Il mito. Il sacrificio. A cento anni dalla nascita di Bianca Garufi. La studiosa di psicanalisti e il vero amore di Cesare Pavese

di Piefranco Bruni

Il mito e Bianca Garufi sono un intreccia nella vita e nella visione della grecità. La figura di Bianca Garufi, nata a Roma il 21 luglio del 1918 e morta a Roma il  26 maggio del 2006,  all’interno dell’arcipelago letterario dei miti, costituisce un punto di grande riferimento soprattutto se si pensa al suo legame con Cesare Pavese.

Siamo al centenario di Bianca Garufi.

Nata all’interno di una famiglia aristocratica benestante siciliana, Bianca Garufi lascia da giovane la Sicilia portandosela sempre nel cuore. È la Sicilia della grecità, del Fuoco grande. La Sicilia dei mari pirandelliani e quasimodiani e degli archetipi.

Ha avviato il primo comparto della psicoanalisi junghiana in Italia ed è stata una delle studiose più attente del metodo junghiano relativamente al rapporto tra anima e corpo. Un concetto di anima che verrà ripreso filosoficamente da Maria Zambrano, concepito come “metafisica dell’anima”. Una grande studiosa dell’anima, Bianca Garufi, interessata anche alla dimensione antropologica.

Tutti i processi antropologici dei popoli e delle civiltà sono passati attraverso i suoi studi e le sue analisi in un percorso in cui la centralità viene sempre espressa dalla spiritualità. Una spiritualità divenuta metafora religiosa i cui simboli e miti si trasformano in archetipi. Le sue origini greche siciliane sono al centro del suo scavare tra le anime delle maschere e delle realtà ontologiche.

Cesare Pavese la conosce a Roma, nelle stanze della casa editrice Einaudi. Con lei stabilisce subito un legame di anima, di esistenze, prettamente psicoanalitico. A Bianca Garufi dedica le nove poesie scritte a partire dal 1945 contenute all’interno delle raccolte liriche La terra e la morte e La morte e la vita. Componimenti poetici che precederanno Verrà la morte e avrà i tuoi occhi dedicati all’attrice americana Costance Dowling.

Le poesie precedenti sono, invece, tutte dedicate a Bianca Garufi, come il suo straordinario lavoro Dialoghi con Leucò. Leucò è Bianca, questa Bianca del mito greco in cui la grecità si fonde calla sicilianità e che trova nella Magna Grecia di Pavese, incontrata a Brancaleone Calabro, il legame stretto in una articolazione ancestrale in cui il mare diventa il modello delle Langhe e le Langhe si trasformano in un viaggio all’interno delle radici di Pavese.

Bianca Garufi è stata una importante protagonista di quella scena in cui la cultura letteraria interagiva con la cultura delle analisi interiori che definisco spirituali. Un modello archetipale vero e proprio all’interno di quel discorso che ha permesso a Bianca e a Cesare di scrivere un libro a quattro mani, Fuoco grande,  rimasto incompiuto e pubblicato nel 1959 a nove anni di distanza dalla morte di Pavese.

Bianca Garufi lo riprende e lo pubblica in una struttura di capitoli scritti in maniera alternata da lei e da Pavese. Un dialogo forte all’interno di quella dimensione metaforica mitico-sacrale che è la sacralità degli dei. La dea bianca (Bianca Garufi) che attraversa l’intero viaggio dei Dialoghi con Leucò. Questa Leucò che diventa la vita e la morte, metafora del bianco. Il bianco come alba, come purezza, come incipit di un modello prioritario. Dialoghi con Leucò è un cantico dei cantici, come può essere Fuoco grande perché l’interazione tra queste due opere costituisce per Pavese e Bianca Garufi una interlocuzione in cui le voci di entrambi diventano mistero e destino.

