Riflessioni sul paesaggio
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- Category: Scritture
- Creato: 19 Marzo 2018
- Scritto da Virginia Bonura
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La Convenzione europea del paesaggio, definisce il paesaggio: “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.
Firmata a Firenze nel 2000, è stato il primo strumento, dopo la carta di Napoli del ’99, che legifera, controlla e introduce provvedimenti circa il tema di tutela e salvaguardia del patrimonio paesaggistico, includendo tutti i paesaggi, indipendentemente dai canoni di bellezza e originalità.
Cosi anche nel Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, l'art. 131, comma 1 del DLgs 22 n. 42, riporta la seguente definizione: “Ai fini del presente codice, per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”.
Il Comma 2 dello stesso articolo recita: “la tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili”.
I due strumenti sopraccitati, definiscono discretamente il concetto comune di paesaggio.
Attraverso la storia, la cultura, l’evoluzione della società, la politica e nel corso dei secoli il paesaggio diviene, sempre più, oggetto di indagine e interesse, prima ancora di darne una definizione certa.
L’immagine del paesaggio, come oggi noi lo conosciamo, prende corpo nel ‘700, il paesaggio pittoresco, la scena paesaggistica, fino ad allora non sono mai state osservate come modello di indagine se non come una descrizione della natura dal punto di vista geografico e fisico.
Il paesaggio oggi, argomento di dibattiti sempre più accesi e poco chiari, desta sempre più l’interesse del pubblico e delle professionalità, poiché necessita di una reinterpretazione e ridefinizione secondo l’esigenza sempre più forte di una “rinaturalizzazione” della società.
Da qui proprio l’idea del paesaggio quale componente necessaria quanto avulsa nella società di oggi, attraverso cui l’individuo ricerca il suo codice sociale.
Secondo questa ipotesi di indagine si collocano perfettamente due concezioni di paesaggio definite da due importanti studiosi, Alain Roger[1] nel suo “Breve trattato sul paesaggio”, traccia una distinzione tra il paesaggio in visu (rappresentazione) e il paesaggio in situ (realtà fisica). Il concetto di Artialisation[2] bene definisce la sua idea secondo cui il paesaggio ha origine per mano umana e dell’arte, la natura acquisisce bellezza ai nostri occhi solo per mano dell’arte; Gilles Clement[3] in “Breve storia del giardino”, fa una digressione sull’evoluzione del concetto del giardino, attraverso le epoche, i luoghi, e gli stili al fine di definire il giardino quale origine del concetto di paesaggio come il divenire della natura, dello spazio e del tempo, biodiversità in cui l’attività umana è assente per non dissacrare la terra.
Due concezioni diverse, opposte, da un lato la personificazione umana della natura, attraverso l’azione dell’uomo, dall’altro una spiritualizzazione della natura; idee che richiamano al parallelismo tra le figure mitiche di Prometeo e Orfeo, secondo l’interpretazione che ne da Gianfranco Marrone[4] in “Addio alla Natura” il primo, eroe e insieme vittima della tecnica, sembra prevalere sul secondo, Orfeo eroe culturale e naturale, permeato da un ecologismo new age, sopraffatto dall’atteggiamento meccanicistico dell’uomo.
L’interesse sempre più forte verso l’elemento “paesaggio” per l’individuo sociale, nasce dalla necessità di ridefinire il proprio status attraverso un ritorno a quella natura, che la società moderna, ha allontanato, dimenticato per causa di un sempre crescente malessere o crisi urbana, in cui l’allontanamento dalla campagna al costo di una urbanizzazione opprimente, ha creato quello che oggi noi definiamo il Non Luogo, o Terzo paesaggio[5] o spazio periurbano[6]; tre modi per definire lo spazio residuale, i vuoti che le professionalità del settore, chiamate a ripensare, riprogettare traducono molto spesso come interpretazioni simboliche, monumenti celebrativi di storia e cultura; silenziosi brani di città che interpretano il luogo attraverso muti e vuoti artefatti, privi dello spirito vitale che l’individuo imprime a ciò che gli appartiene. Il caso più eclatante a cui fare riferimento è proprio la ricostruzione artistica del Belice, in cui eminenti artisti e architetti chiamati a ripensare lo spazio, invocano una sovranità dell’arte a scapito dell’umanità del luogo.
Fare il paesaggio, oggi, significa trasporre l’uomo, le sue necessità, i suoi bisogni, fisici e psichici, sì attraverso il linguaggio dell’architettura, dell’arte e della natura, ma senza tralasciare il rispetto per il luogo e il coinvolgimento dello spettatore, dell’individuo, della comunità a cui quel “Luogo” deve appartenere e con il quale interagisce, al fine di non commettere gli errori del passato.
Conoscere il territorio, la comunità che lo vive, le logiche produttive e sociali, che fanno di uno spazio un “luogo”, in cui è forte il senso di appartenenza di una comunità significa riuscire, attraverso la ri-progettazione e il ri-pensamento dello stesso, a ritrovare il piacere e l’appagamento che la natura trasmette all’individuo; ed è proprio in questa ricerca del benessere sociale che il paesaggio va ripensato come “bene comune”.
[1] Alain Roger, professore di filosofia, autore di “Breve trattato sul paesaggio” attraverso cui definisce la sua idea di paesaggio, come un’invenzione culturale.
[2] Concetto di natura o paesaggio, frutto dei processi culturali, paesaggio costruito (materia) da chi lo guarda, lo immagina, lo interpreta attraverso la propria arte, il periodo storico, gli stili…
[3] Gilles Clément, docente presso l’Ecole Nationale Supérieure du Paysage a Versailles, autore di “Breve storia del giardino”.
[4] Autore di “Addio alla Natura” nel suo saggio, nasconde dietro un equivoco ecologismo una società di contraddizioni in cui «l'entusiasmo per la Natura» diventa causa della sua rovina.
[5] Luogo abbandonato dall’uomo, cosi come lo definisce Gilles Clément
[6] Idea di spazio ibrido tra città e campagna che viene descritto da Pierre Donadieu in “Campagne urbane”, interpretato come luogo dell’incertezza.