“Ricordo di Raffaele Pettazzoni” di Salvatore Lo Bue

I quattro volumi di Miti e Leggende di Raffaele Pettazzoni, il più grande storico delle religioni del Novecento, maestro di tutti gli altri eminenti studiosi che sono stati suoi allievi e hanno fondato a livello europeo un nuovo metodo di indagine storico-etnologico-fenomenologica così accurato da porsi come fondamento di ogni contemporanea scienza delle religioni, è una delle più grandi opere della  storiografia e mitografia del Novecento.

Raccoglie, in quattro volumi di inarrivabile e sontuosa indagine, pubblici da U.T.E.T. nel 1947, i miti di origine di tutti i popoli del mondo, ripercorrendo le trame dei racconti originari dei cinque continenti. Il quasi dimenticato titano, la cui biografia essenziale è facile leggere nel lemma a lui dedicato dalla Encinclopedia Italiana Treccani, a cui rinvio, fu il primo traduttore di testi rarissimi della tradizione dell’Africa e della Australia (primo volume), dell’Oceania (secondo volume), dell’America settentrionale (terzo volume), dell’America centrale e meridionale (quarto volume). Un’opera geniale e assoluta, oggi impensabile, che fece di Raffaele Pettazzoni, insieme ad altri grandi libri sulla religione greca, il Kereny italiano, una misterica presenza che ancora oggi, nel sottosuolo delle nostre anime, riscuote la devozione che si deve ai grandissimi. Per non dire altro e rinviando a una vera scoperta di questo Autore, riporto brani della Introduzione al primo volume :

 

L'idea di quest'opera mi venne al tempo dell'ultima guerra, quando dalla realtà tristissima il pensiero cercò rifugio nel mondo della fantasia, e dalla frequente consuetudine con le voci di una umanità primitiva nacque il proposito di divulgarne alcune nella nostra lingua, e poi via via si venne ampliando il piano e articolando il disegno di una vasta antologia di « Miti e Leggende » di molti e molti popoli. E nel pensarci, sempre più mi si chiarì il carattere e il valore dell'opera, non soltanto per la novità sua e per l'opportunità di rendere largamente accessibili agli Italiani tante singolari testimonianze di uno spirito esotico; nè solo perchè nei miti e nelle leggende dei singoli popoli si vede riflessa la vita loro e il costume e la civiltà (anche in certe sue forme arcaiche e disusate, anche in taluni suoi aspetti più intimi che sfuggono ad una superficiale osservazione), sicchè da più parti si è proceduto a costruire coi dati della mitologia il quadro culturale di questa o quella popolazione; ma anche in senso più largamente umanistico, nel senso ideale dell'esser uomini, e dunque atti ad intendere ogni discorso umano, per quanto estraneo e remoto, anche lo stentato balbettare dei Boscimani cacciatori, anche il monotono raccontare degli Australiani totemisti, nonché il vago favoleggiare degli Indonesiani matriarcali, su su fino ai capolavori di questa letteratura non scritta, ormai avulsi, o quasi, dalla originaria matrice e ricchi di accenti universalmente umani.

Ecco perchè i miti sono storie vere e non possono essere storie false. La loro verità non è di ordine logico; nemmeno è di ordine storico: è, sopratutto, di ordine religioso, e più specialmente magico. L'efficienza del mito ai fini del culto, per la conservazione del mondo e della vita, sta nella magia della parola, nel potere evocativo della parola, del mythos, della fa-bula non come discorso favoloso ma come forza arcana e possente, affine, anche secondo l'etimologia, alla potenza del fatum. E’ cosi perchè si dice che è cosi: con questa frase un Eskimese della tribù dei Netsilik formulava in modo efficace la verità magica, cioè la virtù realizzatrice della parola parlata, con riferimento specifico ai racconti dei Netsilik, che sono insieme la loro storia vera e la sorgente di tutte le loro idee religiose.

