XXXVII Capitolo - "La mia vita" di Antonio Saccà

Ho nominato Salvatore Dino, opportuno insistere. Mentre edificava, riedificava una villa, Appia Antica, Roma, che divenne forse la più regale di quella sfera imperiale, la strada con  re4sidui di massi millenari, ai bordi sculture, muraglie antiche, ed una atmosfera di eternità, ebbene  pianta dopo pianta, Dino rimodellava la sua magione, e pubblicava i suoi libroni   e dava uscita ad una collana editoriale, “Ragione e Tempo”  che esponeva un “progetto”, del quale Dino era invaghito. Sostanzialmente era il proposito della “partecipazione”, idea insistita della Destra Sociale. In tal modo si voleva scavalcare sia la lotta di classe, sia il capitalismo proprietario liberista nettamente padronale. La collana era retta da un giornalista, Emilio Cavaterra, quando io venni in amicizia con Dino ma anche per dissidio tra Dino e Cavaterra, quest’ultimo sparì, ed io venni a dirigere la editorialità. Erano stati pubblicati e vennero pubblicati testi apprezzabili, Nicola Abbagnano, Ugo Spirito, Giuseppe Sermonti, il Generale Umberto Capuzzo, Aldo Di Lello, Rocco Buttiglione, Pier Luigi Zampetti, collettanee di vari Autori, io pubblicai  testi sia in Ragione e Tempo, sia in una sezione specifica di biografie, su Marx, Nietzsche, Freud, inoltre per i libri “monumentali”, in formato meno imponente ma raffigurato e dorato, una biografia di Salvo D’Acquisto. I testi  di eccellentissima confezione, copertine dure, sovracopertine figurate, spesso per mano di un pittore, Dante Ricci. Ne discutevamo nell’ampio salone, in Villa, salone che era animato da immagini di Salvatore Dino che evidenziava se stesso con i potenti della terra o in fogge  variate. Dino era un egocentrico  scaraventato nel fare, lavorava tempestosamente, convinto che i Governanti bisognavano di mete che non suscitavano, e si era messo in capo che la partecipazione fosse risolutiva. Io già antivedevo l’automazione(La quarta scelta), la disoccupazione di massa(biografia di Marx) e situazioni complicate al di là della partecipazione. Di sicuro comunque vi era, ed ormai vi è crucialmente,,un avvertimento sugli effetti sociali dei sistemi produttivi e sul rapporto tra lavoro, salari, profitti,occupazione, orari in epoca automatizzata, da parte mia.  Poichè sono questioni ai quali mi dedico in uno con la salvezza della civiltà e il timore di un crollo demografico, e, peggio, di cercare scampo dalla complessità con guerre di mercati e militare, ne dirò oltre. Con Salvatore Dino amicizia come si dice “fraterna”,  tranne una minima circostanza. L’operare convinto, uno scopo, l’espressione di quanto sentivamo. Se io mi darò più animazione pubblica, il che mi è contro natura, taluni miei libri (La quarta scelta, Lavoratore imprenditore, Marx contro Marx, Europa o Morte) valgono oggi e per il futuro. Sarà quel che sarà.

