Nota di Tommaso Romano a "Il furore del cigno" di Alessandro Giacalone (Ed. Thule)

Alessandro Giacalone è un giovane poeta a cui Rilke avrebbe sicuramente indirizzato epistole.

Nella trama del sogno la realtà della parola immacolata prende forma e si fa sostanza, attesa di un evento, rarefazione estatica, contemplazione intellettuale.

Alessandro non pensa alla parola poetica come il naturale esito di una controversia esistenziale che si sviluppa fra età adolescenziale e avvento della maturità.  

Egli non scrive sensazioni effimere. Il suo confronto è molto serio e, direi, totalmente impegnativo, a cominciare dal il confronto con sé stesso.

Nei versi di Giacalone si incontrano sovente gli aforismi, quasi sentenze oracolari mitigate dai simboli che relativizzano pure l’assoluto, facendo planare nel fare delle cose, nel rivestire sogni e realtà di archetipi senza rincorrere a stereotipi o a buonismi che la letteratura - che non è moralismi - dovrebbe mettere fra parentesi.

E il cigno è parte di questo universo suo, identitario e al contempo straniante.

Così nelle pagine terse, in una prosa che si misura con la poesia, facendosi la sua verità.

La sua perché la Verità dell’Arte è approdo verso l’oggettività, ma resta irto cammino singolare esperienza d’amore, di passione e di oblio.

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