Recuperi/7 - “Sicilia terra del mito” di Gianfranco Romagnoli

Nel 2005, il Centro Internazionale di Studi sul Mito, nato a Recanati come costola del Centro Nazionale di Studi Leopardiani, fece la sua prima uscita pubblica a Erice, con un convegno internazionale; lo stesso anno fu decisa la costituzione di una Delegazione Siciliana, che mi onoro di presiedere.
Due scelte unite da una motivazione che le rendeva ineludibili: l’essere, la Sicilia, la terra del mito per eccellenza.
C’è da rimanere sbigottiti di fronte alla ricchezza di miti, maggiori e minori, ai quali ogni angolo della Sicilia ci richiama e che, attraverso la toponomastica o le sue tracce in tradizioni popolari, si rivelano ancora presenti ed attuali come radicati, magari in maniera inconscia, nella psicologia collettiva.
Una breve, e necessariamente sommaria e assai lacunosa, rassegna dei più im­portanti miti nei singoli territori dell’Isola, anche se ripeterà cose ben note ai Sici­liani, varrà, credo, con l’evocarle tutte insieme, a motivare queste mie affermazioni.
Cominciamo da Erice, nel Trapanese, dove il nostro Centro esordì. Oltre la leggenda riguardante il nome, che è quello del figlio di Afrodite e dell’Argo­nauta Bute che, gettatosi in mare sedotto dal canto delle Sirene fu salvato dalla stessa dea, il richiamo più forte non può essere che alla Venere Ericina, la cui memoria è materialmente perpetuata dalle vestigia del suo ricco tempio, sor­gente al sommo di quella montagna sacra, che sfidando le nubi si erge maestosa sul mare. Il culto della dea, d’origine fenicia (da qui la prostituzione sacra pra­ticata dalle sacerdotesse di Erice), fu importato a Roma dalla Sicilia durante la seconda guerra punica per propiziarsene i favori. L’origine fenicia era altresì elemento di unione dell’Isola con l’antistante costa africana, dove ogni anno, tra grandi feste, la statua della dea, accompagnata dalle sue colombe, veniva portata per sostarvi nove giorni. Per rimanere in questo territorio, non pos­siamo dimenticare lo sbarco di Enea a Drepanon, i giochi funebri tenuti a Mozia in onore di Anchise e la sua sepoltura nei pressi del Monte Erice.
E ancora, nei pressi di Marsala, la presenza della Sibilla Lilibea, in rapporto forse di identificazione, o forse di rivalità per la primazia, con la Cumana. Non dimentichiamo, infine ma non ultima, la testimonianza che dell’antica religiosità ci è data dai templi di Selinunte e di Segesta, con i miti della loro fondazione.
Spostandoci nel Catanese, incontriamo il mito di Tifeo, l’orribile mostro dalla forza smisurata, figlio di Gea e di Tartaro, inseguito dai fulmini di Zeus, la cui signoria aveva sfidato e che aveva vinto in uno scontro nel quale gli re­cise i tendini, poi restituitigli da Ermes. Passato che ebbe lo Stretto, Zeus gli scagliò addosso l’Etna. Il gigante vomita fiamme dal cratere del vulcano e cerca di scrollarsi di dosso il peso che lo opprime, generando con il suo agitarsi violenti terremoti. Ma i miti dell’Etna non finiscono certo qui: il suo cratere era sede della fucina di Efesto - nel quale fu identificato il più antico dio locale Adrano - che vi lavorava aiutato dai Ciclopi. Efesto era venerato nella città di Etna (Inessa), ove ardeva un fuoco inestinguibile nel suo tempio, custodito da cani sacri capaci di individuare la bontà o la malvagità dei pellegrini. Nel cra­tere, in base a un mito posteriore portato in Sicilia dai Normanni, era invece collocato il palazzo nel quale Re Artù, sconfitto e ferito gravemente in battaglia dai Sassoni, fu condotto dalla sorella Morgana: qui riposa in condizione di im­mortale, finché un giorno non tornerà nel mondo per riprendere il suo regno.
Morgana ci fa spostare nel Messinese in quanto, per stare vicino al fratello, prese dimora in un palazzo di cristallo posto sotto le acque al centro dello Stretto, dando nome al fenomeno di rifrazione ottica noto come Fata Morgana. Lo Stretto era già sede di miti più antichi, come quello di Scilla e Cariddi.
La prima, figlia forse di Tifeo e di Echidna (o, secondo altre versioni, di Lamia o della dea Crateide e del dio marino Forcide) fu trasformata in un mo­stro dal cui inguine sporgevano sei cani feroci per avere respinto l’amore di Glauco (o secondo altra versione, di Poseidone): era appostata sulla costa calabra, da dove divorava le navi di passaggio. La seconda, figlia di Gaia e Po­seidone, trasformata in mostro dal fulmine di Zeus per punirla della voracità che l’aveva portata a divorare tutti i buoi di Gerione condotti in Sicilia da Eracle, risiedeva su uno scoglio presso Messina, da dove tre volte al giorno assor­biva grandi quantità d’acqua di mare, inghiottendo le navi di passaggio. Riportabili alle acque circostanti sono anche altri miti citati nell’Odissea, come quello delle Sirene e quello dei Ciclopi.
