"La luce oltre le tenebre" - di Lilly Tortorici
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- Category: Scritture
- Creato: 17 Febbraio 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Nell’intima e raccolta cornice della chiesa di San Nicolò La Latina, nella serata dell’otto febbraio, si è svolto un partecipato incontro finalizzato a presentare alla cittadinanza le poesie della scrittrice saccense Antonella Montalbano, alla sua ultima pubblicazione. La silloge, dal titolo “Riverberi e iconografie di senso: la luce oltre le tenebre”, pubblicata dalla Fondazione Mario Luzi Editore, contiene poesie composte nel corso di sette anni di vita dell’autrice e sono il risultato di un determinato ed indefesso impegno a scavare nel proprio “sacrario”, per offrire alla comunità testimonianza di un percorso esistenziale e di fede.
A moderare l’incontro è stato il giornalista e scrittore Massimo D’Antoni e a dialogare con l’autrice la prof.ssa Lilly Tortorici. Nel corso della presentazione si è cercato di percorrere le dorsali filosofico-esistenziali della silloge, contestualizzando il dialogo con l’autrice all’interno di una cornice di senso basata sulla responsabilità etica, che dovrebbe animare, come è stato subito detto, ogni relazione umana caratterizzata da “intelligenza”, che nel senso letterale del termine indica capacità tutta umana e spiccatamente femminile di intus legere, di percorrere cioè un viaggio nell’interiorità dell’altro, sempre da preservare e rispetto a cui nulla appare scontato per squarciare le tenebre della solitudine esistenziale in cui può capitare di essere avvolti. Ogni relazione umana si dovrebbe configurare eticamente così come una risposta, come un Eccomi ad una chiamata, ad un Appello che sollecita l’umano (E. Levinas).
I temi presenti all’interno della raccolta, che è composta da poesie ermetiche e post ermetiche, sono stati esaminati con un focus di natura filosofico/teologico e in risposta ad un’interrogazione incessante sul senso della vita che attraversa tutta la produzione di Antonella Montalbano, ma che qui giunge a più alta maturazione spirituale.
La sinossi dell’opera si è sviluppata a partire dal titolo, densissimo, esplicativo di un approccio esistenziale, di un percorso già fatto dall’autrice, rispetto a cui si tentano delle sintesi o dei consuntivi più maturi, perché sedimentati nella resa della fede -come la stessa ha avuto modo di affermare- pur nella consapevolezza che una chiusa del questionare razionale è praticamente impossibile, perché è nella natura umana il rovello incessante, il lavoro carsico del pensiero basato sulla domanda. Padre Ermes Ronchi sostiene che noi siamo creature di domanda e di ricerca e non di affermazione e di possesso. Le risposte de-finiscono, le domande suggeriscono, le definizioni chiudono, gli interrogativi aprono orizzonti, invitano ad andare oltre. Anche il poeta Rilke ci esorta a vivere bene le domande perché è in esse che si può vivere la tensione “desiderante”, la gestazione di senso che è tipica dell’umano e che non si esaurisce mai, perché non ne ha mai abbastanza.
La domanda di senso è radicale dunque e il termine senso che troviamo nel titolo, si può prestare ad indicare non solo il significato che possiamo dare alle cose e agli eventi ma anche “la direzione”, il senso di marcia della vita. Spesso chi vive nel dolore sostiene che la vita non ha senso e forse questo accade perché la vita in fondo può non avere una direzione unica o un senso -per così dire- obbligatorio.
La questione del senso -sostiene Heidegger- è un esistenziale dell’esserci. Il senso non è una proprietà che inerisce l’ente che è presente nel mondo per sola “datità”. Solo l’esserci, l’uomo, ha bisogno di senso. Il pensiero è un’attività di ricerca del senso molto faticosa, contraria per ciò stesso ad ogni forma di automatismo, ma inevitabile per l’uomo. L’Essere ha un senso? Ciò che esiste e accade ha un significato? C’è un senso alla vita?- che è appunto una domanda “radicale”, perché non equivale tanto al solo chiedersi se “le cose” (gli enti) hanno un senso ma, se tra le cose quell’ente speciale che si interroga sul senso dell’essere, che è l’esserci, ha un senso. E qui Heidegger ha deposto le armi del pensiero, interrompendo appunto la sua famosa opera Essere e tempo che è rimasta sospesa, incompiuta appunto, proprio perché il linguaggio della metafisica, il linguaggio che adotta modalità logico-razionali da solo non basta a dire, a significare la vita.
Proprio a partire dal collasso di questo approccio interrogante razionale, la vera domanda da porre allora non è tanto se “la vita ha un senso” ma che senso (direzione) possiamo dare alla nostra vita? Stiamo dando senso alla nostra vita?
Lo stesso Heidegger, sembra giungere a questa conclusione quando dopo aver sperimentato il “mancare” del linguaggio logico e dominante, nel suo tentativo razionale fallito di dire l’Essere, affida la manifestazione di quest’ultimo proprio al linguaggio poetico, che diviene in tal modo casa dell’Essere, che lascia accadere, assecondandolo, l’auto-disvelamento della Verità, nella sua spontanea epifania di senso.
Si può fare esperienza di senso, di ricerca della verità attraverso la rinuncia all’Io e alle sue forme? E se il morire (tema tanto presente nella vita e nella produzione di Antonella Montalbano) fosse proprio il morire dell’io come funzione egoica che fa nascere nuove prospettive e paesaggi di senso? Non è forse in questo stesso incessante domandare, tortuoso e imperterrito andare privo di riferimenti egoici, non è a partire da questo apparente vagare senza direzione, errare, che possiamo trovare la direzione?
