XI Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Caterina Saccà (sorella di Antonio) con il coniuge Salvatore Licari

Non il fumo, non il gioco serale, non la presenza di un adulto nella nostra casa, non gli ignorati alimenti cambisrono la nostra esistenza, lo stravolgimento venne dalla nascita di mia e nostra sorella, Anna(Annuccia).  Immediatamente esplose una disputa: chi doveva addormentarla, io o mio fratello. Mia sorella dormiva mezze giornate, e noi ci immobilizzavamo, non la deponevamo nell'ampia culla bianchissima, con tessuti morbidissimi, la tenevamo in braccio, talvolta ce la scmbiavamo con gesti cautissimi. Tra le felicità dell'esistenza , il sonno di un bambino sul nostro corpo, la fiducia, l'abbandono colmo, e forse, per me, l'infanzia che non ho vissuto e vivo nell'altro. All'uccisione di mio padre mia madre demenziò,  fui dato alla madre di mia madre, quel che sperimentai lo sa l'inferno, di certo non restai nel grambo materno, adesso  generavo quel che non avevo vissuto. O forse l'avrei suscitato comunque. Alla sostanza, fermi, io o mio fratello a  trattenere il sonno di mia sorella, le smorfette delle labbra, i brevi sussulti, i minimi risvegli spaesati, il ritorno nel sonno dei sogni,  la fiducia le consentiva sonni estesi cne io e mio fratello proteggevamo perfino non concedendola a mia madre. Sono cnvinto che io, nel sonno  infantile di mia sorella suscitavo la mia infanzia inesistente, l'accordo  dell'adulto con il nuovo nato. L'adulto ero io che mi rinascevo in mia sorella  e ricevevo quanto non avevo vissuto. Mia sorella nacque con un ammasso di capelli  nerissimi , cespuglisi, cresciuti, minuziosa di naso, bocca, visetto tondicino, bianchissima di pelle,  gli occhi rapidamente vanirono il grigiastro  e divennero gialli, li riprendeva da mia madre nella quale erano punteggiati di marrone e ferrei, diretti, leonini. Inventai un nomignolo per mia sorella, Signora Tinndo, non so come  uscito , mio fratello lo denminavo Franco Patata,  io mi dissi Pippo Spaccamontagne(in casa mi chiamavano Pippo, Guseppe in memoria di mio padre). Facevamo a gara per tenere in braccio o trattenere mia sorella, la Signora Tinnedo, io e mio fratello, e le vicende erano con questo scopo. Felici, storie, avventure,felici, immedesimati in quel che facevamo, quel mnimo atto di vita era tutta la vita, non esisteva il tempo l'al di là di quel momento, la separazione dell'istante da se sresso ossia il futuro, fonte della coscienza del divenire , del perire, della dissoluzione del presente.
Che importanza ha la memoria di un cortile? Nessuna. Che importanza ha la memoria? Che esiste di importante? Quel che ciacuno considera importante. E non sempre, oggi, non domani, non l'altro domani, e poi di nuovo importante, lo smemoriamo, lo rimemoriamo. Quel cortile io lo rammento, lo voglio rammentare, fu il tempo della mente immedesimata, la realtà nella mia mente ed io pienamente nella realtà di quel cortile, fu il tempo del confine, della pensiero chiuso nel presente, ristretto esclusivamente a quanto vedevo, facevo, mi stava accanto, sentivo, non oltrepassavo il presente, questa la felicità, vivere immedesimati completamente nel presente. Quando mi svincolai dall'immedesimazione...
Non era un cortile né lungo né largo, cinquanta/sessanta metri, largo quindici/diciotto, tre scalinate da un lato,  tre scalinate  dall'altro, il portone al centro , accesso dall'esterno , il cortile divideva e univa il rettangolo della palazzina, e chudeva la mia vita più della abitazione, un recinto di animali, dove non vi era la prigione ma ripeto, insisto, la felicità, l'immedesimazione nella vita, i miei compagni d'infanzia, vivevo  con il vivere dell'altro, prendevo e  davo il sentire la vita con l'altrui vita, non esisreva il vuoto, il nulla, lo sconfinamento del limite. Il due era uno e l'uno era due.  