“Vittime e oppressori. Burattinai e suggeritori” di Ciro Lomonte
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- Category: Scritture
- Creato: 03 Gennaio 2025
- Scritto da Redazione Culturelite
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Dai philosophe agli addetti stampa
Una volta filosofi e teologi ispiravano i cambiamenti della società sulla base di una graduale comprensione della realtà, cambiamenti che si producevano con tempi e gradualità naturali. Oggi chi detiene capitali enormi, paragonabili al bilancio degli Stati, suole mettere pensatori ed artisti sul piedistallo e sotto i riflettori, pur di raggiungere i propri scopi. L’odierno intellettuale engagé si muove ancora a volte per passione civile, ma più spesso per strategie ideologiche oppure semplicemente perché salariato. Dove si possono trovare oggi studiosi liberi da compromessi, con il desiderio di conoscere la verità? Chi vuole fare carriera deve rispondere ai burattinai di turno, i quali amano pure brandire l’arma del ricatto. La sostituzione dell’egemonia culturale, di gramsciana memoria, non mira più – bene che vada – alla promozione della giustizia sociale, bensì all’avvento di una umanità a testa in giù.
Le radici del fenomeno risalgono in ogni caso a trecento anni or sono, ai philosophe, come spiega in dettaglio Antonio Malo, professore di antropologia filosofica, nel saggio Vittime e oppressori. L’ideologia Woke (EDUSC, Roma 2024). È nell’ultimo decennio che si è assistito a uno sviluppo esponenziale dell’ideologia woke o del “risveglio”. Nato negli Stati Uniti, questo movimento si è esteso rapidamente a tutto il mondo occidentale. Esso invita tutte le “vittime” della discriminazione e dell’odio (minoranze razziali, donne, gruppi Lgbtqi+, paesi colonizzati e religioni non cristiane) a reagire alla cosiddetta “oppressione” secolare dei bianchi, dei maschi, degli eterosessuali, dei colonizzatori e dei cristiani. La lotta per i diritti umani e civili (basati sulla dignità umana e sull’uguaglianza di tutte le persone davanti alla legge) è stata così sostituita dalla lotta in difesa delle minoranze “discriminate” e di presunti “diritti” come l’aborto, la maternità surrogata, la libera scelta della propria identità sessuale, e così via dicendo. Si tratta di una vera e propria guerra culturale contro tutte le istituzioni tradizionali dell’Occidente cristiano, etichettate come oppressive e contrarie ai nuovi diritti. Questa ideologia, un tempo considerata marginale, è riuscita ad entrare nelle stanze del potere, nella politica, nell’educazione, nei media, nelle grandi multinazionali, nei social e nei principali programmi legislativi di tutti i governi. Ciò porta a chiedersi su cosa si fondi la divisione dialettica del mondo tra vittime e oppressori, come tale concezione sia riuscita a diffondersi nella cultura e nelle istituzioni occidentali, e quali siano le conseguenze di tale diffusione al livello sociale e politico. Analizzando il fenomeno da una prospettiva filosofica, il prof. Malo mostra come l’ideologia woke affondi le sue radici nel marxismo culturale (successivo al cosiddetto marxismo volgare) e nelle teorie psicoanalitiche, esistenzialistiche e postmoderne sedimentatesi nel corso di due secoli. Attraverso un attento lavoro di decostruzione storica e concettuale, viene messa in luce la vera essenza di questo fenomeno culturale, basato su una visione astorica e tribale dell’essere umano, privato di un fine e mosso unicamente da un desiderio infinito di felicità individuale (sostanzialmente diverso dal desiderio di felicità infinita), da realizzarsi attraverso l’appartenenza a un gruppo o a una serie di gruppi.
Le radici dell’ideologia woke
A tutt’oggi, sembra che l’ideologia “woke” o del “risveglio” si sia affermata nel nostro tempo come una pseudo-religione. Il suo successo, tuttavia, non è giustificato soltanto dalle forme di oppressione che, nella storia, hanno lasciato il segno su persone, gruppi e comunità, o dalla relativa lotta per una maggiore giustizia sociale. Secondo l’analisi di Malo, la woke culture è il frutto di una lenta gestazione ideologica, unita ad un supporto mediatico pervasivo, che ha utilizzato a suo favore le dinamiche proprie della globalizzazione. Essa affonda le sue radici nelle visioni filosofiche di Hegel, di Marx e di Gramsci. La caduta dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia segnò un’evoluzione del pensiero marxiano e l’inizio del nuovo millennio è testimone di una metamorfosi ideologica post-marxiana che è approdata alla critica di ogni forma di potere. Il risultato è la messa in discussione di tutte le componenti della società, intesa secondo la logica del patriarcato e accusata di essere in sé stessa causa di oppressioni.
