XXVIII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Giacomo, nipote di Antonio Saccà
Dicevo: mia sorella maggiore, Caterina, ebbe due figlie, Irene ed Ermanna, ed un figlio, Gaetano (Tanino), il quale, forte di viso e di busto, per un difetto alla spina dorsale, bifida, aveva gambe scemate, strascicate e di certo complicanze urinarie, evacuative. Tuttavia loquace, compagnone, divertente, e serenità con gli altri, all’apparenza. Di sicuro mia sorella ed il coniuge ne soffrivano, forse addirittura appresero che la durata in vita con tale malanno non ha  il tempo che  di solito dura per gli altri, forse qualcuno suggerì scampo, un’operazione, un chirurgo prodigioso,  questo avviene, sempre qualche suggeritore, sicchè i miei parenti furono convinti, e decisero di raggiungere la Spagna, dove agiva un operatore considerato eccellente, non so , credo italiano, al dunque partirono, mia sorella, il coniuge, il figlio Gaetano,  sui quattordici anni, sanarsi o rimediare al maggior grado.  Li  immagino, la speranza, il figlio animoso, il medico, la certezza, quasi la certezza di un risultato migliorativo, l’attesa, infine l’operazione, l’attesa angosciata, l’attesa finisce, il figlio riportato, vive, forse sanato o mutato vantaggiosamente, immagino la felicità di mia sorella, del suo coniuge, forse anche il sorriso del ragazzo. La Vita ha vinto. Dorme ,Tanino. Dorme, certo, è stanco, l’intervento, riposa Tanino, giusto, bene così, avrà un’esistenza più durevole, dorme, il bel volto rasserenato, mia sorella lo guarda, suo figlio le rinasce. POI, QUALCOSA. Qualcosa che  non vuole comprendere. La morte. Il sonno era la morte. Mi dissero che mia sorella rimase un giorno ed una notte alla finestra dell’ospedale aspettando il marito di mia sorella Anna che li raggiungeva, immobili, impietriti, muti.
Anche mia sorella Anna si era sposata, nel tempo verranno altri nipoti, Carlo, Anna Paola. Quando Anna vive a Palermo per l’occupazione del coniuge in Banca, mia madre e mio patrigno,  desolatissimi, prendono una cagnetta e le danno posto a tavola con il bavaglino al posto di mia sorella.  Una disperazione che ha fine presto, mia sorella torna a Messina. Questa, la vita. Amore, vita, morte, ciascuno  nella sua tana. Come riusciamo a continuare la vita è il segreto della vita.
Avevamo da incontrare Arnoldo Mondadori. Ci aspettava, a Milano. Casa Editrice. Ore 8. Io e Vasco Pratolini, in orario assoluto. Arnoldo Mondadori è dietro la scrivania. Saluta amichevolmente Pratolini, suo Autore, cordialmente me. Ha mani grandi e spesse,  è tutto ampio, largo, faccione, occhialoni, grosse pupille marroni, vocione  denso. Squilla il telefono, è il figlio Giorgio, ne sentiamo la voce ansiosa, era stato chiamato   qualche minuto avanti senza risposta, teme che il padre lo rimproveri, Arnoldo Mondadori capisce, sorride, è il padrone anche per i figli.  Ma fa il bonaccione. Dice qualcosa su Pirandello insoddisfatto, non so che altro di altri, poi, al dunque. Eravamo andati per uno scopo, redigere, Pratolini ed io, una Storia della letteratura italiana dal XIX al XX secolo, con innesti delle opere, Pratolini  l’Ottocento, io il Novecento-  Mondadori  accetta, dobbiamo firmare il contratto, saremo ampiamente remunerati e avremo a disposizione gli uffici di Roma, in via Sicilia, 136. incontriamo Vittorio Sereni, che sorveglierà quanto facciamo, a Roma  vi è Niccolò Gallo, consulente della Mondadori, amico di Vasco Pratolini e mio amico.
Con Vasco Pratolini ebbi amicizia, come si dice, fraterna. Abitava non lontano da via di Villa Ada, a via Tolmino, 12, presso via Nomentana. Casa  di media borghesia, arredata convenientemente, in affitto, credo. Per quanto  Autore di  pubblico  esteso, ed anche usato in cinema, non era ricco, né viveva da benestante, lontanissimo da Guttuso,De Chirico, ed anche da Moravia. Distanziato che fui dall’ambiente Moravia/Pasolini strinsi rapporti con Pratolini ed Mario Luzi. Ma da noi, De Giorgi ed io, venivano tutti, Pasolini spesso. Pratolini non era un intellettuale nel significato proprio del termine. I problemi sociali lo interessavano più dei problemi esistenziali, legato alla Toscana, ai quartieri fiorentini, al ceto popolare. A me erano sembrate riuscite le prime opere, “Tappeto Verde”, “Un eroe del nostro tempo”, vicende canagliesche non consuete, anche il linguaggio irregolare, tutto suo, nel mio “Saggio sulla letteratura italiana attuale” ne scrissi. Pratolini, incontrandoci in un convegno, mi disse di telefonargli.
Pratolini non era alto, alquanto curvo, lunghe braccia, che gettava in avanti come se remasse, rapido di parlata, veloce nel camminare, occhi marroni, ed occhialoni. Frequentato dai latino americani, dagli spagnoli e dai sindacalisti, non vita di salotto, molti registi cinematografici resero filmici i suoi romanzi, e lo visitavano.   . Cominciammo il lavoro per la Mondadori.Nello stanzino sopra di noi scriveva Stefano D’Arrico.
Elsa De Giorgi, forse per l’età piuttosto  avanzata  sulla mia, forse perchè di aspetto non trascurabile,io, forse perchè stavo in ogni spazio , , Università, riviste, giornali si dimostra assai vigile, in sospetto, troppo direttiva della mia esistenza. Limitavo me per non angosciarla e non subirne acrimonia. In fondo voleva essere amata, ma impossessandosi di chi la doveva amare. Quando cominciai a vivere con Elsa vi era un domestico adolescente, semplice, devoto, Elsa lo considerava un figlio, e lo era nei comportamenti. Poi venne un giovane ,laborioso, onesto. Poi una ragazza della Ciociaria, e ne mostrava le sembianze.
 Una sera, curiosando in un negozio di animali, mi sento afferrato alla gola, strettissimamente, e vedo davanti ai miei occhi un visetto congestionato, rosso, e dentini che sbattono, ed una cosetta pelosa grande quanto la mano. Mi stringe e non riescono a staccarla.  Il negoziante tenta con modi troppo violenti, non sa che fare, io so che fare, acquisto la scimmietta, esco e la porto nella strada vicino casa, si tiene ai miei capelli e a qualche balzo che può farla cadere mi afferra e mi tiene gridando e cambiando colore. A casa infine si addormenta. Sulla mia testa. Se cerco  di posarla in un cuscino si desta angosciatissima.  Del resto, che male c’è a dormire con una scimmia in testa. Scimpanzè nana. La chiamai Pepè.Mi fece comprendere l’errore dell’evoluzionismo . E’ la scimmia che proviene dall’uomo non l’uomo dalla scimmia. Pepè  viveva  per il solo scopo che rende la vita felice:amare pienamente con fiducia.                                                               
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