La battaglia di Hong Kong è anche la nostra - di Domenico Bonvegna
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- Category: Scritture
- Creato: 09 Gennaio 2021
- Scritto da Redazione Culturelite
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“Anche se siamo lontani, la nostra ricerca di democrazia e di libertà è la stessa. Vi prego di stare con Hong Kong, perché la nostra lotta non è ancora finita”. Chi parla è Joshua Wong, il paladino dei giovani hongkonghesi che si stanno battendo contro il potere dispotico della Cina comunista di Xi Jimping.
Joshua è credente, determinato fino all’ascetismo, convinto che la lotta, a Hong Kong, non potrà esaurirsi se non con la completa vittoria dei “ribelli” che da mesi sfidano il potere cinese. E’ giovanissimo, ventitré anni, cresciuto nella fede protestante e nella congregazione luterana. A 18 anni è stato riconosciuto come uno dei leader della rivolta degli ombrelli (2015), ha fondato un suo partito, Demosisto. Oggi è la figura più popolare della “rivoluzione” in corso a Hong Kong.
Joshua è autore di un libro insieme a Jason Y. Ng, “Noi siamo la Rivoluzione”, edizioni Feltrinelli (2020).
Nell’introduzione Ai Weiwei, scrive: “Joshua Wong rappresenta una nuova generazione di ribelli, nati in un mondo già globalizzato, nell’era di internet […] La loro visione del mondo è decisamente diversa dalla cultura capitalista che insegue soltanto il profitto”.
Dalla rivoluzione degli ombrelli del 2014 si è assistito alla nascita di una tipologia di ribelli del tutto inedita a Hong Kong. Joshua è uno di questi, hanno in testa idee chiare e precise, vogliono ed esigono una sola cosa: la libertà.
Per raggiungerla sono disposti a fare qualsiasi sacrificio, anche a costo di perdere la vita. Questi giovani si stanno opponendo al potere di uno Stato centralizzato che reprime i più elementari diritti umani.
Sono una sfida non solo per lo Stato dispotico comunista di Pechino, ma anche per il cosiddetto mondo libero, per l’Occidente, troppo spesso abituato a tradire e ad agire da opportunista.
Chris Patten, l’ultimo governatore britannico di Hong Kong, nella prefazione del libro, scrive: “Si può censurare la libertà di espressione cancellando discorsi di Internet, arrestando i giornalisti o addirittura rimuovendo qualsiasi barzelletta a doppio senso (guai a chi nomina un personaggio di Winnie the Pooh a Pechino, soprattutto con un ombrello giallo in mano!). Ma per quanto potenti siate, non riuscirete mai a impedire alle persone di pensare. Anzi prima o poi, questi pensieri incentrati su principi positivi potranno sconfiggere la tirannia degli stati autoritari”.
A proposito della censura di pensare, a suo tempo, ho recensito un libro, “Condannati alla follia”, (Garzanti 1972) di Artemova, L. Rar e M. Slavinski, mi ha colpito un episodio: un brutale colloquio tra gli agenti del KGB sovietici che gli urlavano in faccia a Vladimir Borisov, presidente dell’Unione giovani indipendenti: “Se non la smetti di pensare ti sbattiamo dentro”. Con i ragazzi di Hong Kong sta succedendo la stessa cosa.
Joshua nel libro racconta la sua battaglia per la libertà e la democrazia cominciata quando era adolescente. Mentre gli adulti stavano a guardare, Joshua organizzò la prima protesta studentesca nella storia di Hong Kong per opporsi alla riforma dell’istruzione voluta dal governo filocinese. Da allora è diventato uno dei protagonisti delle rivolte giovanili hongkonghesi.
Nell’agosto 2017, Joshua viene condannato a sei mesi di reclusione per essere coinvolto nella Rivoluzione degli Ombrelli, da scontare nella prigione di Pik Uk.
Successivamente entra in prigione per altre due volte.
Il libro “Noi siamo la rivoluzione” è diviso in tre atti. Nel primo Joshua racconta la sua adolescenza, a quattordici anni ha organizzato una compagnia studentesca per fondare un movimento di resistenza contro la Cina comunista. “E’ una genesi che mette a nudo anni turbolenti di attivismo che, portato avanti da gente comune, ha risvegliato una popolazione di 7 milioni di persone […]”. Nel secondo atto i lettori potranno conoscere le storie e i particolari del periodo che Joshua ha trascorso dietro le sbarre del carcere. Naturalmente è un’esperienza che ha segnato la vita del giovane attivista.
Infine, il libro termina con l’appello a tutti i cittadini del mondo per difendere i diritti democratici. In particolare, Joshua denuncia alcune rimozioni di Apple di un’app per rintracciare i posti di polizia nelle vie di Hong Kong da parte dei manifestanti.
Un altro episodio è quello che riguarda la Cathay Pacific, la compagnia aerea di bandiera di Hong Kong, costretta a licenziare oltre una ventina tra piloti e assistenti di volo che hanno simpatizzato con i manifestanti. Peraltro, l’amministratore in una lettera ha avvisato i dipendenti che se avessero pubblicato sui social media dei post a favore delle proteste sarebbero stati licenziati in tronco. Il libro riporta altri episodi di aziende in particolare americane, che si piegano ai voleri di Pechino
Joshua invita i governi internazionali a prestare attenzione ai soprusi che stanno subendo i cittadini di Hong Kong. Prima o poi può capitare anche a voi, quello che noi stiamo subendo.