Uno degli alimenti essenziali del rapporto con Stefania, mia consorte, l’ho scritto, stava nella frequenza della nostra vicinanza non soltanto qualitativa ma quantitativa. Quante ore io con lei, compagnia assoluta, il tempo  fuori dall'attività , era perennemente stanca di non aver fatto niente ma per vibrazione nervosa totale, nella sua mente il padre, i parenti si radunavano per depredarla, io  campeggiavo per tradirla, suppongo che supponesse, o ero io a farneticare, non che queste concezioni fossero immaginarie, anzi, vibravano realmente accertamenti fiscali, pagamenti perpetui, fastidi di conduzione, assillo di venditori e promotori di sogni, e Stefania se ne opprimeva, e si riposava, e chiedeva che io le stessi accanto. Del resto io mi incolpavo: ecco , Stefania non sta bene, è a letto, sola e tu(io) rimani a scrivere! Sicchè, quando non giungeva lei, la accostavo io, e poiché, dicevo, pativa all’intimità corporea, stavamo santamente mano nella mano ore, e sarebbe  un incanto d’amore , la sua fragilissima mano, lunga, presso che senza forme ossee, non accadesse sovente che si incupiva lo sguardo, e mi fissava  come a decifrarmi, ed io temeva queste modificazioni che le giravano dentro . Temevo che ormai avrei durato l’esistenza a darle compagnia , a fondo perduto, giacchè Stefania non aveva disposizione a favorirmi centiseminalmente. Era come detto ricca, non ricchissima, ampiamente, ampiamente possidente. Decine di abitazioni, porzioni di alberghi, negozi di migliaia di metri, un giorno, anzi un pomeriggio vendette una parte di edificazione prossima alla Stazione Termini, a Roma, per novecento milioni, 1983. Così.

Dall’abbandono della “Sinistra”, che all’ ingrosso fu al tempo della separazione dalla De Giorgi, 1973, non ebbi relazioni che gli amici di quella parte, qualcuno vedendomi non mi salutava, né io salutavo chi non mi salutava, ma furono circostanze rarissime. Meno che mai mantenni le amicizie  con scrittori che conoscevo  assiduamente. Non ne soffrivo pur avendo qualche simpatia, ad esempio Guttuso, De Chirico, Sciascia, Rafael Alberti, Anna Magnani, ne scrivo  diffusamente nel libro :HO VISSUTO LA VITA-HO VISSUTO LA MORTE. Ero in Sicilia quando appresi la, degradante straziata uccisione di  Pier Paolo Pasolini. Era spettrale a quel che vedevo, giacchè non lo incontravo da qualche anno. Del resto da tempo declinava, occhi secchi, aridi, magrissimo, per qualche malattia o per l'eccesso di lavoro o per angosce che lo dominavano, patologismi. Come scrittore, come regista non non lo leggevo né vedevo, come individuo era scosso  da affetti, distruzione, avversioni, e voglie   antiperbeniste che attingevano al gusto del più basso, ma il più basso non necessariamente vale. Non mi interessava.  Ma la sua morte resta esecranda. Un misfatto. Più che decenni successivi un’altra morte, di chi aveva segnato la mia vita, Alberto Moravia. 1990.  Periodo tremendo con Stefania. Morte di Alberto Moravia. Lo avevo apprezzato, da giovane, in Sicilia, leggendolo, Poi lo conobbi. Fu Moravia che mi pubblicò su Nuovi Argomenti, con effetti notevolissimi, ci vedevamo spesso, andavamo al cinema insieme, passeggiavamo, discutevamo lungamente. Stavamo al bar in Piazza del Popolo, insieme a Bernardi Bertolucci, Enzo Siciliano, . Poi un mio articolo forse non  ben misurato, la separazione di Moravia dalla Morante e il legame con Dacia Maraini che Elsa De Giorgi con la quale cominciai a convivere non apprezzava frenarono l’amicizia con Alberto Moravia.

 Corsi a vedere infine Alberto Moravia. Steso, Lungotevere delle Vittorie, 1, con terrazzo sul Tevere. C’era Dacia, ormai separata da Moravia ma  legatissima allora ed oggi ancora. Non so perché, il volto di Moravia  enorme gonfio,potente,  ben più robusto  di quanto fosse in piedi nella realtà vivente. Si era unito ad  una giovane spagnola che si comportava pessimamente, sembra, e forse  contribuì alla morte, giacchè Moravia era emotivissimo, affettivo, gli stati d’animo gli sciamavano,  “ vita” conversare con Lui, sentendone le percezioni che si rifrangevano nell’interlocutore. A parte il taciturno De Chirico, il fluviale Guttuso, il dosato Sciascia  fu Moravia  che mi diede  il piacere del dialogo .Avevo apprezzato da giovane Moravia,ripeto,mi scoprì la modernità, la cultura si fermava ai classici , Moravia esprimeva l’ infanzia, complessità nei rapporti con i genitori, perplessità morali , un linguaggio privo di classicismi. La “questione sessuale” ebbe in Moravia l’interprete, la sessualità come  rapporto sentito con la realtà.  Dava “senso”.
