Simona Lo Iacono, "Il Morso" (ed. Neri Pozza)

di Gabriella Maggio

 

Palermo, barocca e misera, potente e asservita  ha storie da raccontare, di gente nota, i Ramacca, gli Agliata  e di tanti di cui affiorano solo  scarse testimonianze, come Lucia Salvo. La quotidianità che scorre monotona non ha fascino per chi compone un racconto, perciò la scrittrice  ricerca quello che va al di là dell’apparenza, che sfiora il mistero del non detto e dell’inconsapevolezza, come il fatto che segna la vita di Lucia o la mutilazione che rende  il castrato signorino Angelo, forse. Ma controvoglia. Sono due  creature che contro il  buon senso del tempo non reputano  una  fortuna  essere spettatori delle ricchezze e degli eccessi dei nobili, ma le considerano semplicemente una dannazione e una complicazione dell’anima. Questa convinzione porta Lucia a respingere l’assalto amoroso del Conte figlio con un morso da furetto. Da qui il titolo del romanzo e la citazione in epigrafe da Giorno dopo giorno di S. Quasimodo in cui ricorre  la parola morso.  Nel romanzo Lucia morde per difesa, nella poesia il morso è inferto  dal dolore, dalla violenza, dalla guerra. Ma identica è la  separazione  netta  tra chi opprime e chi è oppresso, tra chi è nato per servire e chi deve essere servito. A servire è destinata Lucia Salvo, ma  il fatto la  rende intimamente  libera, è la creatura più libera che io conosca, dice il conte figlio. La storia si svolge alla vigilia della rivoluzione siciliana del 1848 a Palermo, un’epoca che stava cambiando e che nessuno prendeva sul serio….Non la nobiltà, rammollita dalle decime e senza occhio analitico. Non la borghesia nascente, figlia povera della nobiltà stessa e già incline a imitarne tutti i vizi. Il popolo sì che, invece, fremeva. Di fame, di peste, di pidocchi e ansie. Nel groviglio dei fatti personali e politici  che s’intrecciano e sfociano nella rivoluzione  del 12 gennaio 1848 a Palermo viene inconsapevolmente coinvolta Lucia, che vi scoprirà per brevi istanti l’amore per lo sconosciuto prigioniero dagli occhi verdi, che la spinge a un generoso gesto di coraggio. Ma l’amore è un breve lampo  e il suo destino di babba, pazza, non può che compiersi. A metà dell’Ottocento in Sicilia le donne di qualunque condizione sociale non riescono a sfuggire al loro destino di succube del mondo maschile. Neanche  la giovane Assunta degli Agliata vi riesce. Inquieta  e desiderosa di scegliere il proprio destino per sfuggire alla condizione nella quale si trova la madre, inebetita dai numerosi parti, compie  tentativi confusi e contraddittori. La sua vaga aspirazione alla libertà  è alimentata  dai discorsi delle monache e dalle letture che le precludono un vero contatto con la vita : La vita, la vita vera-sospira-le pare a un tratto romantica come i libri di quel Cervantes…  Alla fine sposa un vecchio e ricco nobile, che la obbliga a figliare a dispetto del disgusto. Con stile sobrio e coinvolgente, venato a tratti d’ironia,  Simona Lo Iacono affronta ancora una volta storie di donne contestualizzandole  nel tempo e nello spazio del romanzo con il suo abituale impegno civile, nella rappresentazione-denuncia  di un mondo ignorante e arido volto solo ai piaceri e al dominio.

 

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