La proposta di legge sull’estradizione ha scatenato la ribellione della società civile a Hong Kong. Solo al pensiero che un oppositore sgradito al governo di Carrie Lam dovesse essere giudicato in Cina, ha scatenato le ire degli abitanti di Hong Kong.
Pertanto, queste sommosse per il governo di Pechino sono delle sfide inaccettabili. “Se non viene tenuto a bada, il dissenso può diffondersi a ruota libera in tutta la Cina e minacciare la stabilità stessa del regime comunista”. Per questo il 4 giugno del 1989, fu repressa l’insurrezione studentesca di Piazza Tienanmen.
Il mondo occidentale restò a guardare non interferì, era convinto che il benessere economico in Cina avrebbe portato a una riforma politica. Sarebbe stato lo stesso popolo cinese a “chiedere maggiore libertà e trasparenza a chi li governava, costringendoli a modernizzare e democratizzare il sistema politico del paese”.
Invece i successori di Deng, Jiang Zemin e Hu Jintao, portarono avanti il progetto di “riforma e apertura”, ma tutto cambiò con l’arrivo al potere nel 2012 di Xi Jimping, “un lupo travestito di panda, il cui atteggiamento pubblico, sobrio e dimesso, cela ambizione ed efferatezza”. Xi, si è autoproclamato imperatore, con la scusa dell’armonia sociale, ha intrapreso una campagna di repressione di qualsiasi dissenso. Centinaia di avvocati per i diritti umani sono stati arrestati con l’accusa di incitamento alla sovversione. Tutte le religioni sono state perseguitate, le loro chiese perquisite e distrutte. Nella regione del Xinjiang, circa tre milioni di musulmani uiguri sono stati arrestati e internati nei campi di rieducazione. Per non parlare dell’influenza pericolosa del governo cinese sia nei Paesi vicini come Malesia, Indonesia, che in quelli lontani, “la Cina continua a sfruttare la propria influenza culturale finanziaria per attirare, minacciare, manipolare e attaccare altri paesi per piegarli alla rassegnazione e all’accettazione”. Tutto questo grazie anche all’apertura di centinaia di sedi dell’Istituto Confucio in tutto il mondo.
“Xi Jimping cerca con insistenza di diffondere il suo modello di governo a partito singolo in tutta l’Asia e oltre, così come l’Unione Sovietica cercò di diffondere il comunismo durante la Guerra fredda”. Naturalmente la sfida di Xi Jimping, attraverso la Belt and Road Initiative, è di superare gli Stati Uniti nel commercio mondiale e dopo il Covid 19, sembra che ci stia riuscendo.
Secondo Joshua una nuova Guerra fredda ribolle tra la Cina e il resto del mondo democratico, e Hong Kong si trova in prima linea in una delle prime battaglie. La lotta in stile “Davide e Golia”, tra gli abitanti di Hong Kong e un regime più potente di loro, manda un chiaro segnale al mondo: “il controllo sempre più pressante della Cina sulla città di Hong Kong è parte di una minaccia più ampia alla democrazia”.
Joshua Wong ha testimoniato a Washington, di fronte alla Commissione esecutiva sulla Cina del Congresso (CECC), auspicando che il Congresso degli Stati Uniti approvi l’Atto per la democrazia e i diritti umani di Hong Kong. Qui ha conosciuti diversi esponenti politici americani, tra cui Nancy Pelosi. Purtroppo, il ragazzo mi è sembrato un poco confuso, per quanto riguarda certe sue scelte politiche americane, ma anche quelle che fanno riferimento all’ambiente, come quella dell’attivista svedese Greta Thumberg.
Comunque sia la lotta del giovane hongkonghese va sostenuta, e sono convinto che ha perfettamente ragione quanto ha affermato di fronte alla Commissione esecutiva sulla Cina, tenutasi al Campidoglio: “quello che sta succedendo a Hong Kong riguarda tutto il mondo. La gente di Hong Kong è in prima linea nella lotta contro il governo autoritario della Cina. Se Hong Kong cade, la stessa sorte potrebbe toccare al mondo libero”.
Quello che accade a Hong Kong accade anche nel resto del mondo. La Cina continua a influenzare pesantemente le politiche dei Paesi occidentali. Ecco perché Joshua, può sostenere, “Che vi piaccia o no, la nostra lotta è diventata la vostra lotta. Ed è proprio per questo motivo che il mondo libero non può restare a guardare mentre la situazione a Hong Kong non fa che peggiorare. Se Hong Kong fallirà, cadrà la prima linea di difesa del mondo intero”.
Il giovane attivista ci invita a schierarci con Hong Kong in favore della libertà. E’ un invito che in questo momento di pandemia mondiale assume un significato importante, soprattutto per quei Paesi che hanno sospeso i più elementari diritti democratici. Bisogna agire subito, prima che sia troppo tardi. Un’ultima riflessione che il libro di Joshua pone al lettore: “se un gruppo di ragazzi senza un leader, con indosso soltanto l’essenziale per proteggersi riesce a strappare una concessione al regime autocratico più potente e con la forza militare più solida al mondo, figuriamoci cosa possiamo realizzare insieme”.