Tommaso Romano, "La Tradizione Regale" (Ed. Thule) - di Maria Patrizia Allotta

L’UNITÀ MOSAICOSMICA DELLA METAPOLITICA “INATTUALE”  SECONDO LA PROSPETTIVA FILOSOFICA DI TOMMASO ROMANO

 

La Tradizione non consiste nel mantenere le ceneri

ma nel mantenere viva una fiamma.

Jean Léon Jaurès

 

Nell’arco del tempo il filosofare di Tommaso Romano si svela sempre di più, fino a diventare erudizione autorevole, dottrina atavica, sapienza ancestrale.
Si snoda, diviene e avvolge in una dimensione totalizzante imperniata in quella originale visione “mosaicosmica” capace di divenire flatus vocis di emblematica seduzione.
Svetta e si conferma in ogni sua scrittura che appare ormai come incedere elegante lungo quel sentiero culturale tracciato da un itinerario anzitutto interiore.
Ne è conferma ulteriore il testo dal titolo La tradizione Regale. Singolarità fra Autorità e Libertà.
Sì, perché ancora una volta non siamo in presenza di un semplice saggio di carattere ideologico o storico-politico - così come potrebbe apparire ai più e ai dormienti - ma di un compendio filosofico metapolitico dove si affrontano insolite tematiche ontologiche ed inconsuete problematiche gnoseologiche che approdano poi in rare trattazioni etiche ed estetiche.
L’ “inattuale” testo - come uscito da uno scriptorium medievale - non tratta, infatti, della Regalità come di una “favola che è stata” o come realtà contingente che stenta a sussistere tanto per “l’ecclissi del reale che è la radice del regale, ormai senza idee né ideali” quanto per le “miserevoli macerie di ciò che pure fu ammonimento d’Annuncio”, piuttosto, audacemente, si concentra, sul vero senso ontologico e sul concreto valore gnoseologico della Regalità la quale diviene Singolarità, Autorità e Libertà, ma anche Bellezza e Giustizia seguendo l’insegnamento ora del sinolo aristotelico di forma e materia che sostanzia l’ente, ora della platonica idea secondo la quale il bello è insito nel buono, così come nel buono si rintraccia il bello.
Regalità, chiaramente, intesa - già a partire dal Proemio dell’Opera - come “bellezza manifesta del Sacro che si protende al superiore”, come “mito dell’Ordine”, come “radicamento del singolo e consegna dell’Assoluto”, ancora, come “trascendente Unità nella verità”, come “dono che proviene, da Dio, da riconoscere e trasfigurare per la vita buona o cancellare per cattiveria dell’insensato sopravvivere” e, infine, come “Incarnazione di un Principio che si incarna in un Re.”
E anche la figura di quest’ultimo - analizzata magistralmente nel capitolo dal titolo La regalità, il Re e la tradizione. Uno sguardo d’insieme - risulta essere chiara: il Re è “arbitro e non despota, equo decisore nell’equilibrio fra le parti”, assertore “della sacra funzione” che va ben oltre “la sfera della semplice mediazione politica, oggi degenerata nella criptopolitica.”
Il Nostro, quindi, con massima coerenza afferma, ancora una volta, che “la Regalità vive di grande esaltazione e ha radice cosmica e metafisica, ma se non si manifesta in un Re è solo ideale aspirazione, per quanto pura e nobile”, evidenziando, tra l’altro, come “non è la potenziale intelligenza quel che effettivamente conta, ma l’incarnazione della stessa intelligenza nel corpo e negli atti che la mente, con le sue funzioni e con il deposito del DNA, determinano nell’atto.”
E, quell’atto sacro - sostiene Tommaso Romano senza orpelli né giravolte usando un linguaggio specifico altamente aulico ma di facile lettura - è appunto il Re che diviene intrinseca necessità, ma anche “icona della paternità”, “emblema del regno del cielo”, mentre la Regina “è colei che solleva i supplicanti, risparmia i vinti, intercede per i condannati” ma anche chi “trasmette la vita, e la vita è soffio, e il soffio è lo Spirito”.