Nella Sicilia centrale spicca, come importante luogo di miti, Enna con il suo territorio. E’ qui che è ambientato il mito di Demetra il cui tempio sorgeva nel punto più alto della città, ora occupato dal Castello di Lombardia: la con­ferma di tale localizzazione è data da una una iscrizione incisa su un masso ai suoi piedi. Dea delle messi, ipostasi dell’antichissima figura della Magna Mater diffusa in tutto il bacino Mediterraneo e nel vicino Oriente, presiedeva al ciclo agricolo. E’ ben noto il mito della figlia di Demetra, Persefone, rapita dal dio degli inferi Ade per fame la sua sposa e divenuta, da leggiadra vergine, la ter­ribile regina Proserpina, e delle ricerche che ne fece la madre, facendo per il dolore inaridire la terra finché questa non rifiorì a seguito della sentenza di Zeus, il quale dispose che Persefone dimorasse sei mesi con lo sposo e sei con la madre. Di questa storia, qui interessa sottolineare che il rapimento è stato col­locato sulle fiorite sponde del lago di Pergusa, nei cui pressi emerse all’improvviso, dalle dimore sotterranee, il carro dorato del dio tirato da neri cavalli.
A Siracusa ci conduce il mito di Proserpina. La sua compagna Aretusa, una ninfa che, presente al fatto, tentò di ostacolare il rapimento, fu trasformata dal­l’incollerito Ade nella omonima fonte. Ma non è soltanto in questo che consiste
il legame di Siracusa con il mito: non dimentichiamo che in essa visse ed operò il grande Eschilo, le cui tragedie, ancora rappresentate nell’antico teatro sito nella zona archeologica, si ispirarono a tutti i più importanti miti greci che erano fatti rivivere con musiche, danze e canti, per gli spettatori. Di quei miti rappresentati, le antiche pietre sembrano conservare ancora viva l’eco, che scende in profondità nella parte più eletta della nostra anima.
E che dire di Agrigento? La presenza nell’antica Akragas dei famosi templi greci e, nella stessa area archeologica, quella della grande statua del Ciclope, oggi distesa al suolo e ricostruita accostando le sezioni in cui è divisa, è già grandemente suggestiva dei miti e riti dell’antichità. Ma ancora più antico e for­temente suggestivo è il mito di Dedalo in Sicilia. Fuggito in volo dal labirinto di Creta, in cui era stato rinchiuso con il figlio Icaro dal re Minosse, grazie alle ingegnose ali da lui costruite, Dedalo, evitando di avvicinarsi troppo al Sole che, sciogliendo la cera che teneva insieme le penne, aveva causato la caduta in mare di Icaro, continuò a volare sino a giungere in Sicilia, atterrando nella terra dei Sicani che abitavano la valle del Platani. Accolto e regalmente ospi­tato, grazie anche alla sua fama di grande architetto, dal Re Cocalo, costruì per lui la mitica Gamico come città fortezza situata su una mpe inaccessibile.
Da lì i Sicani resistettero, sconfiggendoli, all’assalto dei Cretesi, infuriati perché il loro re Minosse, che aveva inseguito Dedalo, era stato ucciso tramite le figlie da Cocalo, non disposto a consegnargli il fuggiasco.
Ragusa evoca la figura di Dafni, un semidio del ciclo bucolico, figlio di Ermes dio delle greggi e di una ninfa: allevato dalle ninfe che gli insegnarono il mestiere del pastore, apprese l’arte della musica da Pan e fu l'inventore del canto bucolico che accompagnava con la zampogna. Fu accecato e ucciso per gelosia dalla ninfa Nomia, o secondo altre versioni, su uccise o fu tramutato in roccia, o fu rapito in cielo dal padre Ermes. Da vari scrittori antichi la terra dei Lotofagi descritta nell’Odissea è stata situata tra il fiume Ippari e la città Kama- rina, piuttosto che, come sembra, sulla costa cirenaica.
Resta da dire di Palermo. Nell’età antica non si riscontrano miti simili a quelli delle altre zone della Sicilia perché la città non fu mai greca, ma di origini fenicie, per poi passare sotto il dominio arabo. I miti più significativi datano dall’età normanna: essi stessi un mito, è dai re normanni, dalla loro epoca e dalla loro stirpe che ebbe origine il mito più forte di Palermo: Santa Rosalia.
La fama di questa figura di santità le cui notizie biografiche sono scarse ed evanescenti, dapprima limitata a Palermo dove fu monaca basiliana e alla zona intorno a Santo Stefano di Quisquina in provincia di Agrigento dove si dice abbia soggiornato in una grotta eremitica ancor oggi visibile, “esplose” durante la peste di Palermo del 1625 quando il governo vicereale spagnolo, rinvenutene le spoglie sul Monte Pellegrino a seguito del sogno d’un cacciatore, le fece
portare in solenne processione, al che seguì la cessazione dell’epidemia e la proclamazione della Santa a patrona di Palermo. Da allora, mediante opere let­terarie e teatrali colte e popolari, furono innestati sui suoi scarni dati biografici numerosi episodi leggendari che ne hanno creato il mito, ancor oggi assai vivo tra i palermitani.
Conclusivamente: quanti miti, e quanto importanti sono racchiusi come in uno scrigno in quest’isola, terra del mito per eccellenza! Indagarli con i mo­derni strumenti di analisi sotto i profili storiografico, letterario, sociologico, psicanalitico, delle arti figurative e di ogni altra utile disciplina è l’immane compito che la Delegazione Siciliana del Centro Internazionale di studi sul Mito si è assunta e che, mediante gli studiosi che ne fanno parte, sta portando avanti ormai da otto anni.
 
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