Ester Monachino recensisce "Solfeggi d'oblio" di Tommaso Romano (Ed. All'insegna dell'Ippogrifo)
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- Category: Scritture
- Creato: 14 Dicembre 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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di Ester Monachino
Nella suggestiva plaquette di Tommaso Romano, “Solfeggi d’oblio”, densa nella carnalità del tessuto poetico, il tempo orizzontale, nella sua impermanenza trascorrente, si fa nido duale di soffio inconsistente e di fermento.
L’atmosfera è quella propria di un sentire profondo, cittadino delle viscere d’Anima, malinconico a fior di pelle e dolente solo se si osserva in quel locus occulto dove la quotidianità non ha più sussistenza.
Lo sguardo poetico è distaccato: il tempo che va, “orologi dismessi” (pag. 7), trascina con sé un carico di parvenze che pure furono sogni, “promesse aurorali” (pag. 6), e che ora sono sentore d’assenza o deprivato approdo.
Pure, basta quel guizzo istantaneo e “immortale” dell’attimo presente per riaccendere in se stesso -anche se con tonalità cromatiche tenui- la speranza dello “Sguardo Infinito” (pag. 5) come sostanziale significanza di un altrove connaturato nelle profondità intime invisibili allo sguardo fuggevole.
La rappresentazione del “Bolero” di Ravel è il leitmotif metaforico dei versi: accensione di sentimenti e passioni che vengono e vanno. Poi, non rimane che il suono degli strumenti che si affievolisce, dell’oboe d’amore (pag. 10), del rumoreggiare delle onde sonore sul pentagramma dei giorni.