Il crollo della struttura di senso logicamente fondata e fondante il mondo, può aprire un nuovo e diverso stato di coscienza individuale e collettivo. La silloge sembra aver aperto, con il suo errante procedere poetico, questo nuovo orizzonte di senso (E’ dei martiri… il Paradiso… come dei poeti la speranza). Come Heidegger, l’autrice sembra sostenere che i poeti sono i veri testimoni di un tempo, perché trasformano il linguaggio in immagini (ecco l’uso del termine iconografia): il linguaggio della poesia non è oggettivante e si sottrae alla tentazione metafisica che ha oramai fatto il suo tempo.
La struttura di senso della società occidentale sembra avere raggiunto la fase di declino massimo, come sostengono da tempo alcuni filosofi come Spengler che parla di tramonto dell’occidente; essa semplicemente non funziona più, a giudicare dalle sue scelte di vita o di morte, dal perpetuarsi di nuove Auschwitz a Gaza o in Ucraina, a guardare alla continua scommessa fine a se stessa sul potere del denaro, sulla violenza e sulla sopraffazione. L’umanità ha bisogno di morire nel suo piccolo ego per capire la vita: è questa forse la strada che ci indica questa ultima produzione poetica dell’autrice. Nuovi percorsi sembrano aprirsi, nuovi orizzonti, appunto nuove iconografie di senso…in nuovi scenari temporali. E’ il tempo del Kairos che supera Kronos. E’ il tempo circolare, della dimensione interiore che nella poesia “Che enorme tragedia è la vita” viene definito del “già e non ancora”, un tempo che si nutre di passato, come memoriale personale che si unisce alla proiezione in avanti del tempo dell’attesa, di un “da venire”, di un non ancora che si appella alla grazia salvifica della presenza del Cristo, che dà certezza e speranza. In mezzo un presente, che è lo spazio del margine che viene abitato come condizione liminare di consapevolezza, un tempo sospeso che riesce a trasformarsi in attimo, kairos appunto, che sa fare i conti col vuoto e col silenzio, come condizione dolorosa e necessaria per sgombrare l’animo e la mente dai pensieri inutili e ridondanti, dalle voci interiori ossessive, per fare spazio all’essenziale.
Nel corso della serata, l’autrice ha reso testimonianza di questo essenziale, maturato attraverso la resa al mistero dell’incarnazione, di quel termine greco che è sarx che esprime tutto il dolore dell’esistenza, che è il portato sovratemporale di un esempio, quello del Cristo che si è fatto carne per testimoniare come, attraverso la croce, il dolore non è mai inutile, perché rivela la sua natura soteriologica, di salvezza per tutti noi. L’esperienza della croce ha un senso, indica un senso. Kairos diviene attimo nella ri-velazione, in cui diventa fondante il prefisso “ri” cioè il fare nuovo, il rifare nuovamente nel senso del portare allo scoperto quel vero che già c’è, è presente, ma come celato in noi da un velo di inconsapevolezza, che attende l’attimo dello squarcio. Kairos è l’apertura di un orizzonte in cui si manifesta l’appartenenza della nostra anima ad una più grande Anima Mundi.
Il valore della testimonianza umana del sacrificio, rimarcata dal moderatore, che ha riportato l’attenzione sulla vicenda di Salvatore Benfari, novello martire morto in questi giorni per salvare dalle fiamme di un appartamento la madre e due figlie di sette e dodici anni, ha permesso di riflettere, infine, sul tema della resistenza che promette e porta alla salvezza, alla speranza. Quella di cui si è parlato è una speciale forma di resistenza, una resistenza esistenziale: esistenza che re-siste, continua a so-stare, ma in modo conservativo, nel dolore, facendone condizione di affermazione dell’oltre. In molte poesie della silloge c’è la sensazione di cogliere una sorta di moto a ritroso, di retro-versione che genera tuttavia sempre una spinta in avanti, quasi un ripiegamento interiore che non è stagnazione ma sempre pro-azione, preludio di affermazione della vita oltre la morte. La produzione creativa di Antonella Montalbano avviene nel silenzio della notte, è “un’esperienza della notte”- come la definisce lei stessa, un emergere espressivo “dal deserto”. Il dolore, lo sappiamo, è trasformativo, è condizione gestazionale che porta a “natali” continui nella nostra esistenza.
Francoise Dolto sostiene che il messaggio più potente del Cristianesimo, che giunge indifferentemente a tutti, credenti e laici, risieda nella resurrezione dalla morte. Nel corso della nostra esistenza temporale, noi moriamo tante volte: la morte non è solo la perdita fisica o perdita materiale; moriamo ogni volta che perdiamo fiducia nei valori della vita, quando si affievolisce la speranza nel cambiamento di una comunità o si sperimenta una stagnazione dell’anima, quando abbandoniamo, delusi, un’idea o un progetto con il carico di entusiasmo che aveva in origine portato con sé. La morte, però, dà seguito sempre alla vita e questo il ri-manere, re-stare resistendo che produce elevazione spirituale. Questa è l’unica lotta che produce meta-noia. La parola è bellissima nel suo significato letterale; in greco metà e noesis è il pensiero che va oltre e per questo non rimane paranoico (parà e noesis forma di pensiero che ritorna ossessivamente e circolarmente su se stesso senza mai superarsi, rimanendo a marcire sulle posizioni raggiunte). Solo la fede può mettere in moto la metanoia e la poesia di questa straordinaria donna di oggi lo ha messo in evidenza, col suo carico di dolore trasformativo che si fa luce nel buio, che guida l’uomo al superamento continuo di ogni dolore. Il messaggio finale che l’autrice ha regalato ai presenti all’incontro è stato esattamente questo: speranza come vera vita, luce oltre le tenebre, come chiaramente indicato nel titolo dato alla raccolta.