Il destino e il mistero sono il viaggiare e il ritornare. L’andare per mari di altura e l’approdare nei porti. In questi porti, in questi venti di altura, ci sono sempre le loro voci, le loro parole, la loro sensualità. Per Pavese, Bianca Garufi è stata la donna che maggiormente ha scavato nella sensualità del mito. Ha rappresentato, senza dubbio, un modello di carnalità, ma anche la sensualità del mito, quella sensualità che riporta al modello di Calipso, a quello di Circe e mai al modello di Penelope.

Pavese con Penelope aveva tracciato il suo romanzo dedicato al suo confino, al periodo di carcerazione durante il quale la figura di Elena ha simboleggiato l’intreccio di un immaginario che viene recuperato nella vita. Pavese anticipava la vita mediante l’immaginario.

Gli scrittori che sentono la percezione del vivere, prima che il vivere possa essere vissuto o compiuto, scavano in quell’abisso che può diventare indissolubile, ma che resta poi l’indefinibile viaggio verso se stessi. Il suo rapporto con Bianca Garufi è stato fondamentale, scavante. Un rapporto in cui le anime si sono intrecciate, parlate, dichiarate. Un legame in cui le discordanze sono diventate, a volte, dissolvenze, ma anche convergenze e condivisione.

 

In questa filosofia dell’amore, come nella metafisica dell’anima, le convergenze si trasformano in  pensieri in cui il senso del tempo è circondato dal senso dello spazio. Lo spazio è circondato. Qui sta il gioco ad incastro, ma anche il gioco delle contraddizioni. Lo spazio non può essere circondato, perché il “circondare” richiama la visione del cerchio. Lo spazio impone la visione dell’immenso, del non-limite.

 

Il circondare, invece, ha il limite. Bianca Garufi e Cesare Pavese vivono oltre il superfluo e il tempo, oltre il concetto del “circondare, oltre la dimensione dello spazio per il motivo che in entrambi è presente la formazione greca, omerica, la grande visione della grecità simbolica in cui i “templi” greci, i “templi” della Sicilia, sono i Templi aperti sul Mare e sulle Terre.

I templi metaforici e reali di Bianca Garufi e della sua Sicilia sono i templi di Leucò. Questa Leucò che rimanda a Saffo, bianca come il cielo bianco del mattino, come l’alba, come il cielo che sorride sul mare nelle ore antelucane.

Pavese legge nella Garufi il mistero della morte… bianca come la morte, come la morte di un amore e la fine di un amore. Il mito dell’incrocio tra il nome “Bianca” e il colore bianco portano Pavese a raccontare i Dialoghi con Leucò che sono i dialoghi verso la morte e la vita, verso il mistero e la consapevolezza dell’incomprensione. Il superfluo è superato perché dentro il superfluo non c’è il mito, non insiste il destino, non insiste la morte.

Quando Pavese si suicida, nell’agosto del 1950, scrive le sue parole di addio proprio sul quel libro che è il libro di Bianca Garufi, i Dialoghi con Leucò. È  una considerazione che non può essere vissuta come circostanza , come caso, ma diventa destino e quindi diventa mistero, il grande mistero che unisce, il grande mistero che lega, il grande mistero che slega la fisicità, la carnalità, ma sempre più stringe le anime. La morte di Cesare non slega alla vita di Bianca il senso del tempo, il senso dello spazio; anzi, ne costituisce l’alter ego. Da grande studiosa di psicoanalisi e di fenomeni junghiani quale è stata, in Bianca Garufi questo affascinante e mistico percorso nel mistero è sempre un andare oltre, un andare al di là.

Dirà Bianca Garufi: Io sono stata ciò che sono stata, ma ho sempre vissuto accettandomi o cercandomi, perché nella ricerca del tempo non è detto che può leggersi il tempo ricercato, ma in questa ricerca l’anima vissuta diventa l’anima imprendibile (nel mio immaginario che racconta).Pavese dirà, giocando in modo sensuale con l’anima, che la poesia si vive nel cerchio magico dell’inesistente fisico, ma dell’esistente profondamente radicato nella coscienza. Se Leucò alla fine muore cadendo dalla rupe come Saffo, tutto diventa precipizio, un naufragare.

