Pubblichiamo la nota di Giovanni Dino (curatore) al volume "Sorella morte" (Ed. Thule)
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- Category: Scritture
- Creato: 30 Agosto 2023
- Scritto da Redazione Culturelite
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Ogni poesia brilla di propria luce
Non è stato facile coinvolgere autori e autrici, voci di rilievo di tutta Italia, e invitarli a scrivere poesie sul tema scelto per questa antologia: quello della morte. Un tema per nulla ridente e festoso, come ben testimonia nel suo intervento Elio Giunta, anzi, uno dei temi più difficili e inquietanti da affrontare, al di fuori dei generi classici delle lodi funerarie e degli epitaffi. Ma è proprio questa difficoltà che ci porta ad approfondire un tema così controverso. Chi fa poesia è chiamato per vocazione alla sfida, alle corse in salita, a lottare controvento, perché per sua natura è creatura maledettamente libera, abituata a viaggiare nel mondo e nell’anima attraverso le ali della poesia per interrogarsi e indagare la vita e i suoi misteri, esplorando i tanti perché che ci tormentano. Oggi più che mai è chi fa poesia a toccare con la parola i meandri più nascosti, misteriosi e oscuri della vita riuscendo qualche volta a tradurre in una ragionevole verità i grandi temi che agitano il nostro vivere e il nostro pensare.
Ho sempre concepito le antologie poetiche a tema come gioco di squadra di una comunità virtuale dove ogni partecipante contribuisce, con il proprio pensiero e la propria poetica, ad arricchire l’intera opera di spunti, visioni e prospettive nuove, diverse e complementari l’una all’altra. Tasselli, quindi, preziosi e indispensabili alla creazione di un grande mosaico sinergico e meraviglioso.
Ritengo pertanto che l’adesione a un’antologia poetica a tema non comporti particolari rischi e svantaggi, né in termini di perdita di tempo né di prestigio poetico e culturale nel trovarsi affiancati ad altri autori/autrici. Nessun testo rischia di finire svalutato o tralasciato, come qualcuno teorizza, a causa dell’ampio e variegato panorama poetico. E non è vero che le antologie non vengono lette e che gli autori partecipanti leggono solo le proprie liriche per poi accantonare il libro. Da curatore di lavori collettanei posso assicurare tutto il contrario attraverso testimonianze, lettere e recensioni positive raccolte negli anni. Ogni poesia brilla di luce propria ovunque sia collocata: in un blog, o giornale di periferia, o rivista internazionale, o antologia come nel nostro caso. Ogni singolo testo rispecchia la spiritualità e il pensiero di chi l’ha inchiostrato, e di certo non può mutare la sua essenza e natura solo a motivo della collocazione fisica in cui venga a trovarsi, anzi. A mio avviso ed esperienza, il testo di un autore meglio si può assaporare, per sua forma estetica e di pensiero e catturando l’intima profondità di chi lo ha scritto, proprio quando si trova a confronto con altri testi sullo stesso tema, con il modo cioè in cui ciascun autore/autrice lo “addenta” e lo interiorizza.
Il tema scelto per questa antologia, come detto più sopra, non è facile né felice, anzi, è il più faticoso e triste da affrontare, il più difficile da “digerire”. La perdita, il distacco e l’assenza di una persona cara non solo causano un dolore intenso e profondo ma comportano anche una perdita di equilibrio non semplice da ritrovare.
Non c’è essere vivente che non abbia fatto i conti con un lutto personale e non sia consapevole che la morte è il traguardo di tutti. Fin dall’antichità la morte è il tema più indagato da ogni branca dell’umana conoscenza: filosofia, teologia, scienza, arte, poesia, scrittura… tutte affrontano il tema più misterioso, scivoloso ed enigmatico dell’esistenza rispetto al quale il genere umano è tuttora orfano di un’inattaccabile verità. Quello verso la morte è il sentimento più forte e profondo che l’Umanità possa sperimentare, pari solo a quello dell’amore che, come ricorda Il Cantico dei Cantici, in ogni essere umano smuove emozioni potentissime. Quando in una casa la morte si porta via qualcuno, lascia in chi resta un dolore perpetuo, spesso muto, che richiede una sana metabolizzazione della perdita per poter raggiungere una salda rassegnazione e scongiurare, a volte, persino danni psicofisici. A volte, invece, può indurre a profonde riflessioni, a nuove prese di coscienza, di conoscenza e di depurazioni che consentono un salto importante nell’evoluzione culturale e spirituale di chi soffre.
Fin da bambino ho visto morire parenti e conoscenti ai quali volevo molto bene e mi chiedo da allora: perché si muore? Perché si deve morire? È mai possibile che non si possa fermare la morte? Che cosa ce lo impedisce? E si muore per sempre? E dopo che cosa succede, che cosa ci attende da morti? Cerco sempre le risposte, se davvero esistono, ma dove trovarle?