La woke culture ha cambiato i connotati alla teoria critica di radice marxiana, ma non ne ha mutato il fondamento dialettico Il globalismo pseudo-religioso che ne viene, ha attivato un meccanismo di opposizione dialettica omnipervasiva che, nell’intendere le relazioni sociali come intrinsecamente connotate come oppressive o vittimarie, attiva nei “privilegiati” una richiesta quasi ossessiva di ammissione di colpa. Questa lotta, pur avendo le sue radici in episodi reali di detestabile violenza, scatena un vittimismo senza via di uscita con esiti profondamente lesivi della dignità umana, della percezione dell’identità e della salute relazionale di tutta la compagine sociale. La woke culture non sembra conoscere il perdono, ma solo processi di opposizione serrata in cui l’istanza di libertà dei singoli e dei gruppi appare autoreferenziale e lontana da ogni bene relazionale.
Il discorso filosofico sull’essere umano non può prescindere oggi dal recupero della categoria di identità personale, e per far questo bisognerà tornare a considerare l’attuarsi della libertà, perno sempre presente di ogni movimento culturale improntato sulla rivendicazione. Nel postmoderno, tuttavia, la libertà è stata essenzialmente compresa, sulla linea dell’eredità nietzschiana, come volontà di potenza o come forza. Ciò impedisce di determinarne i contenuti teleologicamente. Diversamente provare a ripensare la libertà come atto significherebbe non solo attingere ad uno spettro di infinite determinazioni possibili ma ad esplorarla come incremento di sé, come incremento di attualità, che non si compie mai totalmente se non è posta in rapporto ai beni relazionali. Del resto, un’istanza di libertà limitata alla potenza, non arriva mai ad attingere ai beni relazionali.
Vale la pena dunque chiedersi da dove parta quest’istanza di vittimismo, e, soprattutto, dove intenda arrivare senza il bene del perdono. La stessa rivendicazione di libertà che si blandisce e che allo stesso tempo vittimizza, da quale istanza antropologica è attuata? Un impulso, una reazione emozionale o un sentimento? Il problema è capire da quale istanza di interiorità della persona si viva questa richiesta di libertà.
L’ultimo Habermas, che diceva di sé di non avere il senso del religioso, suggeriva di prestare ascolto ai discorsi dei leader religiosi, anche qualora non tutti i contenuti rispondessero a quella che lui definiva ragione pubblica condivisa. Questo perché egli stesso era convinto che vi si potessero trarre elementi utili per il bene sociale. Il problema, dunque, è anche ricominciare a pensare a partire dal bene comune: ricordare che non si agisce solo per tornaconto personale legittimo ma anche per il bene collettivo. Libertà è, dunque, non solo affermazione di sé ma anche apertura a ricevere un dono che ci viene recapitato dal vivere stesso: questo non può che cambiare radicalmente la prospettiva, per pensare il mondo e le dinamiche sociali in termini relazionali e non dialettici.
Fare i conti senza l’oste
I cambiamenti attuali – non solo quelli tecnologici, ma anche le mode e le paranoie – sono talmente accelerati da richiedere di attrezzarsi culturalmente con una tuta anti-G interiore, analoga all’indumento indossato da aviatori e astronauti sottoposti ad alti livelli di accelerazione, allo scopo di prevenire la perdita di conoscenza dovuta al fenomeno della cosiddetta visione nera o G-LOC (G-induced Loss Of Consciousness).
Si pensava che la wokeness facesse arricchire le aziende. Al contrario i consumatori puniscono le aziende e i marchi piegati a intercettare target Lgbtq+ & Co. Una lista piuttosto lunga, dalla National Football League a Nike e alla catena di fast food Chick-fil-A. Un brutto “risveglio” per loro!