 Ill luogo eletto di Stefania, il  luogo dove l’ideale si faceva realtà e l’economia spezzava le corde era Saturnia, i bagni,          le acque termali,  elegantissima metà di persone ricche di una ipotetica o  certa qualità,  non come nel passato comunque livellatura di prestigio, gente cortese, la buona borghesia italiana e straniera. Da Roma, con  facilità ,in macchina, si entrava nel grande parco alberato, l’ingresso , documenti, camera, il tutto curatissimo, con alcunchè di antico, proprio della Toscana, i robusti mobili, le tendine, i letti, anche i bagni, ombra che poteva mutarsi in luminosità spalancando a vedere le colline. Giù, le piscine, temperature 37°gradi, tracce di zolfo rappreso  ,a coloritura verdastra , e la zona curativa per chi non si  frenava ai bagni. Un arioso ristorante , lucente di arredi bianchissimi, colazione, pranzo, cena, non si udiva una voce estremizzata, un quasi silenzio pur parlando, sguardi, minimi saluti con minimi inchini. Stefania ed io eravamo ormai clienti, e mantenevamo conoscenze. Non vi era contaminazione di cucina alla romana, saporita, carica, piuttosto verdure, prime piatti minuscoletti, carne al risparmio, zuppe, non ricordo se il caffè ci veniva al tavolo o al bar, credo al tavolo. Ma il fondamento delle Terme sta in altro: la piscina sulfurea, della quale aspiravamo l’odore, ed il  centro dei messaggi ,delle creme, della ginnastica, e le vendite dall’asta serali. Molti  pagavano esclusivamente per bagnarsi, soltanto bagni, e andar via , taluni oltre che bagnarsi mantenevano ulteriori scopi,, pochissimi erano coloro che usavano l'attività completa, albergo, colazione pranzo cena, piscina, zona curativa. Stefania primeggiava. Ogni offerta era inferiore alla sua domanda. Massaggi?Certo. Creme?Assolutamente. Ginnsastica?Aggiungiamola. La piscina, naturalmente. Era felice. Stefania Ferrero Saccà, mia moglie, era felice. Mi raggiungeva in accappatoio, inturbantata, il piccolo volto splendente, gli occhi schiariti, si slacciava , e usciva il maestoso corpo, si addentrava nelle acque che io sopportavo solo qualche minuto e sostava ore, con il viso esposto alla luce ed un levigato sorriso. Stefania era felice o almeno serena, rasserenata. Io mi rilassavo. Sono scomparsi tanti anni, forse avrei dovuto acconsentire a quel suo bisogno di natura, animali, piante, venticelli, acque (anche nel mare stava come  sua abitazione)! Sì, indubbiamente, forse l’avrei salvata. Ma lei doveva anche salvare me. Invece. Ormai il passato lo rammento senza cambiarlo, ed anche a scrivere i miei, i suoi errori, quello che è stato, fu,  rievocarlo orrendo quanto viverlo.

