Inaugurazione della mostra dell’artista Juan Esperanza, “Anamorfosi Pitture Sculture Installazioni”. Sabato 11 maggio a Palermo
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- Category: Arte e spettacolo
- Creato: 06 Maggio 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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Sabato 11 maggio alle ore 17,30 nei locali del Centro d’Arte e Cultura “Piero Montana” sarà inaugurata dal professore Tommaso Romano, Pesidente della Fondazione Thule, la mostra dell’artista siculo-messicano, Juan Esperanza, dal titolo “Anamorfosi Pitture Sculture Installazioni”.
In tale allestimento Esperanza espone opere eterogenee ma che richiamano tutte figure primitive, ancestrali.
Figure incarnanti esseri delle mitiche origini, esseri indifferenziati dalla doppia natura umana e animale, esseri embrionali o larvali, figure umane acefale o portatrici di teste o ancora diversamente mutile, figure quest’ultime proprie degli iniziati che fanno esperienza della morte mistica. Figure dunque archetipiche del nostro inconscio collettivo, unica terra religiosa di frontiera, ancora in possesso dell’uomo moderno, in un mondo (il nostro) del tutto desacralizzato.
Figure pertanto che alla nostra mentalità corrente appaiono nell’anamorfosi di una aberrante prospettiva soteriologica.
Ma non è tutto. Esperanza carica il sostrato materico delle pitture, in cui sono rappresentate queste figure tribali, di elementi dalla potente forza magica, come la cenere e la sabbia vulcaniche, personalmente raccolta dai crateri dell’Etna, mitica fucina di Efesto, signore del fuoco ed inventore di quelle arti in origine misteriche ed iniziatiche, quali la metallurgia e la terracotta.
Ed è nella terra cotta che in particolare eccelle l’arte di Esperanza, che come gli uomini primitivi del mondo arcaico, che viene a rappresentare nelle sue opere, la impiega non per la fabbricazione di oggetti d’uso pratico ed utilitaristico, ma per modellare sculture plastiche di ancestrali simulacri ed idoli, veicoli questi delle virtù, di forze ctonie e/o trascendenti.
Anamorfosi
Pitture, sculture, installazioni di Juan Esperanza
di Piero Montana
L’ universo di Juan Esperanza, artista messicano che da tanti anni vive in Sicilia, è popolato da esseri strani.
Esseri che forse in origine, in un passato assai remoto, hanno popolato la nostra terra ma che con il passare del tempo si sono evoluti o che semplicemente sono scomparsi.
Essi di fatti non abitano più il nostro mondo per il quale appaiono nella prospettiva, coordinata dalle categorie mentali proprie e solo dell’uomo moderno, sotto forme aberranti ossia anamorfiche.
Questi esseri non sono delle chimere, non sono frutto della fantasia o dell’immaginario, non sono cioè esseri irreali.
La loro irrealtà è tale solo per la realtà concepita dalla nostra odierna struttura mentale, evoluta (?) rispetto alla sua formazione originaria, quando ad essa non apparivano di certo strane ed aliene forme di vita per noi inconcepibili.
Basta qui pensare agli ibridi che l’uomo arcaico si rappresentava soprattutto in forma cultuale. Ibridi composti da una doppia natura: umana e animale. Ibridi che avevano un valore religioso, perché essi raffiguravano l’essere primigenio, indifferenziato nella sua natura originaria, che riattualizzava l’epifania del sacro nel e col sentimento della nostalgia delle origini, delle origini dell’uomo e del cosmo formati con la materia del corpo di mitici animali ad essi preesistenti.
Per comprendere qualcosa dell’arte di Esperanza occorre penetrare nel suo macrocosmo ossia nel mondo religioso e mitico da cui, sia pur lontanamente, proviene, il mondo magico del dio Quetzalcóatl, il serpente piumato, che poteva manifestarsi sia con aspetto umano sia con aspetto di animale feroce o con entrambe le forme, e il mondo ancora più arcaico del dio Chaac dall’aspetto mostruoso con zanne, occhi a spirale e lungo naso ricurvo.
Gli esseri immaginari ma non irreali, raffigurati dal nostro artista nei suoi disegni e pitture hanno forse i loro originari modelli in tali divinità, di cui conservano inevitabilmente tracce, sia pure, inevitabilmente, col trascorrere del tempo, deteriorate.
Tali divinità per la loro azione fecondatrice necessitavano della forza e dell’energia vitale animale o umana che solo poteva alimentarle: il sangue, veicolo potente dell’anima che veniva a vivificarle e a renderle pertanto creatrici.
Per questo ad esse furono innalzati degli altari per dei sacrifici cruenti, gli chac-mool, le cui forme però appena abbozzate possiamo pure rinvenire in alcune pitture di Esperanza.
Ma c’è di più. Nelle opere del nostro artista infatti compaiono anche figure umane acefale o che portano in mano una o più teste.
Si tratta qui delle figure di iniziati, che hanno subito una decapitazione ossia una morte mistica per una loro rigenerazione spirituale. I portatori di teste indicherebbero le stesse persone che più volte si sono sottoposte a tali operazioni di rito.
Certo le nostre non sono che interpretazioni che tuttavia esulano dal contesto profano in cui esistenzialmente veniamo a trovarci.
