Antonino Causi, “Ogni uomo ha la sua isola” (ed. Il Convivio)

di Giuseppe Bagnasco

 

Tommaso Romano, che ha curato la prefazione a questa raccolta, afferma nel suo ultimo volume “Alchimia della polvere” che quando si opera “non bisogna porsi il problema di essere esemplari o esempi, quanto il rispondere alla propria coscienza. Se posseduta”. E Antonino Causi risponde certamente al contenuto di questo aforisma, offrendo con le sue quaranta liriche  un affresco di come ci si possa servire della parola, nella sua primigenia missione, quale veicolo del pensiero, senza l’uso di grandi proclami o esternazioni nel costruire un verso di alta architettura elegiaca. Se la parola serve a comunicare, la comunicazione esplica la sua missione nell’essere usata, senza artifizi di ermetismi vari e risultare pertanto comprensibile a quanti non fanno parte di elites culturali. E il Causi assolve con perizia questo compito. Il suo poetare , lungi dall’offrire alchimie linguistiche è semplice e quel che più importa è fresco e spontaneo, fatto, come annota il prefatore, con garbo,  misurata passione e  partecipazione accorata. Ma iniziamo con la vetrina di questo scaffale letterario e cioè dalla copertina. Diciamo subito che è omeopatica con il titolo. Vi è raffigurata un’isola, dalla quale presumibilmente si identifica quella prospiciente la cittadina costiera di Isola delle Femmine con lo sfondo un tramonto di un colore che al romantico unisce il fuoco della passione. Una passione che pervade e attraversa ampi spazi della poetica del Nostro, sia che affronti problematiche sociali o esistenziali o infine d’amore. E allora, come non pensare di rappresentare il bisogno di stare soli con un’isola? .La risposta è quasi retorica. Infatti i poeti di solito sognano un luogo lontano dalla civiltà, dal suo caos, dalle ingiustizie, le diseguaglianze , i pregiudizi. Un’isola come la Thule, l’isola del prefatore. Un’isola immaginata e ipotizzata anche da Tacito e localizzata al nord della Britannia, simile a quell’altra immaginifica descritta da Platone nel “Crizia”: Atlantide.  Dai temi esposti dal Causi su tutti emergono quelli sulla speranza, sulla legalità e sull’amore. Il Poeta divide la raccolta in due sezioni entrambe di 20 liriche. Una intitolata “Uomo” e un’altra chiamata “Isola”. Una divisione solo apparente dove l’uomo viene identificato con la realtà e l’isola con il suo sogno. Ma le due cose, come afferma il sociologo Salvatore Lo Bue, non si possono separare a scanso di provocare dolore. Infatti separare il sogno dall’uomo è come negare all’uomo l’Altrove. Un Altrove che si identifica e prende dimora nella speranza, uno dei temi cari al Poeta, speranza che nel mitologico vaso di Pandora è l’ultima dea. Togliere la speranza all’uomo o farla evadere dal vaso pandoriano è come condannarlo a vita, ad affrontare senza parvenza di riparo, tutti i mali del mondo e nello specifico quello alla inutilità, a un destino senza destino, l’anticamera del non-ricordo perché gli viene meno la storia e senza storia di cosa si dovrebbe occupare la memoria?. E Causi nel dolore la identifica con gli occhi che “ guardano partenze senza ritorno, destini senza una meta”, paragonandola ad un olivo saraceno testimone del tempo che fu. Il Nostro, come si legge nella quarta di copertina, come sottufficiale della Polizia di Stato ne è un servitore e riveste nel suo ufficio competenze su immigrazione, asilo e cittadinanza, specificità acquisite in un master conseguito presso la Facoltà di Scienze umane. E quindi è stato giocoforza scriverne in particolare sui migranti che fuggono dall’Africa soprattutto con “Non sono ultimi” e “SOS Africa”. Ma è sul tema della speranza che il Causi compone liriche piene di saggezza e di auspicio specie quando ricorda gli “Angeli in divisa” della legalità come i magistrati che “ci restituiscono i nostri sogni e le speranze “, esortando tutti a “non aspettare un altro anno” per agire e rivolgendo all’Italia un’accorata invocazione: “rinascerai come araba fenice dalle tue ceneri, Patria mia” ma questo, aggiunge dopo, solo se ciò avviene trovando fiducia in se stessi. Ma il tema che più tesse la sua anima poetica e i concetti con cui le pervade, è l’amore. Un Amore, come definito da Dante nell’ultimo verso della Divina Commedia, tale “che muove il sole e l’altre stelle”, e tradotto da Attilio Momigliano come “il meccanismo del mondo e di tutta la vita”. Ebbene Antonino Causi ne è un fervente discepolo perché