere sul destino di un intero popolo. Ma anche l’illustre condottiero non conduce le sue gesta solo con l’istinto del suo genio poiché mai nessun uomo decide da solo e, se anche lo ignora, lo fa nel contesto di ciò che accade attorno a lui  o che è accaduto. Di ciò hanno fatto tesoro gli strateghi della guerra che si sono avvalsi dell’esperienza dei loro predecessori. E così dalla “falange” di Alessandro o dagli elefanti di Annibale è derivata la strategia della “marcia in colonna” dei battaglioni di Napoleone o 140 anni dopo quella delle divisioni corazzate tedesche nello spezzare lo schieramento nemico, agendo in profondità come una “force de frappe”. O, per rifarci ad una storica genialità strategica, all’ “ordine obliquo” del tebano Epaminonda che allo scontro frontale preferì la manovra accerchiante e di cui farà tesoro ancora Napoleone nel manovrare la cavalleria del Murat supportandola col movimento fulmineo dell’artiglieria come non si era mai visto o concepito prima. E che dire degli scienziati ? Non si servirono di esperienze maturate da chi prima di loro cercò senza successo un’invenzione o ci arrivò per pura casualità, come per la scoperta della penicillina o della pila elettrica? E degli architetti? La cupola a doppia volta del Brunelleschi non fece da battistrada a quella del Michelangelo?

    Di tanto e di tutto si servono i biografi nello stendere una biografia riguardante un illustre. Il dato che se ne ricava è che dal nulla non si crea nulla, ma da un piccolo evento, perfino da una curiosità si può aprire la strada per la scoperta di qualcosa di grande.  Ma al di là delle ingerenze fin qui esaminate e che costituiscono i paletti dentro cui si muove la storiografia, non possiamo escludere da questa analisi gli eventi interni, quei “moti personali” che incidono e condizionano la vita di un illustre. Parliamo dei sentimenti,  come motore della vita o della propria creatività artistica. Ci chiediamo: Giacomo Leopardi avrebbe scritto “A Silvia” se non si fosse innamorato della Teresa Fattorini e, se non ci fossero state quella siepe o quella antica torre, il Vate di Recanati avrebbe scritto ugualmente “L’infinito” o “Il passero solitario”?. E che dire di Cleopatra?. Di cosa si sarebbero occupati i suoi biografi al di là delle lotte sostenute col fratello Tolomeo per la conquista del trono, se non fossero entrati nella sua vita sentimentale quel certo Giulio Cesare o quel tale Marco Antonio?. E della contessa di Castiglione chi mai  ne avrebbe scritto se non fosse stata l’amante di Napoleone III, contribuendo col suo “sacrificio”, com’ella affermò più volte, all’unità d’Italia?.

   Possiamo quindi concludere che le biografie non sono il semplice racconto di una vita, ma assumono vastità e nobiltà nel momento in cui  si prendono in considerazione le “ingerenze” storiche e sociologiche che ne hanno condizionato il percorso. Ingerenze che riguardano sia i contesti sociali che politici in cui si svolsero. Ci riferiamo ad esempio alle guerre sociali tra Mario e Silla o tra Crasso e Spartaco per non citare quella siciliana tra Euno e le legioni di Publio Rupilio, spacciate queste ultime per guerre servili (cioè contro schiavi ribelli) come nel 1861 il governo piemontese spacciò per brigantaggio la resistenza opposta dai contadini e dai soldati rimasti fedeli alla monarchia borbonica. E a riguardo del contesto politico, la guerra civile inglese del 1642, quella americana del 1861 o quella messicana del 1911 o la russa del 1917 o spagnola del 1936 o ultima, in ordine di tempo, la guerriglia partigiana antitedesca del ’43-‘45 nell’Italia settentrionale, giusto per restare su quelle classiche. Altro sono le ingerenze riguardanti i contesti familiari. Un esempio per tutti: Se Santippe fosse stata una Aspasia, Socrate avrebbe trascorso gran parte del suo quotidiano fuori casa a meditare e dare vita a quella scuola di pensiero da anticipare concetti che apparterranno alla dottrina cristiana? E Raffaello, richiamando la dottrina filosofica, avrebbe mai dipinto nella “Scuola di Atene”  la disputa di Platone con Parmenide?

