“Il mare colore del vino” di Leonardo Sciascia – lettura e commento di Giovanni Teresi

“Il mare colore del vino” è la seconda raccolta di racconti di Leonardo Sciascia, apparsa per la prima volta nel 1973.
Sono tredici brevi storie intrise di sicilianità. Sciascia, armato di una sottile ironia, richiama il lettore ad una continua analisi introspettiva e ad una riflessione attenta sugli equilibri che governano la nostra Terra. Equilibri molto spesso malati e corrotti. Equilibri che a volte, invece, affondano le proprie radici nell’importanza delle relazioni familiari. Infatti uno dei personaggi che l’autore ci presenta afferma:  […] in Svizzera in ogni bambino tu vedi lo Svizzero che diventerà; in Grecia l’individuo, l’uomo … ed anche in Sicilia, immagino: questi due bambini … Sono luoghi in cui non c’è l’educazione: non ci sono regole, tecniche, abitudini educative; ci sono gli affetti: e credono, i greci, i siciliani, che non ci sia problema nella vita che l’affetto non possa risolvere.
Leggendo questa raccolta si ha la sensazione di poter ritrovare, sostanzialmente, tutto Sciascia. In ogni racconto c’è un frammento delle sue migliori idee, sensazioni ed analisi, quelle rintracciabili nei suoi scritti più corposi e famosi. C’è la sua immancabile ironia, ci sono le cronache di quella storia minima e dimenticata che lo scrittore di Racalmuto ha spesso recuperato e ricostruito con dovizia, c’è il phatos elegante e sofisticato dell’autore di polizieschi, c’è la critica aspra e malinconica di un siciliano che osserva la sua terra imbevuta di mafia e maschilismo, c’è l’attento osservatore dei vizi e delle virtù di un Paese e di un’epoca. La forma breve, tra l’altro, nulla toglie al talento e alla qualità della sua scrittura che rimane preziosa e sferzante tale da rendere la lettura de “Il mare colore del vino” estremamente gradevole.
La sicilianità di Sciascia è la sua forza, quella forza che gli permettere di mettere su carta descrizioni di luoghi meravigliosi, che permettere al mare azzurro di Taormina di assumere cupe venature rossastre, il “colore del vino”.
Sciascia offre una controllatissima scrittura in prosa densa di poesia e passato che lo riporta alla sua infanzia a Racalmuto.
Tipico del suo modo di scrivere il continuo rimando ad espressioni strettamente siciliane, l’uso di termini dialettali, motti e proverbi espressi dagli anziani contadini protagonisti delle sue opere.
Il mare colore del vino è una raccolta composta da 13 racconti, scritti tra il 1959 e il 1972, strettamente legata ai problemi e alla vita della Sicilia di quel periodo.
 
Incipit Il mare colore del vino
 
Il treno che nell’estate parte da Roma alle 20,50 – diretto per Reggio Calabria e Sicilia, annuncia dall’altoparlante una voce femminile che, nel rivolo dei viaggiatori che si muove verso quel treno, un rivolo che trascina valige legate con la cordicella e mappate di tela, evoca e sospende tra i fili della stazione Termini, verso il cielo della sera, un volto femminile di appena sfiorita bellezza – porta una vettura di prima classe Roma-Agrigento: enorme privilegio sollecitato e mantenuto da tre o quattro deputati della Sicilia occidentale. In verità, dei treni diretti al sud, questo è il meno affollato: in seconda classe sono pochi i viaggiatori che non trovano posto a sedere: e in prima, specialmente nella vettura per Agrigento, è possibile avere uno scompartimento tutto per sé – basta spegnere la luce, tirare le tendine e distribuire bagagli e giornali sui sedili: almeno fino a Napoli, e se volere essere prudente fino a Salerno. Superata Salerno, potete mettervi a dormire, magari in canottiera o addirittura in pigiama, che nessuno verrà a cercare posto proprio nello scompartimento vostro. Ma questa comodità relativamente ai posti la si sconta ad usura degli orari: perciò i siciliani preferiscono il direttissimo che partendo due ore prima arriva ad Agrigento, estrema stazione, con un vantaggio di almeno sette ore.
 
Nella raccolta di racconti "Il mare colore del vino", mettendo in rilievo l'importanza e l'originalità della silloge, lo scrittore oscilla fra due poli, la tradizione e l'innovazione, l'adesione ai modelli neorealistici e la tendenza ad elaborare nuove forme espressive. In tale ambito, oltre al racconto eponimo "Il mare colore del vino", sono particolarmente interessanti i racconti "Apocrifi sul caso Crowley" ed "Eufrosina", dove l'autore adotta - sulle orme di Stendhal - la tecnica della riscrittura e delinea un profilo impietoso della società italiana.
 
