Tommaso Romano, "In Natura Symbolum et Rosa" (Ed. Thule)

di Giovanna Cavarretta

“In Natura Symbolum et Rosa” di Tommaso Romano, ci introduce in un mondo suggestivo e affascinante. Offre al lettore un vasto panorama del rapporto dell’uomo con la natura, supportato da un’analisi attenta e meticolosa che spazia dalle arti alla filosofia, allo scopo di fornire una visione storica e documentaria, volta alla scoperta di nuovi suadenti orizzonti. Il filo rosso è rappresentato dalla rivalutazione del simbolo, quale elemento di comunicazione sin dalle epoche arcaiche, e dal mito che propone nella sua fantastica narrativa la spiegazione di eventi e fenomeni della realtà, con storie che avevano per protagonisti molti concetti soprannaturali sia necessari che fondamentali per ristabilire l’antico legame perduto fra Cielo e Terra spezzato da una modernità consumistica, dispensatrice di falsi valori. Un’era fin troppo votata all’aspetto alienate e oppressivo della tecnologia, che ha contribuito in maniera determinante alla separazione dal Tutto.

L’excursus presentato dall’autore si snoda attraverso le tappe del pensiero umano, ricostruendo e tracciando i momenti più significati del cammino dell’Essere in correlazione all’Invisibile e all’Oltre in un processo dinamico e dialettico, mai statico e perentorio.

