Amalia De Luca "Carmina Pervia" (Ed. Thule)

di Giovanni Teresi
 
In “Carmina Pervia” di Amalia De Luca, l’elocuzione, la forma metrica e lo stile sono propri della sua impronta personale.
ai poeti come ai pittori, fu sempre concessa un’equa libertà” (Epistola ad Pisones).
L’originalità sta nello stile del poeta (ingenium e ars) seguendo uno schema necessario per una visione filosofica d’insieme.
In Carmina Pervia l’autrice, tracciando i caratteri e le norme del Mito, persegue gli scopi della poesia: utilità e piacere (aut prodesse, aut delectare, aut simul).
A singolarizzare questo modo espressivo, oltre al contenuto, è la musicalità in versi.
Il Mito ha una natura talmente poco umanamente accostabile che richiede un mezzo espressivo adeguatamente meno corruttibile come la parola:
 
“Ora lacerata ti resta
la certezza
che i lembi stracciati
di una veste antica
non è memoria
di un lucente sogno
ma metafora celeste
di un metafisico mosaico”
 
Ciò che interessa alla poetessa Amalia De Luca è tanto il contenuto quanto la melodia del canto, come nella “Solitudine del Poeta”:
 
“Se incontrandoti
il raggio di luce
non si spezzasse
tu, non vedresti l’ombra oscura
nell’anima dell’altro
ma la tua
specchiarsi nella sua luce.”
 
e in “Hortus conclusus”
 
“… l’allodola
Timida appare
e timorosa
volge incerta il capo:
teme il precipitare sul prato
negli artigli di dolorose insidie
e sogna …
sogna ali possenti
per librarsi là nell’azzurro
dove sbiadisce
la meschinità del mondo …”
 
Siamo, come si vede, nell’ambito dei simboli che sono da interpretare, come sostiene Ernest Renan nei suoi “Etudes d’histoire religieuse”, non quoad ad nos che abbiamo perduto irrimediabilmente il senso della mentalità religiosa degli antichi.
 
Il maggior peso valutativo, nel senso della focalizzazione della inscindibilità del nesso sacro-simbolo, va decisamente attribuito alla psicologia del profondo della poetessa De Luca, che, sulla scorta di Jung, ravvisa in radicibus il bisogno umano del sacro, bisogno che non può essere riconducibile ad abstractum ma che nasce dalla dimensione estesa della realtà umano-cosmica; da
 
“Al limite del fuoco”
 
“Dove cercare la luce?
…..
Chissà …
forse nell’etereo spazio
primordiale sogno
liquido buio
tra istanti di silenzio
che pretendono d’essere
memoria”
 
e dalla lirica: “Il silenzio”
 
“ …. Ora quasi fruscio di danza
alito dolce di zefiro notturno
cori di voci celestiali
cantano lieti l’imminenza
del tuo arrivo
ora che tutto hai perdonato
senza più dolore.”
 
La memoria è centrale nella silloge “Carmina Pervia”: a volte un insieme irripetibile di circostanze esterne, di occasioni, fa scattare il ricordo, la memoria, e riporta, riavvicina persone, luoghi, eventi. Ma è solo un attimo, una breve pausa. Il tempo logora ogni cosa crudele, recide e separa da noi i volti delle persone care.
Il varco che si apre per recuperare quanto non ci appartiene più è destinato a richiudersi e il solco che la memoria scava fra i momenti felici del passato e la solitudine del presente può solo approfondirsi, come nella “Memoria” ed “Ora che il tempo”:
 
Ha memoria di roccia dura
ogni granello di sabbia …
 
………….
si sgretola la roccia
in granuli di sabbia
storia dell’essenza salvata
nel santuario di memorie.
Forma fluttuante
la speranza invano
intreccia improbabili
fili spezzati
nell’eternità dell’essere.”
 
“…
Meglio
 l’agitarsi delle fronde
sferzate dal vento
l’acqua che penetra
 nel cuore della terra
la speranza di nuova
vegetazione
ora che il tempo
della mia vita è breve:”
 
La riflessione sul tempo diventa un momento essenziale nell’autocomprensione dell’io del poeta, rendendolo consapevole della sua condizione umana. Agostino, vescovo di Ippona, concepisce la memoria come un luogo in cui tutto è conservato distintamente. Le sensazioni, i suoni, gli odori vengono immagazzinati nella mente attraverso la memoria, per poi essere ripresi e rievocati.
I poeti sono emersi dal silenzio in cui relega il rumore disordinato della superficialità e si sono chinati sul dolore del mondo, ascoltandone le voci, contandone le lacrime, trovando parole di conforto e di speranza. Perché la poesia, “allodola di fuoco”, può accendere le persone, passare sugli occhi e sulle labbra, sfiorando il cuore” se “la poesia è quasi niente nell’aria del mondo” (Davide Rondoni) e passa come silenziata, nei tempi in cui tutto è accadere, è rincorsa, …, essa esplode come fuoco davanti al ghiaccio del dolore.
Così, a toccare il cuore di tutti è “lo squillo che squarcia la solitudine” di Amalia De Luca insieme allo sprofondare nel disordinato dolore di una rosa nel bianco di luna:
 
La sola certezza degli anni
è il resoconto di schegge
un delta di parole
nell’osmosi inversa
dal tramonto al mattino …
 
Ritornando al Mito, esso è indefinibile concettualmente e pertanto unicamente esprimibile attraverso il procedimento iconico-musicale. La poetessa De luca ri-presenta alcuni elementi dell’universo mitologico dell’Ellade.  Significativo a riguardo è il canto antico nuziale della “Leggenda di Aristeo di Mantea”:
“… Già Aurora sul suo lucente carro
colorava di rosa l’orizzonte
il silenzio intorno cullava
lento la celeste volta …
quando
Mantèa fu scossa tutta da un tremore arcano
guardò i suoi occhi lucenti
comprese in un istante la trama del destino:
era Aristèo la Verità tanto invocata
era Aristèo la fonte d’ogni Vita.”
 
“Carmina pervia” è un testo lirico attuale, perché si innesta a segnali di rilancio della poesia che fa sperare nel superamento della banalizzazione culturale che ha afflitto il recente passato. L’attualità è attraversata dal verso e dal mito dentro le installazioni e le “performances” di un’arte poetica della De Luca.
È un libro gradevole da leggere grazie sì ad una scrittura molto curata nello stile e sorvegliata nelle spinte estetizzanti, ma ancor più per le dinamiche esistenziali e relazionali che sviluppa, presentando il mito quale tessuto connettivo di una vicenda umana le cui contraddizioni sono ben lontane dall’essere risolte, e che anzi la società postmoderna enfatizza.
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