Non per nulla presso i popoli cacciatori si raccontano miti e storie di animali in occasione delle partite di caccia. Cosi, presso i Pani, le già accennate storie, storie vere del mitico eroe che salvò il popolo dalla fame facendo strage di bufali, sogliono essere recitate dai cacciatori partecipanti ad una spedizione, perché quella mitica eccezionale cattura, pel fatto stesso di essere raccontata, cioè enunciata, e quindi evocata, ha la virtù di assicurare un buon successo alla caccia attuale. Analogamente i Korxxa (kolariani di Chota Nagpur, India centro-orientale), prima di andare alla caccia, usano raccontarsi fra loro delle storie di caccia, convinti che ciò conferisca al miglior esito dell'impresa Presso varie popolazioni della Siberia   e dell'Altai i cacciatori sogliono, la sera, raccontar storie nella capanna comune, perché, si dice, gli spiriti del bosco, che sono i naturali protettori degli animali, amano tanto ascoltarle che subito accorrono in frotta, e abbandonati a se stessi, più facilmente cadono preda dei cacciatori (5).

 

Ma Verrà un giorno in cui anche i miti delle origini perderanno la loro verità e diverranno a lor volta ' storie false ', ossia favole, quando anche il loro mondo, costituitosi sulle rovine del primo, andrà a sua volta in frantumi per dar luogo ad un ulteriore   formazione diversa. Cosi infatti procede la storia, per successive disgregazioni e reintegrazioni, dissolvimenti e rinascite, nella perenne alternativa del vivere e del morire. E quando, per interno disfacimento o per soverchianti forze esteriori, un mondo si dissolve e un altro sorge dalle sue rovine, quando una forma di civiltà vien meno per dar luogo a un'altra, allora cessa l'organica consistenza dei suoi elementi  costitutivi, i quali, disintegrati e scardinati e scompaginati perdono ogni coesione e cadono in balia di forze dispersive Allora anche i miti, frantumi tra i frantumi, spogli oramai carattere religioso, costituzionalmente estranei alla nuova sua propria ideologia, sono relegati al margine della nuova staccandosi interamente dalla matrice, già svincolati da ogni legame vanno per le vie del mondo passando di bocca in bocca per puro divertimento.

Tali e tanti sono i problemi che si pongono a chi prende a studiare i miti e le leggende. E tali, ed altri ancora, mi furono presenti al pensiero durante la composizione di quest'opera, e prima di tutto nella scelta dei singoli testi. Chè la difficoltà non fu di trovare materia al mio lavoro (per quanto parziali e manchevoli siano stati i miei mezzi d'informazione e di esplorazione), bensì di scegliere, in tanta abbondanza, ciò che fosse letterariamente più leggibile e interessante per la generalità dei lettori e ciò che fosse storicamente più suggestivo e atto a schiudere prospettive nuove e a suscitare interesse per quei problemi. E perciò, ad esempio, fra i miti, feci larga parte a quelli delle origini, per il loro sopraccennato carattere religioso e le interferenze con la dibattuta questione degli esseri supremi e della cosiddetta origine dell'idea di Dio; e fra le leggende notai quelle in cui ricorre, a grandi distanze di luogo e di tempo, uno stesso motivo caratteristico — origine della morte, Orfeo ed Euridice, Amore e Psiche, la Torre di Babele, la favola di Menenio Agrippa, ecc. sfiorando cosi il problema generale dei paralleli e delle convergenze, problema che alcuni risolvono in senso monogenetico, per diffusione da un centro unico, da situare sia nell'India buddistica, sia nell'Antico Egitto o altrove.

Dico sfiorando perchè il carattere divulgativo dell'opera non comportava una adeguata trattazione esegetica, ma soltanto le brevi note occasionali, e per cosi dire marginali, inserite qua e là, che al giudizio e al gusto del lettore pensoso riusciranno forse troppo succinte… Sicchè io vorrei che l’Opera si presenti come un rudimentale Corpus Mythorum, e tale vorrei che essa fosse o divenisse, nella speranza che altri, dopo di me, voglia completarla o emendarla, provvedendo alle lacune e incongruenze e difetti che in questa prima attuazione di cos’ vasto piano non si poterono evitare.

 

 

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