Profili da Medaglia/41 - "Divo Barsotti e Cataldo Naro" di Tommaso Romano

Per don Divo Barsotti, il patriarca di Settignano, serena località posta sui monti vicino a Firenze dove vive la comunità da lui fondata, dovrei mi­surarmi a scrivere libri interi - senza forse esserne capace - per illustrarne almeno sommariamente la profondità, il grado di perfezione spirituale, la mistica elevatissima in sintonia con l'Ineffabile che Egli trasmetteva a tutti coloro che incontrava e a cui donava lucentezza anche con la caratteristica scrittura minuta delle sue Lettere spirituali.
Una parola viva e penetrante, la sua, sempre intessuta di altissima spi­ritualità, anelante alla pura, oggettiva bellezza, alla contemplazione del mistero di Dio. Riflessioni e omelie di un autentico mistico del Ventesimo secolo, monaco e saggio, teologo, poeta e fondatore della “Comunità dei figli di Dio” aperta a sacerdoti, frati e suore, nonché a laici consacrati che vivono e operano nel mondo profano.
«Dio non mancherà» ci diceva, nella tede e nell'ascolto, nella voca­zione, nella visione e nel dono. «L’unione con Lui non è nell’esperienza sensibile ma nel Cristo». «Non ho ricevuto che Amore» scriveva anco­ra nel Testamento Spirituale Barsotti asceta, alla maniera dei santi monaci orientali come San Sergio.
Egli è stato una luce per donne e uomini che hanno avuto la fortuna e il privilegio anche dell’ascolto della sua parola. Tengo come una reliquia le sue molte lettere, le poesie intimamente profetiche di cui si è fatto sensibile interprete ed esegeta Carmelo Mezzasalma, e la memoria dei ritiri a Setti­gnano (con Giulio Palumbo e Pietro Mirabile), le sue visite a Palermo, le sue parole di guida incancellabili, i magistrali consigli di cui non sono stato sempre all’altezza.
Ma i valori sono pure gerarchie naturali che rendono visibile la propria miseria rispetto a chi molto ci ha concesso, è stata questa l’esperienza con don Divo, un fatto, un evento che di per sé giustifica l’intera esistenza e dà valore ulteriore anche al difficile e spesso isolato cammino-pellegrinaggio che è la vita.
Fra questi prodigiosi incontri spirituali (prendendo a prestito le parole di Nino Barraco, un cristiano sul serio, qui a Palermo) che mi hanno se­gnato nel profondo, vi è certamente anche quello avvenuto con Cataldo Naro, amaramente e troppo presto scomparso (2006), sicuramente per im­perscrutabile volontà divina, atteso che la sua intelligenza potesse essere di qualche utilità pure lassù!
Fu preside della Facoltà Teologica di Palermo (coadiuvato dalla colta intelligenza di Franco Annetta e di Mons. Antonio Raspanti, uomo di raro equilibrio e di acuta capacità di discernimento) per breve ma segnante tem­po vescovo di Monreale, Don Cataldo è stato (da buon seguace dell’Ope­ra di Barsotti e suo figlio prediletto) un vero “Figlio di Dio”. Non parlerò qui della sua sconfinata e nota cultura, dei suo Libri, delle imprese culturali (come il Centro Studi Cammarata della sua San Cataldo) e accademiche, né del suo ministero retto e coraggioso. Dirò solo dell’uomo di Dio che in Dio credeva, veramente.
Mi si perdoni la banalità, ma a tanti sacerdoti spesso non basta essere ordinati a Dio.
Naro lo era.
Con un fare sempre disponibile al dialogo, amichevole e sereno. Pronto a ricercare chi domanda ma anche ad affermare risposte radicali.
Ho avuto molte occasioni preziose di incontrarlo, alcuni dialoghi a quattrocchi mi rivelarono così il candore di un’anima veramente cristia­na, il senso dell’amicizia senza tornaconti utilitaristici, un richiamo vivo, sempre, al dono dell’intelligenza che può volgersi al bene evangelizzando l’umana società e formando persone, anime.
Com’è difficile vivere e credere, anche in rapporto alle persone superiori che il cielo ha concesso di farci intravedere.
Messaggeri di quella perfezione che più di un punto di arrivo, sembre­rebbero talvolta un miraggio!
 
nella foto da sinistra Don Divo Barsotti e Tommaso Romano
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