nelle quaranta liriche almeno una diecina vestono questo ambito distribuite equamente nelle due sezioni “Uomo” e “Isola”. Nei suoi versi/concetti, l’amore, nutrimento dell’anima e il cui arrivo non si può programmare, è un’alba che riempie, la più bella favola che porta alla felicità e dove gli sguardi, aggiunge l’Autore, sono come gazzelle che saltano le barriere del cuore. “Nell’isola della speranza (dice) getterò l’ancora della speranza, che accompagnerà quanto basta per l’eterno che arriverà” e si paragona, insieme alla sua compagna a “due gabbiani in fuga…rapiti dal sorriso di un sole al tramonto”. Il richiamo alla copertina è evidente. Eccola, la forza di un poeta. Un poeta dà corpo e peculiarità umane a ciò che non lo è, e dove la trasmutazione è dovuta alla sorgente immaginifica della “poiesis” , della creazione. Ma non tutto il vissuto è fatto di amicizie, esperienze, amori avuti come respiri di vita, c’è anche la nostalgia della gioventù, l’amarezza dei momenti di solitudine. Ma non è tutto. Uno dei pilastri della sua sociologia filosofica e poetica sta in un verso della lirica “Narciso”: “ Non guardarti in uno specchio/ guarda dentro te stesso”. E non ci vuol molto a richiamare alla memoria la massima “Gnòn seautòn”, quel “conosci te stesso”, attribuita a Chilone di Sparta, che scolpita nell’architrave del tempio di Apollo a Delfi, era una delle sette scritte dai savi più famosi dell’Ellade,  chiamati a Delfi dall’oracolo Pizia in cui onore furono d’allora in poi celebrati i “giochi pitici”, simili a quelli di Olimpia o di Corinto. Con “guarda dentro te stesso” Causi esorta a guardarsi dentro dando la primazia all’essere rispetto all’apparire. E pertanto, aggiungiamo noi, l’immagine riflessa allo specchio, come afferma Magritte per i suoi quadri, non è quella che si vede e non molto lontano da quello che predicava Diogene di Sinope quando usciva di giorno con la lanterna accesa per “cercare l’uomo”. Fu preso per pazzo ma il filosofo cercava l’uomo vero, quello vicino alla natura, al di là di tutte le esteriorità, così come annota il pensiero di Tony Causi. Parafrasando un aforisma dello scrittore russo Vladimir Nabokon, potremmo dire :” non possiamo scindere il piacere di leggere una poesia, da quello si “sentire” se è vera poesia”. In questa raccolta c’è poesia. Vi si sente non soltanto il cuore ma anche la scansione della saggezza, la forza della parola, il pathos nella costruzione del verso. Antonio Causi non è solo “un costruttore di pace”, possiede nell’animo quell’aura che lo avvicina al pater familias dell’antica Roma, la pietas. Parola che non assurge nella semantica moderna a pietà ma si identifica con quel “padre di famiglia” custode della famiglia e dei valori antichi col rispetto verso gli antenati e le divinità, non ultimo quello verso la Patria. Le liriche di Antonino Causi ricalcano questi valori. Esse sono pervase nel loro interno da aforismi e massime tali che il poeta ne poteva fare un saggio di valore e ci chiediamo perché non l’ha fatto. La risposta è semplice: solo con la poesia era possibile la sintesi e il pathos che la illumina e che in essa può trovare asilo. In definitiva da un punto di vista archiviale  non possiamo con sicurezza catalogare  il lavoro di Antonino Causi assegnandole una specifica sezione poiché la raccolta racchiude filosofia, sociologia, politica, storia,  compreso quel “sentire comune” che è proprio della gente semplice. Ma poiché il tutto è espresso in versi la sua naturale destinazione è la sezione “Poesia”. Per finire possiamo affermare che Causi con il suo volume ci propone un canto in cui esorta a vivere con “misericordia” e pietas nel rispetto delle leggi il che ci porta a intravederne uno spirito socratico, quasi un messaggio messianico. E fa questo non nelle vesti di uno spirito posseduto dal demone dell’arte, che non è il demone del “Simposio” di Platone, e nemmeno ergendosi a giudice al di là del bene e del male, ma come un acuto testimone del suo tempo. In “Ogni uomo ha la sua isola” a concludere, vediamo come ciascun uomo è portato a cercare e trovare il suo angolo di quiete, sia esso scientifico, storico, sociale o religioso, in un’isola che si identifica con quell’Altrove da cui, come auspica il poeta, trarre la forza per affermare una verità al fine di giungere alla riappropriazione della vita. Questo il messaggio che si coglie dalla raccolta, un messaggio che ci fa meditare.

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