Nelle differenti espressioni artistiche il simbolo e il mito sono sempre stati presenti. Gli artisti come i poeti hanno costituito un linguaggio teso a cogliere l’Universale, trasponendovi istanze interiori e indagini del naturale o reale, esprimendolo con l’uso di mezzi specifici appartenenti al loro tempo: è un raffigurare “il pensiero per immagini” (Vico). Di centrale importanza è l’evidente ricorso dell’autore alla “Metafisica poetica” dello stesso Vico, la cui “discoverta” - scrive Romano- ci conduce alla fonte, alla radice, ponendo l’elemento fantastico come superiore a quello concettuale, per cui, sostiene ancora Vico che “gli uomini prima sentono senz’avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura come si legge nella Scienza Nuova”. Il recupero del dato poetico in un linguaggio caratterizzato dal “simbolico-irrazionale” (Dorfles) evince il fondamento dell’arte come “attività dello spirito” e “Verità dell’immagine” si pone alla stregua della “Verità artistica”. I parallelismi fra Filosofia ed Estetica, parola e raffigurazione, arte e poesia, lasciano emergere il punto focale del testo, in quanto tramite questi, siamo introdotti ad una questione basilare, ossia l’intenso connubio fra Etica ed Estetica, affrontata in modo esaustivo nel capitolo dal titolo “L’Albero, La Flora, Il Giardino, Gli Orti Botanici, Le Piante succulenti E Le Erbe Officinali”. L’attività del giardinaggio, descritta da Epicuro, rappresenta la perfetta metafora della “cura e coltura di sé” come coltivare le piante equivale a coltivare la propria interiorità ed intelletto, mezzo necessario per un’intima connessione con il Sé. Ammirare la bellezza della vita organica ci invita a riscoprire il “bello spirituale” delle origini, ad entrare, anche, in contatto con l’Anima Mundi e provare ad instaurare un dialogo profondo con la scintilla del Divino che in tutti noi alberga. Il bosco, invece, è il luogo impervio e misterioso, sede di alcuni archetipi della psiche umana, terra di inconsuete e inaspettate esperienze estetiche, vocate all’esperire, alla rivelazione di parti dell’Io, analizzate da James Hillman, padre fondatore della Psicologia Archetipica. Tale disciplina consente di addentrarsi nei meandri più impervi dell’animo umano, ove il compito primario è l’operare una trasmutazione alchemica al fine di perseguire uno stato di benessere fra interno ed esterno. Lo stupore, la meraviglia accompagnati da una silente contemplazione, diviene la porta di accesso verso la dimensione invisibile da cui, forse, Tutto si origina. Una singolare comparazione, leggendo fra le righe, riguarda l’Estetica Occidentale e quella Orientale, specificando prima di quale oriente si sta parlando, cioè a quali regioni ci si riferisce, poiché a parte “le tre grandi civiltà dell’Islam, dell’India e della Cina, vi sono anche regioni meno ampie e non meno importanti come il Giappone, la Corea, il Tibet…”. Partendo dall’assunto che l’estetica, in quelle civiltà, non è sorta come disciplina filosofica o come scienza del bello. Infatti, nel pensiero cinese e giapponese “ogni idea è già un’azione, ed ogni azione possiede in sé energia e valore spirituale” (Pasqualotti). Da questa enunciazione si intende come il dato pragmatico ed empirico sia totalmente spogliato da qualsiasi riferimento metafisico, un argomento, appena accennato, che andrebbe ulteriormente approfondito. Resta, comunque, comprendere che la saggezza, per esempio della cultura cinese, è fortemente legata nell’antichità alla pratica delle Quattro Arti, in cui il sapere intellettuale e la pratica operativa contribuivano a formare “una personalità equilibrata”. L’arte, la filosofia, la poesia, la letteratura come le religioni sono, nell’opera di Romano, paesaggi da leggere e interpretare con l’intento di consegnare al lettore immagini o presenze visionarie di una realtà intellegibile, che segue la vita terrena dell’uomo sempre protesa alla perenne ricerca del “senso del sacro”. L’auspicato ritorno al “mitopensiero”, per Tommaso Romano, contribuirebbe a “rifondare una pedagogia per educare agli esempi” riconducendo, quindi, l’uomo, oggi sopraffatto da artificiose ed artificiali ideologie, alla riscoperta di un’autenticità, che potrebbe trovare, a mio avviso, piena realizzazione nella triade platonica del “bene”, del “bello” e del “vero”. Questo percorso di svelamento manifesta una mitopoiesi del fare, che trova pieno compimento nel “fare bellezza, nel fare anima”, in completa armonia con il Creato. La relazione uomo-natura diventa, quasi, il pretesto per un rinnovamento generale, che partendo dalla rieducazione dell’individuo verrebbe ad investire anche quello con la forza generatrice universale. Uno sguardo accorto desume la duplice concezione della natura, dal punto di vista estetico, sia intesa come “natura natura”, sia come “natura naturans”, distinguendo, quindi, “una natura creata da “una natura creante”. Siffatta differenza si ricollega al concetto di “creazione”, entrato nell’arte con l’avvento del Cristianesimo, per poi, nel corso dei secoli, corrispondere alla creatività in “sensu largu”. Ci troviamo davanti ad un testo dotto e al contempo scientifico, in particolare nell’elencazione e descrizione della flora, arricchito dai Florilegi sui temi trattati. L’idea, il principio che l’arte sia espressione dell’Essenza, mette in rilievo la ricorrente centralità del simbolo le cui “note, sottolinea Romano, rimandano ad un’intera biblioteca materiale ed immateriale, non riferibile soltanto a ciò che è reale perché è razionale”. Una chiave di lettura al testo, potrebbe essere l’uso dello schema interpretativo della realtà di Hegel, che si esprime in questa formula: TESI( natura, simbolo, mito) ANTITESI (smarrimento dell’uomo nella società odierna, frenetica e desacralizzata) SINTESI (recupero del linguaggio e del fare mitopoietico, proteso alla riconquista del “brivido sacro” di cui scrive Pierre Hodot, che si percepisce quanto “l’interno e l’esterno si coniugano così al Tutto”).L’intera struttura dell’opera contiene una sua logica, che trova piena esplicitazione nella teoria del Mosaicosmo, formulata dall’autore, secondo la quale ogni essere umano è unico e costituisce una tessera nel “mosaico dell’Universo”, e nella sua “dimensione esistenziale” si rende partecipe “a formare la catena che non si spezza tra la vita e oltre-vita, fra mondo e cosmo, fra terreno e Infinito”. Un capitolo molto interessante nonché intrigante è quello che tratta “La Rosa. Più di un simbolo”. Disquisire sulla simbologia della rosa, ci inoltra nel campo delle arti, della letteratura, della poesia, e dulcis in fundo, dell’alchimia e dell’esoterismo, percorrendo nel tempo differenti culture da Oriente ad Occidente. Quest’ indagine è impiantata sul “dato essoterico(ciò che è comprensibile con intuita sensibilità, l’esteriore)  e l’altro con connotazioni esoteriche (interiori e misteriose)”, quest’ultimo poco attenzionato dall’autore per ciò che riguarda l’associazione della rosa a Maria di Magdala e alle nozze interiori, la quale “non è stata solo un personaggio storico, ma  ha anche incarnato nell’ “Archetipo Vivente”, quello della “Sposa interiore”, ovvero dell’Anima femminile che si unisce al principio Cristico maschile”(A. Baccaglini). Un lemma prettamente esoterico, che molto avrebbe spiegato in quanto “fatto empirico dell’interiorità”, una delle tante possibili vie per la realizzazione del Sé. La rosa si fa “mistica” nelle rappresentazioni artistiche come “ricerca primordiale dell’Eden” ed incarnazione dell’erotismo con significato ambivalente di sensualità e dolore. È importante sottolineare, e qui andrebbe altresì ampliato, il ragionamento riguardante il Surrealismo, che trova il suo massimo significato nella “Rosa Meditativa” di Salvator Dalì. In conclusione, In Natura Symbolum et Rosa induce il lettore a momenti di intrinseca riflessione circa l’esistenza umana e gli interni moti dell’animo in un collegamento intimo con gli aspetti del sacro e del profano, del visibile e dell’Invisibile. Cosicché l’unione di tutti i tasselli del mosaico, concernenti sia l’uomo sia la natura, contribuiscono a fondare, come spiega Romano, “un’estetica della naturalità” data la stretta “correlazione fra simbolo, mito e sacro, con ciò che ne consegue per tutta la nascita e lo sviluppo del linguaggio, delle lettere e di tutte le arti ed anche delle scienze”.

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