Profili da Medaglia/17 - "Gabriele Fergola" di Tommaso Romano
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- Category: Scritture
- Creato: 19 Maggio 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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Nato a Napoli 1938, ivi morto nel 2011.
Nel 1953 s’iscrisse al MSI, adesione, del resto, preceduta da letture adolescenziali dei vari giornali “nostalgici” dell’epoca, da “Rivolta Ideale” ad “Asso di bastoni”, da “Meridiano d’Italia” a “Il Nazionale”.
La militanza politica e la presa di coscienza dei contrasti e delle contraddizioni interne al suo partito lo portarono presto a un’ulteriore scelta, quella di riconoscersi nella componente dei cosiddetti “figli del sole”, che avevano il loro punto di riferimento nella rivista “Imperium”, diretta da Enzo Erra, e localmente, a Napoli, nel giornale di battaglia “Riscossa”, diretto da Fernando de Biasi, il cui braccio destro era Silvio Vitale.
Fergola si nutrì con la lettura delle opere di Evola e di Guénon, ma anche di pensatori cattolici quali de Maistre e Rivarol. Esordì nel campo pubblicistico con un articolo sul Romanticismo, edito nel 1955 dalla rivista “Ordine Nuovo” diretta da Pino Rauti, di cui fu assiduo collaboratore, soprattutto nella prima serie. Successivamente collaborò a varie riviste di area, quali: “Il Ghibellino” diretto da Salvatore Ruta e Gianni Allegra; “L’Italiano” di Pino Romualdi; “Adveniat Regnum” di Fausto Belfiori. Nel 1960 fu tra i fondatori de “L’Alfiere”, la prima rivista apertamente tradizionalista, insieme a Silvio Vitale, Antonio Borrelli e Andrea Arpaja. Nel 1964 iniziò una collaborazione assidua al quotidiano napoletano “Roma”, diretto prima da Alberto Giovannini e poi, dal 1971 al 1975, da Piero Buscaroli. Nel periodo della collaborazione al “Roma” s’interessò soprattutto di ispanistica e di meridionalistica; quest’ultimo tema è da collegarsi alla militanza politica nel MSI, partito di cui nel 1976 divenne componente il Comitato Centrale. Durante la direzione Buscaroli fu anche editorialista dello stesso quotidiano. Dopo l’esperienza del “Roma”, dal 1981 al 1995 fu editorialista e collaboratore culturale de “Il Secolo d’Italia”.
Nel 1995, in seguito al congresso di Fiuggi, abbandonò volontariamente il “Secolo” e tutto l’ambiente allora confluito in Alleanza Nazionale. In seguito collaborò anche ai quotidiani “il Giornale” di Milano, “Napoli Notte” e “Il Giornale d’Italia”, nonché alle riviste “Il Conciliatore”, “Studi corporativi” e “Storia verità”. Esercitò la professione di avvocato e docente.
Il suo orizzonte ideale ebbe come punti di riferimento tutti i profeti del pensiero reazionario e antidemocratico europeo: quindi, non solo Evola e Guénon, ma anche Spengler, Donoso Cortés, Vazquez de Mella, Marcelino Menéndez y Pelayo, Maurras, Sombart, Spann, Carl Schmitt, Jünger e tanti altri. Appassionato, ma anche esperto della cultura ispanica, fu amico di Allegra, Tricoli e de Tejada. Fergola non credette al mito del Risorgimento e ai “valori” della “resistenza”, per cui i suoi libri ne sono il riflesso: così il pamphlet Antirisorgimento (1961), ma anche i saggi Beats (1970), Il reazionario Freud (1971), Il Mezzogiorno problema nazionale (1976), scritto nell’epoca del suo massimo impegno meridionalista, Storia della destra spagnola (1979), Apologia di Brasillach (1989), Nostro Signor Don Chisciotte (2006). Inoltre curò l’antologia Ortega y Gasset, Masse e Aristocrazia e le edizioni italiane de L’Hidalgo e l’onore di Alfonso Garcia Valdecasas, di Fascismo in Spagna? di Ramiro Ledesma Ramos e il terzo volume di Napoli spagnola di Francisco Elias de Tejada.
A Fergola, insieme a Silvio Vitale, si deve una lettura diversificata del Meridione, senza veli patriottardici, a partire dalla fine degli anni Cinquanta.
Era sempre lucidissimo nelle analisi, per quanto compassato – tranne scatti improvvisi – nella figura, quasi un ritratto napoletano di Tomasi di lampedusa. Lo conobbi negli anni Settanta e intensi furono i nostri dialoghi, specie riguardo alla dottrina politica. Dolorosa, lunga ma infine ricomposta, fu la frattura con Silvio Vitale; per molti di noi, che eravamo amici di entrambi, quasi una lacerazione. Non ne affrontai né con lui né con Vitale i reali motivi. Alla civiltà della convivialità Fergola era legato, come a tutte le buone tradizioni di Napoli, e per questo fui suo ospite alla “bersagliera”, un notissimo, allora, ristorante sul mare. In quell’occasione – siamo nella seconda metà degli anni Settanta – mi parlò a lungo della “consanguineità ispanica”, del legame che univa il Sud alla Spagna, oltre agli stereotipi risorgimentalistici e modernistici delle “terribili denominazioni straniere”. Ben altro, diceva, è il Mediterraneo e la sua civiltà che unisce nelle peculiari differenze. I Borbone Due Sicilie – ribadiva con argomenti forti – furono gli autentici interpreti di questa fratellanza e civiltà.
In altre temperie storiche, Fergola sarebbe stato un meridionalista riverito e studiato. Nell’aprire i lavori del Dipartimento Mezzogiorno, negli anni Novanta, Dino Grammatico ce lo confermò. A me, inoltre, piace molto ricordare lo studio accurato di Fergola sul Don Chisciotte, i cui valori ribadì con autorevolezza in un suo libro, rendendo un colto omaggio al mito cavalleresco eterno, un merito paradigmatico di Miguel de Cervantes.