“L’io e il potere”: da un racconto di Graham Greene

di Luca Fumagalli

 

La sorpresa del vecchio fu contenuta, poiché a quel punto aveva fatto l’abitudine agli avvenimenti straordinari, quando ricevette dalle mani di un estraneo un passaporto intestato a un nome che non era il suo, un visto e un permesso d’uscita per un Paese nel quale non si era mai aspettato di andare e nemmeno lo aveva mai desiderato. Era molto vecchio, ormai abituato alla vita angusta condotta in solitudine e senza contatti umani: era perfino riuscito a trovare una sorta di felicità nelle privazioni. Passava il giorno e la notte in un’unica camera, una cucinetta e un bagno. Una volta al mese riceveva una pensione piccola ma sufficiente, che proveniva da Qualche Parte, ma non sapeva da dove. Forse aveva a che fare con l’incidente che anni prima lo aveva derubato della memoria. Tutto ciò che gli restava nella mente di quell’episodio era un rumore penetrante, un lampo come di fulmine e quindi lunghe tenebre piene di sogni sconcertanti dai quali alla fine si era destato in quella stessa stanzetta in cui ora abitava.

“La verranno a prendere all’aeroporto il 25” gli disse l’estraneo, “e la condurranno sul suo aereo. La incontreranno all’arrivo e c’è una camera pronta per lei. Le converrebbe non parlare con nessuno sull’aereo”.

“Il 25? Siamo in dicembre vero?”. Trovava difficile tenere dietro al tempo.

“Sì”.

“Allora sarà Natale”.

“Natale è abolito da più di vent’anni. Dall’incidente”.

Rimase lì a chiedersi: “Come si fa a abolire un giorno?”. Quando l’uomo se ne andò, alzò gli occhi, quasi aspettandosi una risposta, verso un piccolo crocifisso di legno appeso sul suo letto. Un braccio della croce si era rotto e con quello un braccio della statuetta: lo aveva trovato due anni prima – o erano tre? – nella pattumiera che divideva con i suoi vicini che non gli parlavano mai. Disse a voce alta: “E tu? Ti hanno abolito?”.

Il braccio mancante parve dargli la risposta: “Sì”.

Esisteva in certo qual modo una comunicazione fra di loro, come se avessero condiviso un ricordo.

Con i vicini non c’era comunicazione. Da quando era tornato alla vita in questa stanza non aveva parlato con uno solo di loro, perché aveva la sensazione che avessero paura di parlare con lui. Era come se avessero saputo qualcosa di lui che egli stesso non sapeva. Forse un delitto commesso prima che calasse la tenebra. Nella strada c’era sempre un uomo che non poteva essere considerato un vicino, perché veniva sostituito ogni due giorni, e anche lui non parlava mai con nessuno, nemmeno con l’ultima signora all’ultimo piano che era incline a spettegolare. Una volta, per la strada, lei pronunciò il nome – non quello che era sul passaporto – con un’occhiata di traverso che aveva incluso entrambi: il vecchio e l’uomo di guardia. Era un nome abbastanza comune: Giovanni.

Una volta, forse perché la giornata era calda e luminosa dopo settimane di pioggia, il vecchio si era arrischiato a rivolgere una frase all’uomo nella strada quando era andato a prendere il pane: “Dio la benedica, caro amico”.

L’uomo aveva fatto una smorfia come colpito da un dolore improvviso e gli aveva voltato le spalle. Il vecchio era andato a prendere il pane che era il suo cibo abituale e da molto tempo si era reso conto di essere seguito in quel tragitto quotidiano. Tutta l’atmosfera era un po’ misteriosa, ma non ne era troppo turbato.

“Credo che ci vogliano lasciare soli, te e me” disse, una volta, rivolgendosi al suo unico pubblico, la statuetta mutilata. Era davvero soddisfatto, come se in qualche punto del suo oscuro dimenticato passato avesse dovuto sopportare un fardello troppo pesante dal quale adesso era libero.

Il giorno che continuava a considerare Natale arrivò e con lui l’estraneo.

“Per portarla all’aeroporto. Ha finito di fare i bagagli?”.

“Non ho molto da imballare e non ho valigia”.

“Gliene trovo una io” e così fece. Durante la sua assenza il vecchio avvolse la statuetta di legno nell’unica giacca di ricambio che mise nella valigia non appena gli fu portata, coprendola con due camicie e un po’ di biancheria.

“E’ tutto quello che ha?”.

“Alla mia età si ha bisogno di molto poco”.

