“Vestigia Collige” prefazione di Rosario Perricone a “Santi, miti e bastoni. Il rito della ‘Ntinna ciminnese e la beffa dell’eroe” di Leonarda Brancato (Ed. Thule)

È noto come, unitamente ad alcune forme espressive orali cui spesso sono intimamente correlate, miti riti e simboli festivi emergono quali momenti estremamente rappresentativi della cultura folklorica dell’Isola: seppur al centro di profonde trasformazioni socio-economiche spesso foriere di un generale quanto pervasivo impoverimento culturale forme, tempi e spazi dei calendari cerimoniali locali si pongono ancora oggi quali dispositivi generatori di identità individuali e collettive in cui rappresentarsi e auto-rappresentarsi conferendo senso a contraddizioni altrimenti irrisolvibili nella prassi. Istituti complessi, ampiamente indagati e documentati in Sicilia da sistematiche campagne di ricerca sul terreno, le feste religiose tradizionali rivestono oggi anche un ruolo centrale nelle strategie di promozioni “turistica” dei territori quando non trasfigurate in veri e propri brand (basti pensare a talune feste di San Giuseppe in area trapanese). Altrettanto spesso le si intercetta in attività di raccolta e analisi di studiosi locali in cui le feste divengono pre-testo (perché no, prezioso) di narrazioni e poetiche della soggettività locale assai variegate.

Ad addentrarsi nella “foresta dei simboli” rituali che affollano la materia festiva si cimenta ora Leonarda Brancato in una accorta ricognizione degli aspetti mitico-simbolici e ludico-cerimoniali afferenti ai festeggiamenti di San Francesco di Paola a Ciminna.

È bene, oltre che utile, qui ricordare come Ciminna vanta un posto importante nelle etnografie siciliane passate e recenti in relazione ad alcune occorrenze del calendario cerimoniale locale e del ciclo natalizio nello specifico e che l’Autrice elegge quale locus ove ricostruire e rappresentare feste, miti simboli. Dopo aver introduttivamente ragionato sulle modalità spazio-temporali che sostanziano la struttura del farsi festivo (tra tutte, l’interruzione e il ricominciamento sacralizzato di peculiari attività produttive) l’Autrice articola una lunga trattazione tipologico-comparativa sui così detti “riti primaverili” e/o “agrari” ove, tra tutti, affiora il simbolismo dell’albero quale axis mundi in connessione con il bastone, simbolo altrettanto polisemico che dalle divinità dei pantheon greco-romani e germanico-scandinavi passa, attraverso una agglutinante successione storico-religiosa, agli “eroi” cristiani per eccellenza, i Santi. Tale ricca “continuità” di successioni e passaggi di simboli viene supportata da raffronti con riti e miti del mondo Antico con i quali il rito della n’tinna in onore al Santo con il bastone condivide, a detta dell’Autrice, il nesso cibo/gioco/fertilità in un clima “grottesco”, “da burla”: tale performance opportunamente contestualizzata in una più ampia cornice euromediterranea si configura quale momento forte del testo in cui lo sforzo di de-localizzare il rito a fini “comparativi” appare pregevole anche se non lontano da una, non sempre illegittima, ancestralizzazione del proprio passato. D’altra parte i simboli rituali e i contesti festivi all’interno dei quali questi agiscono e significano in sistemica connessione sono nella storia e pertanto sono investiti da un continuo processo di desemantizzazione e risemantizzazione e di defunzionalizzazione e rifunzionalizzazione; in modo tale che il venir meno o la mutazione semantica di un elemento simbolico produce una progressiva riorganizzazione del sistema rituale e la riconfigurazione delle sue funzioni e dei suoi significati: fatto questo che rende inconsistente il concetto di sopravvivenza a-funzionale. Prescindere da queste considerazioni finisce sicuramente col rendere ogni interpretazione della contemporaneità cultuale e festiva lacunosa e insoddisfacente e soprattutto non in grado di dar conto della ricchezza e complessità degli apparati simbolici, di quei significanti del rito di cui ogni storia ha ora occultato, ora menomato, ora arricchito, più raramente cancellato le forme, le funzioni e i significati più antichi.

Da ciò ne consegue che l’analisi sistemica dei materiali mitico-rituali relativi a contesti anche temporalmente remoti ma pertinenti alla “nostra” storia culturale, può aiutarci a comprendere la natura delle nostre credenze e dei nostri comportamenti odierni, non solo di quelli esplicitamente “religiosi” o “popolari”. Procedendo a rebours, e con maggiore prudenza, può anche osservarsi che l’analisi delle forme rituali di ambito folklorico e dei sistemi di credenze ad esse correlati può dirci qualcosa su fenomeni, sistemi di pensiero e comportamenti lontani nel tempo. L’esercizio della comparazione è, infatti, quando condotto con accortezza e senza estrapolare i singoli segmenti dai contesti di appartenenza, certamente una chiave positiva, talora risolutiva, per la comprensione dei fatti culturali in genere e dei riti festivi in particolare. Qui infatti risiede il vulnus e al contempo la forza mitopoietica del descrivere e rappresentare la festa: lungi dal configurarsi quali mondi locali al

tramonto, i riti festivi sono qui intesi quali argini di senso al non-tempo e rifugio privilegiato per chi vuole attingere alla sacralità della memoria. Santi col bastone, eroi e divinità precristiane “imparentate” alle pratiche ludico-rituali della n’tinna di Ciminna qui evocano e sono la festa non solo in qualità di tempo del mito (secondo i canoni della autorialità etnoantropologica) ma una sorta di mito del tempo non meno efficace come chiosa la stessa Brancato nelle Conclusioni

Oggi la festa è una fiaccola che indica senza potere garantire. Speriamo che anche a noi, che abbiamo smarrito la festa e il suo nome ma non il ricordo e il desiderio per essa, sia concesso, nutrendoci al ricordo e al desiderio, di correggere, almeno un poco, il tempo che ancora ci è dato.

Ci pare di scorgere in questo finale qualche eco nostalgica di kerenyana memoria.

 

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