   Prima di finire queste note non può rimanere esclusa da queste la componente meteorologica. Le condizioni del tempo hanno spesso influito sull’esito di un avvenimento militare e pertanto sul destino dei suoi protagonisti e questo, sia che si trattasse di pioggia, di burrasche o di nebbia. Qualche accenno a memoria. Nel 1529 l’Europa di Carlo V rischiò di venire attaccata dai turchi se Vienna fosse caduta nelle loro mani. Ma le artiglierie pesanti di Solimano il Magnifico, a causa delle abbondanti piogge, rimasero impantanate nel fango e vennero pertanto abbandonate così da non permettere il loro impiego contro le spesse mura della città, con la conseguenza che il Sultano dovette ritirarsi dopo due mesi di inutile assedio. Nel 1588 l’ “Invencible Armada” navale del cattolico Filippo II, dopo scontri con la flotta inglese,  fu dispersa nel Canale della Manica da violenti venti avversi e da due tempeste, non permettendo così alle truppe del duca di Parma Alessandro Farnese (suo bisnonno era il Papa Paolo III  e sua zia paterna la “bella” Giulia amante di Papa Alessandro VI), stanziate nelle Fiandre, di imbarcarsi per invadere l’Inghilterra della protestante Elisabetta. Nel 1776, dopo la battaglia di Long Island, la nebbia salvò l’esercito di George Washington permettendogli di ritirarsi nell’isola di Manhattan e di costruirvi un muro nel luogo oggi chiamato Wall Street. Per non parlare della neve che decise il ritiro dell’armata napoleonica dalla Russia o della pioggia che a Waterloo ìmpedì per tre ore l’entrata in linea dell’artiglieria francese ritardando l’inizio della battaglia e di conseguenza a non poterla finire per tempo consentendo così al prussiano Blucher di raggiungere Wellington sul campo prima che calasse la sera (A me la notte! invocherà il Corso) e cambiare la Storia. Evento negativo questa volta per Napoleone che fece da  contrappasso a quel “Sole di Austerlitz” che quel giorno dissolse la nebbia permettendo all’artiglieria francese di sbaragliare gli austro-russi. E c’è una massima, a compendio delle tante battaglie, che fa dire a Napoleone: “ Non ho bisogno di bravi generali ma di generali fortunati”.  E per finire, per le ingerenze meteorologiche, in epoca più recente, la Battaglia delle Ardenne nel dicembre del ’44 che vide vincente la Wehrmacht finchè la nebbia non permise agli americani di fare intervenire l’aviazione.

 

   Al termine di queste note ci sembra doverosa una conclusione. L’uomo ha bisogno della memoria per sopravvivere a sé stesso. Essa è il deposito delle azioni della vita e la biografia ne rappresenta la sua estensione. In fondo la memoria non è che un mezzo per colloquiare col passato, al pari di una immagine sacra che al credente fa da tramite per colloquiare col suo Santo protettore. La biografia, lo ripetiamo, quale soltanto descrizione o elencazione temporale di fatti pur anche eccezionali, non può leggersi, né può comprendersi  se non nell’ambito delle situazioni storiche, sociali, ambientali, familiari in cui un illustre è vissuto. Non è vero, come si è sempre affermato, che l’uomo è il solo artefice del suo destino. Questo è  accettabile limitatamente alla parte che lui interpreta. Ma dal momento che l’uomo da sempre è un animale sociale, un avvenimento che lo vede protagonista, non si verifica solo per la sua azione, come  sarebbe per il naufrago Robinson Crusoe o per quel soldato giapponese che visse trent’anni nella giungla non sapendo della fine del conflitto e questo Emile Durkeim nella sua analisi sociologica, lo spiega molto bene quando afferma che l’uomo è un prodotto (corrotto) della società dove tutti sono in relazione con tutti e pertanto interdipendenti. Quindi, concludiamo noi, le biografie degli uomini illustri non possono essere considerate come una vetrina monorappresentativa che una comunità offre ai passanti della Storia, ma come una galleria o meglio come un novello Foro romano dove sui piedistalli del tempo si innalzano le statue di quei cittadini illustri che nei diversi contesti storico-sociologici, ne hanno segnato il cammino.   

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