“Difenderò la mia libertà”. Intervista a Marco Iacona - di Giovanna Caggegi

 
“Novecento assassino. Nietzsche, Mishima, Camus e gli altri” (Historica – Giubilei Regnani), un titolo forte per il tuo nuovo libro, soprattutto nella sua prima parte, vuoi spiegarne il significato?
Potrei dire che il Novecento è l’ultimo dei secoli. Dopo si è cominciato o si comincerà presto a “contare” in un altro modo. La modernità è stata fatta a pezzi da chi, gramscianamente, ha
messo filosoficamente in discussione il presente. E si è “spinto” troppo oltre. Nessuno riesce più a ri-costruire, ogni cosa sembra vecchia, consunta. Ogni fenomeno d’arte, di letteratura affonda in un già visto o sentito, ed è senza “storia” perfino privo di emozione. Forme e concetti si sono come svaporati. L’uomo è ridotto a un sopravvissuto. Il problema non è solo quello della tecnica che riorganizza il tempo, anzi quasi ne nullifica il valore – l’uomo ha lasciato il posto al macchinismo, il piacere al risultato –, ma di contenuti, perfino di “sogni” trasformati in modelli obbligatori. Le narrazioni sono come scomparse. Dopo Hemingway, come e cosa scrivere?
 
 
 
 
Qual è, molto in breve, la tua idea di mondo attuale?
Brevissimamente. Accade che le grandi ferite del Novecento, come la disgregazione della personalità dell’uomo, abbiano lasciato in eredità un più ampio senso di distruzione. L’uomo era al centro della scena nella modernità, era dunque naturale che quel significato di “fine” poco a poco traslocasse in ciò che lo circondava, però era vero anche il contrario. Tutto era insomma a misura d’uomo. Adesso, non riseco a trovare punti di riferimento. Nella scienza (figuriamoci), nella parola. È tutto uno specialismo quasi incomprensibile, un riferirsi ad un altro da sé che difetta di psiche. A meno che non si vogliano interpretare come “parole” quelle cascate di vuoto prodotte da alcune personalità e assemblate in assurdi laboratori di pedagogia. L’uomo è un’entità che deve produrre, perché questa non-vita si perpetui. Solo le anime più sensibili percepiscono un senso di morte, molti lo considerano invece una conseguenza (positiva) del progresso. Dopotutto, non stiamo per “battere” la morte biologica?  
 
 
 
Freud è davvero così importante, come scrivi?
È un personaggio grandioso. Se non altro perché in lui il tema della morte è come irrisolto. E poi ci dice che noi “non” siamo quel che siamo e che se un giorno riuscissimo ad essere quel che invece “dovremmo” essere, la società pagherebbe un prezzo altissimo. È uno che dice chiaro e tondo: o noi individui o tu società, o vivi o sei vissuto. Freud “impone” un programma impossibile e lo sa bene. Dopo di lui il mondo metabolizzerà poco a poco le offese ricevute. La volontà si perderà in quella pulsione di distruzione che lui tra i primi aveva compreso… e tutto o quasi accade ancora per “responsabilità” delle donne. Torna il mito che d’altra parte lo stesso Freud amava.      
 
 
Appunto, all’interno del libro citi poche donne, ma mi sono accorta della presenza fugace di Cristina Campo, ne hai una buona impressione immagino…
È un argomento che mi interessa in generale molto poco. Nel senso che ho un mio modo per narrarle, le donne, che si discosta anni luce dalla prosa mainstream. Com’è stato giustamente scritto (da una donna) le donne sono state quasi sempre narrate e si sono narrate molto poco. Adesso in questo periodo di stramba fine di un periodo (o di un mondo), hanno preso in mano la penna, perfino gli uomini poi vantano di possedere un punto di vista (superiore) di tipo femminile. Cosa accade a questo punto? Il primo o uno dei primi momenti che incontriamo quando un gruppo deve “scalare” i vertici di una gerarchia sociale o di classe è l’azione sulla descrizione. Le donne vogliono il potere, hanno capito che, simbolicamente, sono lì lì per “ottenerlo”. Istruzione, norme, costumi, tutto è incredibilmente a loro favore. In special modo le “narrazioni” grazie all’utilizzo di una pericolosissima neo-lingua. A loro hanno raccontato che il potere è forza, forza fisica, forza delle leggi, forza del numero e lo hanno raccontato anche a noi, solo che noi sapevamo come operare con queste dottrine, loro invece no. Ma le donne non solo vogliono scrivere un “nuovo” futuro, ma perché questo sia credibile vogliono scrivere un “nuovo” passato, così capita di leggere per esempio che il vero genio non era Mozart ma la sorella di Mozart… che il passato formicola di filosofe e scienziate che avrebbero cambiato i destini del mondo, solo che… oggi ridiamo, domani piangeremo. La Campo sfugge a questa lettura, lei fa bene all’anima perché, come spiegare, riflette su di essa dandone per scontati i presupposti di conoscenza, fa la poetessa come direbbe la Zambrano, e non la moralista. Non vuole cambiare il mondo partendo dai… nomi e con operazioni di pura astrazione.    
 
 
 
Una delle cose interessanti è che sembri non fare troppa distinzione tra autori di diversa nazionalità e cultura: russi, statunitensi, italiani, francesi e poi cattolici, ebrei, atei.  Ne vuoi spiegare il motivo?
Non sono un militante, non sono di parte (nei limiti del possibile, ovviamente), dunque non mi interessa ostentare bandiere. Il concetto di tradizione, tanto caro a certa destra, andrebbe declinato secondo motivi attuali. Non si può ad esempio fare a meno di pensare alla libertà dallo Stato, alla difesa dalla violenza e dalla prevaricazione di “genere”, dalla retorica progressista e scientista. Abbiamo capito dove siamo andati a finire o no? Quel tizio diceva che l’importante è avere le stesse idee non essere di una data nazionalità e aggiungo non importa votare a destra o a sinistra. Come li conoscemmo anni fa questi concetti sono oramai scaduti. Quando sarà il momento di ricostruire, ma non vedo spazi, è lì che si dovrà trovare il materiale giusto. Ancora una volta la responsabilità in positivo sarà degli uomini…  
 
 
 
Tema centrale sembra essere dunque la libertà. Per te sembra praticamente tutto…
Un qualunque tradizionalista se la prenderebbe con la modernità come sinonimo di libertà da qualcosa, di liberazione, come responsabilità dell’uomo e riscoperta della sua centralità. Ma oggi questo discorso non è possibile farlo. La libertà è al primo posto. Il comunismo cioè l’illibertà più sfacciata è tra noi sotto altre forme, meno politiche più psicologiche. Lo chiamerei come fece a suo tempo Eco l’“Ur-comunismo”. E fa male, distrugge, limita, colpisce, schiaccia in silenzio, prevarica. Guarda esclusivamente all’uguaglianza nelle risultanze e non delle condizioni di partenza. In una gara non deve più vincere il migliore ma i partecipanti devono tagliare il traguardo nello stesso momento. Tutti insieme. Nessuno permette e permetterà fughe in avanti, a meno che non si tratti di “categorie” per così dire protette. E torna il mainstream. Dunque donne, popoli giovani eccetera. È il potere, e il potere ha svoltato. Perché appunto il Novecento ha distrutto tutto il sapere, le sue forme e le possibilità di vivere la conoscenza in piena maturità e con la giusta moderazione. Ma io difendo e difenderò me stesso.     
  
 
 
 
 
 
 
 
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