Nella scalinta a sinistra di fronte alla mia casa che era al centro sopra il portone d'ingresso  abitavano dei signori abbasitanza misteriosi, i Calapso, dei matematici ,trascurati,sembravano svaniti, dementi, rispettaie perché insegnanti ed all'esercizio della mente si attribuiva svagatezza, poco e mal vestiti, magari spogli d'inverno, incappottati a luglio, uscivano come disorientati,  camminavano a caso, rientravano, due fratelli e una sorella, esempio dell'intelligenza irregolare, si mormorava;non parola, non saluto, fuori del (nostro) mondo. Di fronte casa mia, divisi dal crtile , i Lancia, uno di loro forse si iccupava di musica e canto, talvolta udivo esercitazioni di voce;nel pianerottolo accanto ai Lancia, la numerosa famiglia Ferrara. Sempre dall'altro lato della palazzina a destra, nel piano terra una venditrice di cerotti efficaissimi a maturare e annientare i foruncoli. La l mio sostava in gan numero per acquistare .Un balcone dall'altror lato della palazzina vicinissimo al mio balcone, parlavamo ore, minore di me qualche anno, si chiamava (e forse, spero, si chiami) Antonello,Antonello Maffa.  Difficile immaginare che avcvamo da dirci ragazziini quali eravam, di certo il piacere di restare a parlare risolveva e dominava il non saper che dire e ci faceva inventare i colloqui. Era di una cortesia gentilezza ,premura che mi sovvengono quale esempio di rapporto .La distanza tra i balconi non più di un metro,  un ragazzetto snello , chiaro di biondi capelli, di pelle infantile, e gli occhi di un azzurro inncente; il padre, scarno,  viso compresso ai lati, noi dicevamo “testa di violino”,di minimissima larghezza rispetto alla lunghezza, usciva sempre con un borsone in cuoio, quasi una valigetta da ferroviere, quale egli era, una magrezza insuperabile, spventapasseri, i vestiti gli frullavano, camminava con rapidità o forse sembrava per lo sventolio degli abiti o  gli  abiti sventagliavano per il veloce passo, il naso pareva una minuscola freccia nel volto a prua. Questo signore osseo padre di   Antonello aveva scelto a consorte una donna che specchiava il coniuge, sosia in scheletricità, insieme svelavano una sembanza postumana , una osservabile  presenza di tombe secolari. La sorella di questa consorte, stava nella abitazione, era ben architettata, piena di forme dove di solito sussiste carne sopra le ossa. Accadde quel che più orrendo non poteva accadere, la sorella filiforme percepisce in evento intimo il coniuge e la sorella. Sgomento, pena, accecamento, non vale vivere, il balcone, il suo corpo, la  fronte, il suolo, spezzata, i capelli insanguinati, aggrumati e sparsi,  il sangue continua a scorrere, lentamente. Accadde  , io non abitavo più  in quella palazzina, e neanche a Messina.  Antonello Maffa  divenne magistrato . Non l'ho incontrato I due amanti credo convissero. Amici, proprio amici., ma il veleno del tempo ,eccolo, quanto esisteva non esiste più, ricordarlo  testimonia l'esistenza , l'esistenza della sparizione. La memoria non  salva il passato, anzi, mostra che è passato.Non ricordassimo non sapremmo che il passato è passato.
Nasceva mia sorella Anna, crescevo io, cresceva mia sorella Caterina(Katia),  mio fratello. Caterina   più adulta di me,  io raggiungevo undici,i dodici anni, lei venti.A differenza di mia madre , media altezza, il portamento fiero la rendeva alta, statuaria, mia sorella l'altezza la incorporava,brunissima di capelli, scura negli occhi marroni,ovale molto simile a quello di mio padre e mio , cantava, danzava,uscire, frequentare nella cautela impressa da mia madre e dai tempi. Vi era una realtà apparente, una realtà reale, realizzata. E quest'ultima differentissima da quella apparente, appariscente. Non so cme, in tanta severità, mia sorella si fidanza misteriosamente, l'ho accennato, con un giovane ,ricordo minimamente, non se ne fece nulla,faccenda momentanea, quindi con un altro giovane, e ne   divenne consorte, Salvatore(Totò) Licari, magro molto magro ,aveva ricevuto una fucilata , errore di un compagno di lavro, in ferrovia,, il fianco strappato. Sopravvisse.Di famiglia media, anche il padre ferroviere, un fratello, di  nome Guseepe, amichevole, allegro, sorelle, due, tre, una di nome Iole,  spigliate, amavano il ballo,  sposarono siciliani emigrati in  Argentina che intendevano sposare  donne siciliane, credo, i tempi erano quelli, le migrazioni degi italiani. E dunque mia sorella “grande” si sposa, qualche anno  sui  vent'anni, non di più. Mio patrigno era affezinato a mia sorella maggiore e fu in buoni rapporti con il consorte. Per  me si apriva l'adolescenza,le  grandi amicizie dell'adolescenza, e gli incredibili innamoramenti. La donna.

 

 

 

 

 

 

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