Una visione circolare quella romaniana, dunque, dove la Regalità è volontà del Sacro che si concretizza nell’Idea di un Re Padre e di una Madre santa a partire da Gesù e dalla Madonna.
Così l’Autore, lungo il testo che vanta ben 313 pagine scritte nell’arco di ben cinque lunghi anni, contro “l’irrazionalismo e il reazionarismo totalitario e assolutistico” ormai tanto di moda, quasi con nostalgia, sublima “la corretta Origine del potere sovrano, generato e codificato nel Rito sacro, nei Simboli, nel Mito, sorretto dalla Grazia e dalla Volontà di Dio, con la decisa e laboriosa volontà e determinazione di guida pastorale del popolo, delle nazioni, perseguita e fondata sul primato dello spirituale e del conseguente Diritto Naturale, così come l’esercizio corretto del potere.”
Affermazione quest’ultima propedeutica alla trattazione affrontata, appunto, nel capitolo successivo dal titolo Simboli, Simbologia e Rito, dove il Filosofo dopo avere evidenziato quasi a fior di labbra come “molte monarchie contemporanee siano parvenza e ombre di monarchie autentiche e fondate sulla trascendenza del loro stesso essere e non sul puro, decorativo servizio alla nazione”, ribadisce , e ad alta voce, tanto che “la Regalità è una mistica” e “non una rappresentazione per la quale i giochi parlamentari o il presidenzialismo plebiscitario lasciano ad un politico o funzionario eletto, la notarile o dispotica gestione del quotidiano o la pratica del potere, più o meno temperato e più o meno condizionato da gruppi di o di influenza”, quanto come la Monarchia pur apparendo “quanto di più inattuale e impolitico si possa oggi affermare in molte nazioni”, possa, tuttavia, ritornare nella sua Origine a favore di “quel mondo che pure un giorno si potrà risvegliare dal caos oltre che politico, antropologico in atto” e “indicare la visione di un Principio, una Idea-Forza, un Mito, un Simbolo, un Modello, per una resurrezione” che appare “sempre difficile, ma, comunque, possibile”.
Ma soprattutto in questo capitolo, che appare fondamentale nell’economia di tutto il testo, si evidenzia come il Mito e i Simboli, “per quanto oggi celati, ignorati, contraffatti o vilipesi, sono, i veri punti luce da cui ripartire e ricapitolare (…) per riscoprire con intelletto d’amore una radice insieme sacra, immateriale e spirituale, in grado di elevare il segno, la cosa, con un rimando verso una autentica possibilità di manifestazione basata su una più alta e complessa realtà extratemporale.”
Ma non è tutto. Nella seconda parte del libro - quasi a idealizzare la visione mosaicosmica romaniana - troviamo Saggi ed Interventi magistrali scritti da “Illustri Autori” - così come li definisce lo stesso Tommaso Romano nei suoi dovuti ringraziamenti - quali Ignazio E. Buttitta, Manlio Corselli, Fernando Crociani Baglioni, Pier Felice degli Uberti, Vincenzo Guzzo, Gennaro Malgieri, Carmelo Montagna, Roberto Russano, Antonino Sala, Primo Siena; Saggi e Interventi certamente diversi fra di loro sia per forma che per sostanza, eppure, tutti fortemente complementari alla prima parte la quale si arricchisce notevolmente in virtù della pluralità delle tematiche e in nome delle caratteristiche stilistiche e linguistiche che suggellano, ancora di più, l’importanza di questo volume filosofico voluto e curato dalla Fondazione Thule cultura con la preziosa collaborazione della Fondazione Ignazio Buttitta.