Get Woke, Go Broke: fai il risvegliato e sei rovinato. Su Amazon si vendono anche magliette e felpe con lo slogan, se ne sono viste in giro agli eventi elettorali delle presidenziali americane. Non solo per vecchi conservatori che tifavano per Trump e l’eccezionalismo yankee: un incredibile sondaggio realizzato da Newsweek ha verificato che il 72 per cento dei 25-34enni, quegli stessi Millennial che solo un paio d’anni fa stavano in prima linea nella lotta per l’inclusività e la giustizia sociale, oggi condividono l’umore alla base dello slogan (il woke ci rovina) perfino più di padri, madri e fratelli maggiori.
Non è tutto: secondo il sondaggio, nel fronte antiwoke militava anche il 62 per cento dei sostenitori di Biden. Hillary “Cassandra” Clinton l’aveva detto chiaro in un’intervista al Financial Times: continuiamo a parlare di trans e andremo a sbattere. “Le cose che interessano a tutti gli altri restano fuori dalla finestra (…) ma quello che non ti aiuta a vincere non dovrebbe essere una priorità”. Della wokeness – Black Lives Matter, bianchi colpevoli, cancel culture, quote etniche e Lgbtq+ nelle produzioni hollywoodiane, sirenette nere, battaglie per i cessi gender neutral, transmania e tutta quanta la dottrina risvegliata – gli americani non ne possono più, democratici inclusi. E manifestano il loro disagio con il boycott, pratica politica in cui sono molto più bravi di noi: non ti compro più. Quello che goes broke sono i fatturati delle aziende e il business non mente mai. La Disney è ormai un caso di scuola, un miliardo di dollari bruciati sull’altare della wokeness, quattro film flop, strage dei dirigenti inclusivi e licenziamenti di massa. Ma secondo TechCrunch, sito americano che si occupa di tecnologia e informatica, la mannaia sta per abbattersi anche sul 20 per cento del personale Pixar. Amazon ha annunciato che lascerà a casa un bel po’ di gente di Prime Video e Mgm Studios: qui il disastro principale sarebbe stato la wokeizzazione di Tolkien nella sfortunata serie Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere. Un bagno di sangue. Guai anche per Maybelline, nota azienda di cosmetici che ha scelto come testimonial Dylan Mulvaney, influencer transattivista amica di Joe Biden.
La lista delle aziende woke punite dai consumatori è piuttosto lunga, dalla National Football League a Nike, Target e alla catena di fast food Chick-fil-A. Gli uffici marketing e pubblicità sono in subbuglio: anche questo a modo suo è un risveglio. Alquanto brusco: per anni l’indicazione delle grandi società di consulenza, prima fra tutte Accenture, è stata assecondare in ogni modo target Lgbtq+ e wokeness. Si trattava di “mettere sotto una lente di ingrandimento i segnali deboli per stupire, meravigliare, essere i primi a raccontare comportamenti e atteggiamenti inediti”, ha spiegato Giuseppe Minoia, presidente onorario di GfK Eurisko. “Esiste la convinzione che ‘si vende’ di più e meglio ciò che è inedito, inesplorato, fuori dai canoni, sorprendente e shocking”.
Contrordine compagni. Cogliendo l’attimo la società Tuttle Capital Management ha fondato la newsletter The Woke Street Journal e ha in programma di lanciare a breve l’Etf (Exchange Traded Fund) Get Woke, Go Broke. “Crediamo”, si spiega, “che le aziende politicamente neutrali dovrebbero sovraperformare rispetto a quelle che cercano di promuovere politiche”. I titoli del fondo saranno legati a gruppi che si concentrano solo su profitti e vendite lasciando perdere ogni tipo di messaggio: il vecchio caro mercato di sempre, a quanto pare.
Se ne parla a Palermo
I siciliani sono solari. I siciliani hanno mente acuta e cuore ardente. I siciliani osservano partecipi le stagioni del pensiero, senza confondere ciò che ha valore universale con il provincialismo di chi accetta supinamente le derive dell’animo umano. In un mondo di ricchi burattinai che reggono i fili di abili suggeritori, la Sicilia è una terra in cui si coltiva ancora la libertà di spirito e la tensione verso la ricerca.
Ecco perché è stato invitato il prof. Antonio Malo, docente della Pontificia Università della Santa Croce, a parlare dei temi trattati nel suo saggio. L’incontro si terrà venerdì 24 gennaio, alle 17:00, presso la sede palermitana della LUMSA. Avrà un taglio costruttivo: comprendere le radici di quello che qualcuno ha definito il suicidio dell’Occidente per trovare antidoti efficaci e riscoprire la gioia di contribuire al rifiorire della civiltà.