Utilizzare le promesse delle Terme necessitava di ricchezza,a Stefania non  apparteneva al ceto degli spendaccioni esibizionisti vagliati da qualche sociologo ( Veblen), credeva di mantenersi giovane, in salute, in godimento di consumi che le gradivano, indubbiamente vi erano coloro che giungevano alle Terme per dire; Sono stato alle Terme di Saturnia, e questo involgariva la situazione. Chiromanti, cartomanti, venditori occulti, psicologi  e quant’altro aggiungevano la nomenclatura. Cercavano di attaccare , capivano i denarosi e nugolavano.  Stefania aveva altri illusionisti che la persuadevano. E la sua avarizia si trasfigurava, quasi una liberazione dopo la strettura. Mi considerava dilapidatore se compravo calzini, maglioni, se mi facevo accompagnare dal domestico in macchina, ora, alla Terme, dopo cena, assistevo, senza poterlo fermare, ad un suicidio . Mi ero proibito di giudicare quel che pensava e compiva Stefania, se ne avviliva,  preferivo la sua animosità al  crollo malinconico o cupo. La sera, dopo cena, non quotidianamente, sovente, però, aste, quadri, tappeti, gioielli, mobili. Accanto alla piscina  un negozietto ,  cashmere, roba duplicata, triplicata nel costo. Le aste, me ne avvidi, erano  ingannevoli, disoneste, persone amiche del   venditore  fingevano di essere clienti e gareggiavano ad aumentare, Stefania entrava in corsa, e se coloro gridavano cento ,lei accresceva, e coloro aumentavano, lei oltrepassava,  gli ingannatori fingevano di rinunciare e Stefania acquistava  al massimo contenta di vincere. Non le dicevo l’inganno,  convintissima che il banditore fosse amichevole e retto, e non volevo piombarla nella diffidenza. Magari mi avrebbe accusato di impedirle  le sue voglie. Io del resto la speravo contenta. Acquistò il possibile, e comunque di pregio.  Dire che servisse, no. Rammento un tappeto cinese geometrizzato di figure, una gioia vederlo, rasserenava, ed un servizietto di tazzine minuscole, delicatissima porcellana, lo possiedo io,  un tavolo basso con sedili minimizzati, in ciliegio intarsiato , antico, sciaguratamente disperso(rubato) in un viaggio per altra abitazione. In chiusura, la vicenda saturniana  , dieci, dodici, quindici giorni valeva la paga di un cittadino comune, annuale. Stefania non acquistò la villetta prossima alle Terme, piuttosto tre casette di un edifici intero, a mezza collina tra Saturnia e le Terme. Ma al dunque se andavamo a Saturnia stavamo alle Terme.

I malesseri di Stefania non cessavano, cupume, sterzate di umore, supposizioni avventate, stanchezza, il pensare o agire sempre inquieto turbato non mi prendeva la vita facile, io volevo scrivere, io volevo leggere, volevo capire la vita e la società,, non sottoposto a controlli e soprattutto impedimenti: perché sei arrivato tardi, che hai fatto, perché esci? E questo totalmente, ogni momento, ma specialmente quel malessere strano, e macchiette che le sorgevano in volto ed il perdimento della mente, non aveva comprensione della realtà com'è la realtà . Ogni  medico voleva fare lo scienziato e forniva il  rimedio. Chi la faceva dormire (tre giorni), mi sembrava morta e stavo in agguato a vederla respirare.;chi le somministrò il  litio, credo, andammo anche in Svizzera, costosissima, e Stefania, non so come, mi acquistò una montatura di occhiali da vista Dunhill dal costo abbagliante. Ma neanche il medico straniero seppe capire e sanare. La stravaganza della situazione  consisteva in tale  difformità del vero con l’apparire. All’apparenza Stefania era alta, piena, femminissima in  questa pienezza e pure delicatissima, le mani, il volto ovale e tornito,la chioma nerissima, minuziose orecchie e bocca stesa e gonfietta, il tutto con la signorilità di generazioni di vita nel benessere e nel rango superiore, gli occhi però  talvolta davano scorci di  un qualcosa di turbativo .Lo dico: come chi sta sul baratro della follia. Un marrone arido di cavallo che può di botto scatenarsi e scalciare. Medici, di nuovo medici, quello vale, niente, altri medici, ed intanto Stefania  a letto,  imprevedibile,  bastava una parola,  camminavo sulle fiamme. I rapporti intimi crollavano, e questo mi spingeva a  risorse d’altra origine, la cameriera, il pomeriggio, mentre Stefania dormiva o stava a letto, cosette, con vista al corridoio, ora, a considerare, il sospetto di mie scorribande erano causa delle sue agitazioni? Infine, finalmente,  un male, scoperto, e detto, nominato, endometriosi, ENDOMETRIOSI, il flusso mestruale le restava nella circolazione, e la intossicava di quanto doveva essere espulso.  