Mi sono appassionato fin da ragazzo a studi biblici e teologici nei quali ho concentrato la mia ricerca sulla morte nel tentativo di trovare risultati. In età matura sono approdato anche alle spiritualità orientali. Ho letto tantissimo sull’argomento, testi di diversi orientamenti religiosi, filosofici, metafisici. Fra le tante letture interessanti mi hanno oltremodo convinto le testimonianze dei santi del passato, degli asceti, dei mistici e dei Padri della Chiesa: quasi tutti raccontano le proprie esperienze e visioni relative alla morte, chi in forma contemplativa, chi riflessiva e chi diaristica. Ma anche le stesse testimonianze in punto di morte, di persone comuni ancora in grado di esprimersi o familiari o conoscenti, meritano altrettanto interesse e rispetto nonostante la semplicità delle loro parole. Purtroppo, a mio parere, accade invece il contrario: quei racconti sono più spesso svalutati, ridotti a pragmatiche semplificazioni e condannati all’oblio, anziché essere oggetto di maggiori studi usando le sinergie del pensiero scientifico-culturale-spirituale di ogni civiltà esistente, di ieri e di oggi. Le conseguenze a cui assistiamo, quindi, vanno dall’eccessiva ingenuità delle masse al fatalismo, dal tabù alla superstizione, dal controllo del potere religioso sui principali misteri della vita alla coltivazione “scientifica” dell’ignoranza per meglio assoggettare le menti.
Penso che il fenomeno della morte non obbedisca solo alle leggi della fisica, della chimica e della biologia. Pertanto andrebbe studiato non solo ed esclusivamente dalle scienze dotte e conclamate con il massimo rigore e metodo logico, ma anche da nuove discipline. La morte appartiene altrettanto alla dimensione dello spirito e della trascendenza ed è lì che va spostata l’attenzione e lo studio. È lì che bisogna puntare per dare spazio a nuove conoscenze e a nuove scienze, oggi ancora non riconosciute, affinché possano liberamente dare il proprio apporto laddove la scienza ufficiale e tradizionale e la religione non arrivano a soddisfare i legittimi interrogativi.
Testi dei millenni passati ci raccontano che l’umanità aveva un sereno rapporto con la morte, che vita e morte erano il frutto dello stesso albero. Antiche testimonianze scritte di culture di ogni parte del mondo parlano della morte e delle esperienze con essa in chiavi di lettura molto differenti da quelle elusive e reticenti alle quali siamo oggi abituati. Fra i tanti libri da prendere in considerazione ci sono Il libro dei morti degli antichi egizi e Il libro tibetano dei morti, i quali nel Novecento hanno registrato continue ristampe in ogni parte del mondo, a testimonianza del grande interesse che suscita il tema da sempre. Non sono gli unici libri dell’antichità che parlano dei fenomeni morte, premorte e postmorte: anche il Nuovo e il Vecchio Testamento, e non solo, sono ricchi di citazioni in merito, pur non fornendo mai spiegazioni al riguardo.
Con molta lentezza e prudenza, ci si sta comunque avvicinando all’esplorazione di nuovi territori. Sul finire degli anni ‘70 del secolo scorso, si sono aggiunte indagini sia sui malati terminali, sia su quanti sono usciti da esperienze di coma, aprendo nuove prospettive sull’evento-morte, dando il via anche a una serie di studi che tendono ad avere carattere scientifico su fenomeni quali i “viaggi astrali” (OBE: Esperienze extracorporee), le esperienze di premorte, la reincarnazione, il ritorno dal tunnel di luce, ecc.
A noi poeti e poete non spetta spiegare che cosa sia la morte, né che cosa ci sia dopo, né scrivere trattati su di essa, bensì esprimerci su ciò che abbiamo udito o visto e capito personalmente della morte.
L’arte e la letteratura sono ricche di opere che hanno trattato l’argomento da singolarissime angolature, rivelando un interesse di umanità profonda. Sono uscite opere unitarie e complesse sulla morte o sul suo approssimarsi, vedi Francesco Grisi (La dolce compagna), Salvatore Di Marco (Il canto della mia morte), Pietro Mirabile (L’angelo e la voce), Guido Zavanone (L’essere e l’ombra), Narda Fattori (Cambiare di stato morire di natura), Antonella Barina (Lo scandalo della morte), solo per citare alcuni autori e autrici di mia personale conoscenza, ma molti altri ve ne sono di altrettanto rilievo.
Tutti i componimenti pervenuti in redazione sono in stretta relazione con il tema, belli, emozionanti e pregni anche di portato personale e familiare, carichi di significati spirituali e di speranza. Molte le poesie dedicate ai propri cari, dove non mancano sfoghi di dolore e di nostalgia. In altri casi, il canto si eleva a preghiera rivolta all’Universo in cerca di pace e di risposte anche se, a dire il vero, il progetto era più focalizzato sull’enigma della morte in sé e a registrare episodi straordinari che la circondano dei quali si è stati testimoni diretti. Probabilmente ha agito anche una qualche forma di pudore, come accenna Franca Alaimo nella sua dotta prefazione.
Ma è tempo di prestare ascolto alle voci dei 93 poeti e poete che hanno reso possibile la realizzazione di questa antologia sulla morte.