"Il Precursore dei Mille" di Pasquale Hamel

“Precorse i Mille, legò il suo nome al Risorgimento politico della Patria, non ne vide il trionfo, spento anzi tempo” Questo è l’epitaffio inciso nel bel monumento funebre, opera insigne del maestro Rosario Bagnasco, collocato nella navata laterale sinistra della basilica di San Domenico a Palermo, che conserva le spoglie mortali di Rosolino Pilo Gioeni dei conti di Capaci. Rosolino o Rosalino Pilo, come amava firmare, fu fra i grandi animatori delle rivolte antiborboniche in Sicilia, era caduto combattendo nei pressi dell’abbazia benedettina di San Martino delle Scale il 21 maggio 1860 alla vigilia dell’ingresso di Garibaldi a Palermo. In un tempo in cui i valori nobili dell’amor patrio, dell’altruismo sono, ogni giorno di più, messi in dubbio da una società iper-individualista, vale dunque la pena riproporne, seppur per tratti sintetici, la storia esemplare. Pilo, quasi un segno del destino, nasceva il 15 luglio del 1820, in pieno clima rivoluzionario, il giorno prima erano scoppiati i moti anti-napoletani che da Palermo si erano allargati a gran parte dell’isola ed avevano per quattro mesi fatto sognare il ripristino dell’antico Regno di Sicilia.  Destinato alla carriera ecclesiastica, appena undicenne raggiunse Roma per ricevere la formazione desiderata dai familiari. Proprio a Roma ha la fortuna di incontrare padre Gioacchino Ventura, uomo colto e illuminato, che influì nella formazione della personalità del ragazzo a tal punto da convincerlo, contro i desiderata familiari, ad abbandonare definitivamente l’idea di seguire la carriera ecclesiastica. D’indole ribelle, tanto da essere indicato dalla polizia borbonica come “soggetto ben noto per lo di lui irrequieto carattere", cominciò presto ad occuparsi di politica frequentando ambienti mazziniani. Non sorprende, dunque, che nel ’48, scoppiata la rivoluzione contro il centralismo borbonico, lo si trovasse membro del comitato rivoluzionario come comandante dell’artiglieria della città di Palermo e che, si opponesse all’arrivo delle armate napoletane del generale Pepe, si opponesse alla capitolazione della città. Fallita l’insurrezione, per sfuggire alla repressione scelse la strada dell’esilio, la sua prima destinazione fu la città di Marsiglia centro vivace e rifugio di molti rivoluzionari della stagione della primavera dei popoli. Da Marsiglia passò a Genova anche per stare vicino Giuseppe Mazzini, colui che ormai costituiva il suo riferimento ideologico visto che si era convertito al repubblicanesimo e agli ideali democratici. A Genova, il suo profilo di romantico rivoluzionario era ormai noto tanto da essere messo a parte dei tanti preparativi insurrezionali mirati alla realizzazione del disegno unitario. Come Mazzini, ingenuamente pensava che artefice del riscatto nazionale dovesse essere solo il popolo, e che l’obiettivo di questo impegno dovesse sfociare nella costituzione di uno Stato repubblicano unitario. Compito del rivoluzionario per Pilo era quello di alimentare, con azioni di guerriglia, il fuoco della rivolta. Non è un caso che entrasse in contatto con il personaggio che meglio ha interpretato questa immagine, quel Carlo Pisacane che nel giugno del 1857 era salpato da Genova, con un drappello di patrioti con l’intenzione di raggiungere il Regno delle Due Sicilie e di dare vita a un’insurrezione popolare che avrebbe dovuto travolgere il regime borbonico. Una spedizione che si concluse disastrosamente. Ad accogliere i rivoluzionari sbarcati a Sapri c’era infatti una massa di contadini ostili che gli si scatenarono contro provocando la morte del Pisacane e quella dei suoi compagni. Il fallimento dell’avventura del Pisacane, in cui Pilo era stato coinvolto a livello organizzativo, ebbe conseguenze negative anche per il nostro che fu costretto a lasciare, in fretta e furia, Genova per trovare rifugio a Malta dove c’era già una folta comunità di rivoluzionari siciliani a cominciare da Ruggero Settimo, protagonista principale della rivoluzione siciliana del 1848 e, poi, primo presidente del Senato del Regno d’Italia. Fra loro, c’era anche Giovanni Corrao, un focoso sovversivo col quale aveva stretto amicizia proprio nel ’48. A Malta, Pilo seguiva, con grande apprensione, gli avvenimenti ma lui, uomo d’azione, sentiva ancor più forte la frustrazione per non potere esserne partecipe. Questi turbamenti lo convinsero di non potere ulteriormente aspettare. Si imbarcò, infatti, per Londra dove raggiunse Mazzini e suscitò le preoccupazioni della legazia borbonica per il fervore della sua attività che gli facevano acquistare giorno dopo giorno, sempre maggiore prestigio negli ambienti, soprattutto massonici, della capitale britannica. Ma per un uomo d’azione, stare lontano dagli scenari dove si costruiva la storia unitaria del Paese, non era accettabile. Nell’agosto del 1859, decide di rientrare in Italia e di raggiungere Firenze mettendosi al servizio di Mazzini condividendone le sue delicate trame cospirative. Il suo sguardo, tuttavia, era sempre rivolto alla Sicilia ai “Siciliani fratelli” che invitava “ad imbandire le armi”. Il suo ritorno in Sicilia coincise con la fine della rivolta della Gancia, una fine che non lo demoralizzò ma che lo spinse a moltiplicare gli sforzi, visto che ormai la spedizione sognata, quella dei Mille, era alle porte. Sbarcato Garibaldi ne agevolò il percorso con quelle azioni di guerriglia nelle quali era particolarmente esperto. E proprio in un’azione di guerriglia, “Mentre, come scrisse Francesco Crispi, incoraggiava a guidare alla pugna alquanti uomini della squadra sotto i suoi ordini, una palla lo colpì al capo, e cadde senza poter proferire parola”.   

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