E peggio, peggio,  quel continuo tossicume le aveva corroso la mente. Non sarebbe stata capace di frenarsi, in pugno alle insorgenze tossiche che la sbattevano secondo l’avvelenamento. Al dunque: liti familiari con il padre . la zia ,altri parenti per questioni di denaro ed i malesseri  non è che avessi giornate al sicuro. Ma poiché gli eventi non  si inchinano ai limiti e provano, sembrerebbe, la volontà di sopravvivere agli estremi casi del possibile micidiale, una notizia recata da un messaggero degli inferi: il giovanile, elegante, abbiente uomo di mondo, il padre di Stefania, l’ingegnere Giulio Ferrero, erede di imprenditori, dalla abitazione museale, quadri, armature, al centro del centro dei Parioli, vista su parco alberato e Piazza delle Muse, ecco , detto, una parola come un fulmine: tumore. Giulio Ferrero aveva sposato una Alberti, la famiglia dello Strega, amatissima, e morta giovane, Stefania era la loro figlia, in quegli anni Giulio Ferrero, dopo  gran tempo, si accompagnava ad una signora  di scarsa qualità, romanesca. Il tumore venne esportato, riguardava la prostata, e parve che Giulio Ferrero tornasse alla vita . Alcuni mesi, poi  il medico, illustre, Bracci,  disse che il tumore si era sparso nell’intero corpo. Non eliminabile. Ce lo rese visibile come una mappa, puntini  in ogni diramazione. Qualche settimana, il padre di Stefania non fu in grado di stare in piedi. Lo andavo a visitare nel suo rifinito appartamento, a letto,  vociferava che io scrivessi in rassicurata tranquillità, Stefania doveva consacrare una stanza tutta per me, anzi, lui, mi avrebbe lasciato un appartamento, lui per me, Antonio, avrai un appartamento, e diceva e ridiceva, steso a letto, il viso scemato ma la voce piena e convinta. alche complicazione vi fu. Di colpo ritenne di essere imprigionato e chiedeva che dei carabinieri andassero a vedere  liberandolo, e lo voleva gridando e continuando a gridare. Mi recai al Comando, vicinissimo, viale Romania, e con qualche negazione poi accettarono, i carabinieri vennero con me ed alla loro vista l’ingegnere Giulio Ferrero si considerò liberato. Straordinaria questa modificazione percettiva, il fatto di non riuscire a muoversi veniva considerato una prigionia immobilizzante dovuta ad altri. Lo sperimentai. Quando per lo stato di coma dovuto al morbo pandemico io fui inchiodato a letto deliravo di viaggiare in un treno legato che andava e ritornava senza mia possibilità di scendere, e di chiedere aiuto. In realtà il muco mi copriva i polmoni e non avevo voce oltre a non riuscire a muovermi.

La sua compagna, la sua amichetta veniva e aggiunse un medico, altro sperimentatore di scienza personale,  che lo addormentava in maniera mortale, mi parve, al punto che scendendo a casa dissi a Stefania che il padre era quasi  finito.  Il  mattino seguente Giulio Ferrero, salutandomi con voce energica mi ripete che avrò nome nel suo testamento e devo  avere una abitazione, non basta la stanza. Nella notte  Giulio Ferrero chiese la vita. E la morte lo trasfigurò. Immediatamente, Un legno secco, durissimo.. Anche se in altra stesura amplierò la vicenda , i giorni successivi, mentre Stefania al secondo piano, in casa del padre, con qualche parente e gli impresari funerei si impegnava nelle esequie,, io, chiamato e richiamato per salire, mi impegnavo con la cameriera. Sì, forse allo  sconquasso della mente di Stefania non fui innocente. E tuttavia ho ragioni di difesa.
 

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