Le nostre interpretazioni esulano dal mondo desacralizzato del tempo moderno. Se esse hanno un fondamento non è di certo quello scientifico o storico bensì metastorico, che però possiamo oggettivamente riscontrare in quel solo ambito del sacro, a cui l’uomo moderno ancora partecipa e che è costituito dal suo inconscio collettivo, sua ultima terra religiosa di frontiera.
Ma non è solo nei e coi sogni che noi possiamo fare esperienza di immagini e figure archetipe contemporanee alla nascita, alla creazione del cosmo.
All’arte da sempre e anche ai nostri giorni dagli dei è stato dato il dono di trascendere la normale quotidianità del mondo profano fino a giungere, in tale trascendimento, alle frontiere del sacro.
Alle frontiere del mondo delle origini, di cui anche l’uomo odierno, l’uomo più areligioso, l’uomo che più ha desacralizzato se stesso ossia la sua vera essenza, l’origine divina della sua natura, sia pure inconsciamente, avverte un’inconfessabile e tuttavia inguaribile nostalgia.
L’esercizio dell’arte permette una condizione privilegiata quella di proiettare l’attività umana al di là dei limiti e dagli schemi, dagli ideali anche della vita ordinaria e questo perché l’arte è un libero esercizio che gode di una certa autonomia non subordinata strumentalmente alle categorie dell’utile e del dato oggettivo, scientificamente verificabile.
Essa assolve pertanto un compito, la cui utilità è finalizzata a una compensazione non di ordine materiale, bensì, come direbbe Jung, di equilibrio psichico, spirituale.
Nell’arte più che nelle religioni confessionali l’uomo tende infatti, pur non avendone una chiara coscienza, a riappropriarsi di quel sé perduto con la sua mal posta ed incondizionata fiducia al pensiero tutto moderno, inficiato di razionalismo, positivismo e gretto materialismo.
L’arte è dettata dalla legge dell’estetica in greco aìsthesis, che significa sensazione, percezione, sentimento.
E’ per questo che con l’arte l’uomo esprime il suo sentimento più recondito, profondo, quello religioso di un ritorno al sé originario, costituito dalla sua essenza divina.
Ed è ancora per questo che nell’arte non solo pittorica, ma anche grafica e scultorea di Esperanza si possono riscontrare tracce di questa essenza.
Un’essenza primordiale, arcaica che a noi moderni appare nell’anamorfosi di una prospettiva aberrante, vista con e dalla lente della mentalità corrente, e che in figure embrionali, larvali, primitive, in figure umane e al contempo animali, in figure iniziatiche acefale o mutile delle loro membra, realizza la sua epifania, riattivando la percezione e il sentimento del sacro.
E’ superfluo aggiungere qui che l’arte di Esperanza è carica non solo di suggestioni che le derivano da un suo sprofondare indietro nel tempo nel mondo arcaico e primitivo ma anche di elementi e forze magiche che di esso facevano parte.
Per evocare infatti tali forze l’artista utilizza come materia prima delle sue composizioni pittoriche principalmente cenere e sabbia vulcaniche prelevate personalmente dai crateri dell’Etna, miticamente nota come fucina di Efesto, signore del fuoco ed inventore di quelle arti a tale elemento legate, la metallurgia e l’arte della terracotta.
Ed è nella terracotta che in particolare eccelle l’arte di Esperanza, un’arte conosciuta nel mondo antico fin dai tempi più remoti ove per prima fu destinata non alla realizzazione di oggetti di uso pratico e utilitaristico, ma alla creazione di simulacri cultuali, di idoli cioè che nella loro statuaria plasticità, alla cui forma ben si prestava l’utilizzo dell’argilla modellata e al forno ben cotta, potessero incarnare la divinità, diventando pertanto nella loro forma primitiva, ancestrale veicolo di forze al contempo ctonie e sovrannaturali espresse in tutta la loro ineffabile magia e trascendenza.
Rifacendosi all’utilizzo in origine di questa arte antica, che, in quel tempo assai lontano, come ogni arte praticata dai signori del fuoco, fu avvolta dal mistero e dal segreto, Esperanza non è dunque per il mondo profano che realizza le sue arcaiche sculture bensì per l’uomo, che oggi per quanto areligioso possa essere, in esse può riscoprire il fascino, la potenza del mondo degli inizi, del mondo del sacro. Fascino, malia che, se veramente avvertiti, non può che contribuire alla rinascita, alla riattivazione del suo originario statuto ontologico. La sacralità è un fenomeno universale, un fenomeno di ordine metafisico, che si è verificato e si verifica in tempi ed in aree geografiche tra loro molto distanti. Essa nel mettere in scena gli archetipi del mondo delle origini, può unire l’uomo delle culture della mesoamerica precolombiana all’uomo delle antiche tradizioni della nostra area mediterranea, e questo in base all’unità trascendente delle religioni, fondata su una comune esperienza fatta soprattutto in passato, quella del divino.
Ora è questa trascendenza di ordine spirituale, che la vera arte manifesta in forme certo assai diverse.
L’arte di Esperanza, ad esempio, -l’abbiamo già detto- è la sua riscoperta in icone primitive, ancestrali, in archetipi di esseri indifferenziati, di esseri embrionali o larvali, di esseri acefali o diversamente mutili, simboli tutti di un processo mistico, iniziatico, di un processo mirato ad un ritorno all’origine.
Un’ origine, che per la nostra odierna mentalità, inevitabilmente e paradossalmente si profila nell’ anamorfosi ossia nella prospettiva di una aberrante soteriologia.