Ogni racconto ha una dimensione a sé, non c’è alcuna continuità né omogeneità. Si inizia con “Reversibilità”, una storia che lo stesso Sciascia conferma di aver sentito spesso raccontare quando era ragazzo. “Reversibilità: di un corpo che ne riscatta un altro, nella straziante religione della famiglia, di cui ancor oggi la Sicilia vive; di una ragazza di Grotte che riscatta la libertà di un uomo del vicino e nemico paese di Racalmuto“. Tra i racconti più riusciti e famosi c’è “Il lungo viaggio”: l’avventura tragica e grottesca di un gruppo di emigranti siciliani che crede di essere sbarcato negli Stati Uniti e resta sorpreso nel notare che anche in America esista un paese che si chiama Santa Croce Camerina. Il terzo racconto è quello che dà il titolo al libro, “Il mare colore del vino”: cronaca di un lungo viaggio in treno in uno scompartimento troppo affollato che accoglie una rumorosa famiglia siciliana ed un inerme ingegnere vicentino. “L’esame” è un altro racconto “siciliano” che mette a confronto un severo e puntuale selezionatore svizzero e le speranze di ragazzi siciliani. Il racconto successivo è dedicato a Giufà, lo stolto astuto della tradizione siciliana, anche se tale figura affonda le sue radici nella cultura araba e mediterranea. “La Rimozione”, come spiega lo stesso Sciascia, è stato scritto quando la statua di Stalin venne rimossa dal mausoleo, uno tra i racconti più divertenti della raccolta. La parola mafia, con le sottigliezze e le sfumature legate alle sue origini etimologiche, sono al centro di “Filologia” mentre “Gioco di società” racconta una storia di tradimenti e doppi giochi che una donna particolarmente astuta riesce a gestire con estrema destrezza. “Un caso di coscienza”, da cui Giovanni Grimaldi ha tratto l’omonimo film nel 1970, parte dalla lettera pubblicata su una rivista di una donna di Maddà, la quale confessa i suoi tradimenti ai danni di un ignaro ed innamorato marito. Ovviamente tutti in paese, notabili inclusi, si fanno travolgere dalle chiacchiere e, soprattutto, dai dubbi laceranti sulle proprie mogli. In “Apocrifi sul caso Crowley” Sciascia dà la propria versione sul perché l’artista, mistico ed occultista britannico sia stato espulso dalla Sicilia. La mafia torna ad essere protagonista di “Western di cose nostre” mentre in “Processo per violenza” lo scrittore di Racalmuto recupera alcuni terribili episodi di cronaca nera italiana e ne ricostruisce i contorni e i dettagli fino a mettere in luce, così come ha fatto in molte altre occasioni, l’inadeguatezza e l’inappropriatezza dei meccanismi processuali e giudiziari. L’ultimo racconto, “Eufrosina”, prende spunto da un assassinio: “i due figli di Lelio Massimo avevano ucciso la matrigna, la giovane e bella Eufrosina de Sicarusis: e dunque non un fratricidio era accaduto, ma qualcosa di simile a un matricidio, non sappiamo se per interesse o per onore“.
E veniamo così a conoscere la storia di questa dama del XVI secolo, amatissima dal vicerè Marcantonio Colonna, da quest’ultimo resa vedova e finita poi in moglie, come si è letto, a Lelio Massimo i cui figli per “metter fine alla vergogna, forse al dileggio” decisero di far fuori.
13 racconti, ognuno occupa poche pagine, ma sono pagine ricche di immagini e situazioni che ci riportano in un’altra epoca, un altro mondo, quello della Sicilia, così vicina a noi eppur così lontana, fatta dalle sue tradizioni e dalle sue usanze. Quell’isola che sarà scenario vivo e costante nelle sue opere, di cui ci trasmetterà sapientemente ed in maniera controllata i colori, i paesaggi e persino gli odori.
Il comune denominatore di ogni narrazione, anche laddove la parte di finzione cede quasi del tutto il passo alla verità storica, è l'idea che il reale, il mondo che ci sta innanzi e che nel tempo si dispiega, stia in rapporto agonistico con una mai doma attività intellettuale investigativa, la quale, pur ignorando fino a dove possa spingersi e quali siano le effettive o plausibili possibilità di successo, non mai retrocede. Un'istanza razionale che riguarda l'autore prima di tutti e i suoi personaggi in secondo luogo, alcuni dei quali soccombono irretiti (I pugnalatori), convertiti (Il giorno della civetta) o finanche definitivamente sconfitti (A ciascuno il suo, Il contesto).
 
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