Angelo Abbate, "Nel buio ricami di luce" (Ed. Thule)

di Melania Rossello

 

Leggere questo libro di poesia di Angelo Abbate significa entrare in un mondo ricco di valori e di significati, intristito dalla concretezza della realtà che ci circonda, dall’angoscia esistenziale che si dibatte tra il vivere e il morire, nello sfondo del tempo che passa e che avvia all’oblio della fine. Il percorso poetico del nostro autore vive la realtà del presente, s’insinua nel passato, aspira ad un mondo migliore, sogna e spera che tutto possa cambiare e che “ tra le nubi che oscurano il cielo e le foschie che avvolgono la terra, possano emergere ricami di luce “. Significativo è il titolo che apre la raccolta: “ Nel buio ricami di luce “ che, a mio parere, è il cardine ispiratore che dona unitarietà all’intera opera. La luce contrasta con le tenebre che sembrano dominare le esistenze e l’umanità intera, sia per le vicende tragiche che caratterizzano i nostri tempi, sia per quanto concerne i cuori chiusi nell’isolamento e nell’individualismo. Nel buio, che domina e che spadroneggia, la luce “ è flebile, è abbraccio, è faville che non scintillano, è squarci di luce che ansimano in diffuso grigiore”. In tutto questo anelito verso la luce non poteva mancare quello della luna, delle stelle e del nuovo giorno, che diventano metafore significative per palesare sentimenti, perché il nostro poeta non vuole indulgere nell’io protagonista, che in prima persona esprime il suo sentire, ma sembra aprire con versi martellanti e incisivi, che si avvalgono di una narrazione vera, tragica, reale, un mondo dove tutto è colpevolizzato e filtrato, e che, proprio per questo, per le sequenze di immagini che lo caratterizzano, assume maggiore tragicità. In “ Aquila per una notte “ la commozione del poeta diventa più esplicativa, una vita, che ha avuto tutto negato, è stata trasformata  dalla morte in “ aquila per una notte e avvinghiata a bagliori di stelle, ricama ventagli e spicchi di pace “; anche il padre, nel suo ultimo volo, sarà accompagnato da un abbraccio di luce, ora che è vecchio e stanco si alternano i suoi giorni tra buio e flebile luce. Questo afflato verso la luce, che sembra completare con la morte, si avvale di sostantivi che diventano metafore di sentimenti; la figlia in “ Vecchio padre “ diventa l’unica stella nel suo tiepido cielo e mentre la terra trema, non si possono interrogare la luna e le stelle, in questo caso metafore del sogno e della vita. La luce diventa spesso attesa di un mondo migliore perché  “ si aspetta la luce di un nuovo giorno “  e la memoria degli eroi diventa stella che brillerà nella notte dei tempi. L’aspirazione alla luce, sinonimo di chiarezza di pensiero, catarsi dell’anima, di giustizia, di amore e comprensione, di pace, si scontra con il buio della notte, che esprime al contrario e che è anche la metafora di una realtà individuale, frantumata dal tempo tiranno, che ha disperso certezze e illusioni, togliendo la voglia di combattere e ricucire gli strappi, mentre la morte, destino di ogni uomo, s’insinua prepotentemente nei versi ed è “ freddo fiato che sibila addio “ e che regala l’oblio. La realtà soggettiva di un inverno corto, che affanna un respiro e regala angoscia, s’incontra con la tristezza di altre esistenze e soprattutto con le molteplici problematiche che caratterizzano l’attuale società e che danno alla poesia del nostro poeta una forte connotazione sociale e morale, infatti: “ …fiumi di umanità sofferente/ si specchiano nei miraggi dell’opulenza/ svenduti dalle emittenti satellitari “. Un tema ricorrente è la situazione di coloro che fuggono dalle rovine, dalla miseria e dalle macerie per essere inghiottiti dal mare in sepolcri di schiuma. Il poeta ci proietta e ci immerge in una realtà angosciante, rifiutata e assurda e sono anche rifiutati e assurdi i vizi umani, quali la vanità,  l’ipocrisia e l’indolenza dell’umanità, che insegue l’opulenza e, chiusa in se stessa, non si accorge di chi vive arrancando, ed è indifferente al dolore, abituata ormai alla lunga sequela di drammi, emanati dallo schermo che sembrano realtà fittizie, ma che sono invece spaventosamente vere. L’occhio del poeta spazia nel nostro tempo, assorbe il dolore e la sofferenza e ne diventa la voce narrante, tramite una sequenza di immagini nude e cruente, che ben esprimono il suo orrore per la vita negata, che si trascina nel dolore e che spera in