Dieci testi per dieci Autori capaci, quest’ultimi, di dare vita ad un tappeto musivo di straordinario effetto. Così, la lettura avvincente si snoda, dunque, tra la testimonianza di Ignazio E. Buttitta con Il Re vicario divino e uomo Dio: Indoeuropei; la trattazione di Manlio Corselli con La regalità in Ruggero II d’Altavilla e Federico II di Svezia; l’esposizione di Fernando Crociani Baglioni con Regalità per la civiltà cristiana. Dio Patria Re Tradizione Famiglia Identità e Libertà; e ancora, le dichiarazioni Pier Felice degli Uberti su La Regalità Sacra insita nell’uomo di tutti i tempi; la documentazione di Vincenzo Guzzo Riflettendo sul Rinascimento; le affermazioni di Gennaro Malgieri con Regalità e crepuscolo della civiltà; le asserzioni di Carmelo Montagna con Tracce di Regalità protostorica negli ipogei Sicani; l’attestazione di Roberto Russano con Brevi considerazioni sull’attualità del “De Monarchia” di Dante; l’analisi di Antonino Sala con Dagli Imperatori ai Togbe: Re in tempi di Repubblica; e, infine, la prova di Primo Siena con Luce della Regalità nell’epoca dell’oscurantismo che chiude il testo in modo emblematico e simbolicamente epifanico.
Un compendio filosofico, si diceva all’inizio, uscito da uno scriptorium medievale. Sì, perché Tommaso Romano come antico amanuense - tra la prima e la seconda parte del compendio filosofico trascrive - quasi a mano - un significativo florilegio che appare come tres d’union tra le sue argomentazioni e le testimonianze degli Amici Illustri Autori.
Un amanuense, si diceva, più esattamente un certosino di qualità, paziente, laborioso, prezioso, capace di ricercare in solitudine, trascrivere in ritiro, elaborare in lontananza, interiorizzare in libertà.
E di questo florilegio - “all’interno del quale potersi riconoscere per ragionamento, per sentimento, per devozione estetica alla forma, per fideismo o per istituto o, ancora, per opposizione o avversione” - troviamo aforismi, massime, citazioni, metafore, schegge che, a chi scrive, sembrerebbero avere oltre che la volontà di una ricognizione storico-letteraria-filosofica, soprattutto, il desiderio di un messaggio augurale di ampio respiro specie in un momento qual è quello che stiamo vivendo: “dalle macerie ripartire”.
Così la lettura del florilegio - paragonabile quasi allo sgranare di un rosario benedetto - rianima e riconforta grazie all’arte musiva di citazioni appartenenti a S. Agostino, Dante Alighieri, Aristotele, Otto von Bismarck, Tommaso Campanella, Cicerone, Tommaso d’Aquino, Marcel de Corte, Thomas S. Eliot, Julius Evola, George Friedrich Hegel, Niccolò Machiavelli, Michel Onfray, Silvano Panunzio, Roberto Pazzi, Ferdinando Pessoa, Guglielmo Peralta, Tacito, Pietro Vassallo, Gianbattista Vico, Gioacchino Volpe, tanto per fare qualche nome.
Una teologia politica questo compendio filosofico che si distingue per precisione stilistica, esattezza bibliografica, estensione argomentativa.
Così, oltre a Essere nel Mosaicosmo, Contro la rivoluzione la fedeltà, Vittorio Amedeo di Savoia Re di Sicilia, Elogio della distinzione, Cafè de Maistre, La natura Symbolum et Rosa, Tommaso Romano ci dona questa ulteriore Opera dove evidente è la volontà di affermare - al di là del lento ed inesorabile capovolgimento della superiore sostanza dell’Autorità - la sacralità del Sacro, l’Unità nella Verità, l’Origine del Principio, la Regalità come Tradizione.
Un’arca di riparo e di alleanza per superare “l’apocalisse attuale che il virus evidenzia emblematicamente come peste”. Allora, “ripensare l’alba, piantare semi e ritrovare il Re nella mistica restaurazione che è anzitutto spirituale.”
Mosaicosmo, dunque, come philosophia dell’Oltre, doctrina dell’aurora, Logos del viandante, verbum del sapere, pathos del bello ed ethos del giusto, valori che andando contro la morte esaltano la vita.
 
 
 
 
 
 
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