La sua poesia. Quella sua poesia che incontra un immaginario affascinante e sensuale. Penso a:

“Se non la vita”

“Sono stata cavalla
mucca farfalla
Sono stata una cagna
una vipera un’oca
Sono stata tutte le cose mansuete
e ampie della terra
il vuoto del corno che chiama alla guerra
l’oscuro tunnel dove sferraglia il treno
la caverna a notte dei pirati
Sono stata quella che sempre deve essere là
una certezza quadrata
Sono stata tutto ciò che poteva servirti
a prendere il volo
sono stata anche tigre
cima e voragine
strega
sacra e terribile bocca dentata
Come avresti potuto altrimenti essere tu il cacciatore
l’esploratore
l’eroe dalle mille avventure?
Sono stata persino terra e luna
perché tu potessi metterci
il piede sopra
E adesso
questa ruota si è fermata
devo fare una cosa
mai fatta forse mai esistita
una cosa anche per te ma
soprattutto per me
per me sola
tanto autentica e nuova
che trema persino il volto della vita”.

 

Ecco, dunque, una vera e propria dichiarazione mitica nelle immagini del mito, di una strategia mitica che la avvicina sempre più a Pavese. Così quel dolce naufragare, che è un senso d’orizzonte che cattura il tempo dell’attesa in un tempo che va oltre l’attesa stessa,  ferma l’attimo, l’istante, nel Tempo Memoria – Profezia. Ferma il concetto di pazienza e di misericordia. Dopo Leucò e il suo viaggio poetico Bianca, bianca come la schiuma di mare e come le albe bianche, si dedica nel suo proseguire il racconto pavesiano e pubblica nel 1962 Il fossile.

Il suo tracciato biografico, comunque, ha, in sintesi, questo itinerario: Romanzo postumo, inedito, 1943, La spirale e la sfera, poema, Fuoco grande di Cesare Pavese, Bianca Garufi, Einaudi, Torino, 1959 (e poi con nuova edizione 2003), Se non la vita. Poesie 1938-1991, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, Il fossile, Einaudi, Torino, 1962, La fune, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1965, Rosa Cardinale, Longanesi, Milano, 1968. Di grande interesse sono anche le sue traduzioni soprattutto se si pensa, in modo particolare, a due autori come Simone De Beauvoir e Claude Lévi-Strauss,. Infatti traduce di Simone De Beauvoir, La force des choses, Gallimard, Paris 1962, (La forza delle cose, Einaudi, Torino, 1966), e di Claude Lévi-Strauss, Tristes Tropiques, Libraire Plon, Paris 1955 (Tristi tropici, Il Saggiatore, Milano, 1996).

Un viaggio al centro della letteratura – mito e della letteratura che dialoga con le forme della antropologia. Tutto è metafora nella metafisica del mito. È  chiaramente metafora. Dentro la metafora della vita-morte nulla si nasconde ma tutto si rivela e questa rivelazione è il dato di un esistere che cattura la morte come vissuto e la vita come esercizio del vivere e dell’esistere. Un esercizio che si dichiarazione di scavare nel tempo – memoria e nella memoria – infinito dove l’esistenza si intreccia con l’inesistenza.

Ascolto e chiudo con i versi di Bianca:

“Dove
non ha importanza e quando
è solo una
metafora perlacea
con cui
riempi i giorni le notti
l'andirivieni della
tua esistenza
dell'esistenza
così come la concepisci tu
e anche come tu non puoi neanche
concepirla
avulsa 
dallo spazio e dal tempo

la tua inesistenza
l'inesistenza”.

Ascolto e chiudo. La studiosa di psicanalisi. La junghiana. L’anima e la morte nella vita.

Il vero amore di Cesare Pavese nel grande fuoco del mito e del sacrificio.

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