una realtà migliore, che è la stessa sua speranza che tutto possa cambiare; per questo fa emergere il suo io che diventa l’io morale, l’io che incita, l’io che condanna, l’io che spinge ad amare, esortando a ritirare il passo dalla violenza, dal terrorismo, delirante disegno, dove …”gracida viscida la rabbia/nell’abisso della notte/melliflua scorre la collera/ di ciechi angeli di morte…e ancora: …”sciogli le nere bende/dall’azzurra luce del cielo/lasciati carezzare…( L’urlo del terrore ) e in “ Delirante disegno “… Argina e frena l’odio/foriero di nefasti presagi/di desolanti città /di vita svuotata/che in nuova buia preistoria/civiltà sprofonda. Non si può rimanere indifferenti davanti ad una poesia di denuncia, che sta dalla parte dei vinti: vinti dal pregiudizio, dall’orrore della guerra, dalla miseria, dall’ingiustizia, dal razzismo. Sono aspetti che ci appartengono e che sono appartenuti anche alla storia di qualsiasi tempo; così in questo tragico carosello prendono vita diseredati ed emarginati e soprattutto i bambini: Malala, i bambini di Aleppo, i bambini della Siria, i non nati (accorato è il loro pianto) , i ragazzi speciali; tutti vittime dell’indifferenza o della ferocia e dei giochi di poteri. Questi bambini sono spogliati della loro innocenza, dei loro giochi e della stessa vita, così in “ Amal “ “ Divampano fuochi di guerra/per ammutire l’insolente ronzio/la lama affilata dei ribelli/tedioso stridio su vetri di bottiglia/nei salotti dorati dove ciondola il potere/che veicola destini di gente ignara. Scorrono versi nella loro essenzialità, quasi cronaca degli eventi e si avvalgono di immagini, sostantivi, aggettivi e verbi atti a incidere le coscienze: “ Fosco e cupo il cielo di Aleppo/non da nubi carichi d’acqua/ma per tuoni di bombe e lampi di fuoco/le granate non sono rosse melegrane/…(Il cielo di Aleppo) e ancora:…” Stanotte la terra ha tremato/vomitando disumana furia/dal suo grembo di perfida matrigna…/…ha messo in croce nuovi derelitti/altri innocenti tra polvere e rovine e /sgretolate case all’ombra di un altro buio/…( La terra ha tremato stanotte) e ancora: “ arida terra, volti scavati da fame e arsura, cori di dissecate ombre, case in rovina che oscurano il sole, acque cupe, l’alba che inabissa orizzonti”, presenti in “ Cenere al fischio del vento “, sono sintesi di una tematica e forme espressive ricorrenti, che fotografano un mondo dove tutto è falsato, dove lo stesso Natale, che ha perso il suo sapore antico, è colorato di illusioni, mentre l’amore continua a bussare invano. Nel “ Il viaggio alla Madonna della Milicia “ la nostalgia per la fede, che era incrollabile nella madre, diventa un voler ripercorrere insieme ad essa un percorso di memorie, per ritrovare quella corazza, con la quale si potrebbe sciogliere il gelo del cuore. In questa visione cupa del reale, l’ampio respiro dei versi di “ Pantalica “ arroccata su un’altura inospitale, dove “ respirano le fresche acque di Anapo/fattosi fiume per riunirsi a Ciane “, si stempera nel silenzio, tra il sibilare della voce del vento e i rapaci  che ghermiscono prede e dove un tempo era vita, tutto tace. Se Himera rivive ancora nell’operosità della sua gente e nel canto di Stesicoro, un tempo si era abbattuto su di essa un funesto fato e l’impietoso urlo di Annibale; qui la narrazione diventa epica… “ furono atroci e maledetti quei giorni/smarriti e soffocati nel pianto/pervasi dall’incessante buio della notte/lame e spade trafissero i tuoi prodi/…(Dalle ceneri rivive Himera). Anche la natura diventa un tutt’uno col sentire del poeta e se ne fa portavoce; “ spoglie tamerici ornano/i desolati fianchi della piazza deserta/…” un vento ostinato mi sussurra un lamento/…( Squarci di luce) e ancora: “ aridi deserti di terra bruciata/in paesaggi lunari ostili alla vita/… ( Delirante disegno ). Consapevole che questa mia disamina non è esaustiva dell’intera opera, mi piace chiudere con alcuni versi della poesia: “ Il viaggio alla Madonna della Milicia “ che ho particolarmente apprezzato, dove la strofa che raffigura la natura è colorata di bellezza e nostalgia. … “ Il grecale a sventagliare l’afa/della torrida estate nella conca/tra il verde dei limoni e i fichi d’india sulla siepe/ e alle spalle in lontananza lo steccato della vigna/con i grappoli biondi dell’inzolia/…  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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