“Cosa ha in tasca?”.

“Solo un libro”.

“Me lo faccia vedere”.

“Perché?”.

“Ho ricevuto degli ordini”.

Lo strappò dalle mani del vecchio e guardò il frontespizio.

“Non ha il diritto di tenerlo. Come ne è entrato in possesso?”.

“Ce l’ho da quando ero bambino”.

“Avrebbero dovuto sequestrarglielo all’ospedale. Dovrò fare rapporto per questo”.

“Non è colpa di nessuno. L’ho tenuto nascosto”.

“La portarono qui in uno stato di incoscienza. Non era in grado di nascondere nulla”.

“Avranno avuto troppo da fare per salvarmi la vita”.

“Per me questa è una leggerezza criminale”.

“Mi sembra di ricordare che qualcuno mi chiese cos’era. Gli dissi la verità. Un libro di storia antica”.

“Storia proibita. Questo andrà nell’inceneritore”.

“Non è così importante” disse il vecchio. “Ne legga un pezzetto prima. Vedrà”.

“Non farò proprio niente del genere. Io sono fedele al Generale”.

“Oh, lei ha certo ragione. La fedeltà è una grande virtù. Ma non si preoccupi. Da qualche anno non lo leggo spesso. I miei passi preferiti li ho qui nella testa, e non potete incenerirmi la testa”.

“Non ne sia troppo sicuro” ribattè l’uomo. Furono le sue ultime parole prima che arrivassero all’aeroporto, e lì tutto cambiò in modo strano.

[Un ufficiale accompagnò il vecchio nel viaggio in aereo, gli fece indossare una veste bianca e un anello da ecclesiastico e lo condusse dal Generale]

Percorsero molte strade stranamente deserte prima di arrivare a una grande piazza. Davanti a quello che una volta avrebbe potuto essere un palazzo c’era una fila di soldati in riga e lì l’auto si fermò. L’ufficiale gli disse: “Scendiamo qui. Non si allarmi. Il Generale vuole accoglierla con gli onori militari che spettano a un ex capo di Stato”.

“A un capo di Stato? Non capisco”.

“Prego. Dopo di lei”.

Il vecchio sarebbe inciampato nella sua veste se l’ufficiale non lo avesse preso per il braccio. Come si raddrizzò ci fu uno scoppio sonoro e per poco non cadde un’altra volta. Fu come se quell’esplosione secca udita una volta, prima che le lunghe tenebre lo avvolgessero nelle loro pieghe, si fosse ora ripetuta dieci volte più forte. Lo scoppio parve spaccargli la testa in due e in quella fessura cominciarono a riversarsi i ricordi di una vita. Ripeté: “Non capisco”.

“In suo onore”.

Abbassò gli occhi sui propri piedi e vide l’estremità della cotta. Si guardò la mano e vide l’anello. Ci fu un cozzo metallico. I soldati stavano presentando le armi.

Il Generale lo accolse con cortesia e venne subito al punto. “Voglio che si renda conto che io non sono in alcun modo responsabile del tentativo di ucciderla” disse. “Fu un grave errore di un mio predecessore, un certo Generale Megrim. Errori simili vengono facilmente commessi nelle ultime fasi di una rivoluzione. Abbiamo impiegato cento anni per costituire lo Stato mondiale e la pace mondiale. A modo suo lui aveva paura di lei e dei pochi seguaci che lei aveva ancora”.

“Paura di me?”.

“Sì. Deve rendersi conto che la sua Chiesa è stata responsabile di molte guerre nella storia. Finalmente noi abbiamo abolito la guerra”.

“Ma lei è un Generale. Fuori ho visto molti soldati”.

“Rimangono come custodi della pace mondiale. Forse fra altri cent’anni cesseranno di esistere proprio come ha cessato di esistere la sua Chiesa”.

“Ha cessato di esistere? Da molto tempo la memoria mi manca”.

“Lei è l’ultimo cristiano vivente” disse il generale. “È un personaggio storico. Per questo ho voluto renderle onore alla fine”.

Il Generale estrasse un portasigarette e glielo porse. “Vuole fumare con me, Papa Giovanni? Mi dispiace di avere dimenticato il numero. Era XXIX?”.

“Papa? Mi perdoni, non fumo. Perché mi chiama Papa?”.

“L’ultimo Papa, ma pur sempre un Papa”. Il Generale si accese una sigaretta e continuò. “Deve capire che non abbiamo niente contro di lei personalmente. Lei ha occupato una grande posizione. Abbiamo condiviso molte delle stesse ambizioni. Abbiamo avuto molto in comune. Questa fu una delle ragioni per cui il Generale Megrim la considerava un nemico pericoloso. Finché aveva dei seguaci, lei rappresentava una scelta alternativa. Fin quando esisteva una scelta alternativa ci sarebbe sempre stata la guerra. Io non sono d’accordo sui metodi adottati da lui. Spararle in modo così clandestino mentre lei diceva… come la chiama?”.

“Le mie preghiere?”.

“No, no. Era una cerimonia pubblica già proibita dalla legge”.

Il vecchio si sentì smarrito. “La Messa?” chiese.

“Sì, sì, credo che si chiamasse così. Il problema era che il suo piano avrebbe potuto farla diventare un martire e ritardare non poco il nostro programma. È vero che c’erano soltanto una dozzina di persone a quella… come la chiama? … Messa. Ma il suo metodo era rischioso. Il successore del Generale Megrim se ne rese conto, e io ho seguito la sua stessa linea più tranquilla. L’abbiamo tenuta in vita. Non abbiamo mai permesso alla stampa di fare nemmeno un accenno occasionale a lei, o alla sua vita tranquilla nel ritiro”.

“Non capisco bene. Deve perdonarmi. Sto solo cominciando a ricordare. Quando i suoi soldati hanno fatto fuoco poco fa…”.

“L’abbiamo mantenuta in vita perché era l’ultimo capo di coloro che continuavano a chiamarsi cristiani. Gli altri si erano arresi senza troppe difficoltà. Che strana sfilza di nomi… Testimoni di Geova, Luterani, Calvinisti, Anglicani. A uno a uno con gli anni si sono arresi tutti. I vostri si chiamavano Cattolici come se avessero sostenuto di rappresentare tutti gli altri anche mentre li combattevano. Storicamente, immagino che voi siate stati i primi ad organizzarvi e a sostenere di seguire quel mitico falegname ebreo”.

Il vecchio disse : “Mi domando come ha potuto rompersi il braccio”.

“Il braccio? Chi?”.

“Scusi, stavo divagando con la mente”.

“Il comunismo è invecchiato ed è morto, e così l’imperialismo. La Cristianità è morta anch’essa, tranne per lei. Immagino che lei fosse un buon Papa, per quanto possano esserlo i papi, e voglio renderle l’onore di non tenerla più in queste squallide condizioni”.

“E’ gentile. Non erano così squallide come crede. Avevo un amico con me. Potevo parlare con lui”.

“Ma che vuole dire? Era solo. Anche quando usciva per comprarsi il pane era solo”.

“Mi aspettava quando tornavo. Vorrei che non gli si fosse rotto il braccio”.

“Ah, parla di quell’immagine di legno. Il Museo dei Miti sarà lieto di aggiungerla alla sua raccolta. Ma è giunta l’ora di parlare di cose serie, non di miti. Guardi quest’arma che metto sulla mia scrivania. Io non sono del parere di far soffrire la gente senza motivo. La rispetto. Non sono il Generale Megrim. Voglio che lei muoia con dignità. L’ultimo cristiano. Questo è un momento storico”.

“Ha intenzione di uccidermi?”.

“Sì”.

Il vecchio provò sollievo, non paura. Disse: “Mi manderà dove ho spesso desiderato andare durante gli ultimi vent’anni”.

“Nelle tenebre?”.

“Oh, le tenebre che ho conosciuto non erano la morte. Solo un’assenza di luce. Lei mi manda nella luce. Le sono grato”.

“Speravo che avrebbe consumato un ultimo pasto con me. Come una sorta di simbolo. Un simbolo di amicizia definitiva fra due persone nate per essere nemiche”.

“Mi perdoni, ma non ho fame. Si proceda con l’esecuzione”.

“Prenda almeno un bicchiere di vino con me, Papa Giovanni”.

“Grazie, quello sì”.

Il Generale riempì due bicchieri. Mentre vuotava il suo la mano gli tremò un poco. Il vecchio levò il proprio come in segno di saluto. Pronunciò a bassa voce alcune parole che il Generale non comprese del tutto, in una lingua che non capì.

“Corpus Domini nostri…”.

Mentre l’ultimo rimasto dei suoi nemici cristiani beveva, fece fuoco. Fra la pressione del grilletto e l’esplosione del proiettile uno strano e terrificante dubbio gli attraversò la mente: era possibile che fosse vero ciò in cui quell’uomo credeva?

 

da: www.radiospada.org

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