Postfazione di Tommaso Romano a "Il direttore d'orchestra" di Edoardo Dispenza (Ed. Thule)

La pretesa di scindere per linguaggi estetici autonomi la creatività artistica così come ogni aspetto parcellizzato delle cose dell’uomo rischia di essere sempre più una tragedia di limitazioni e di insensatezze.

Ogni atto creativo è intanto espressione di libertà, di autocoscienza, di consapevolezza per unificare ciò che la modernità tende a superare.

Edoardo Dispenza è artista a tutto tondo e per questa affronta di volta in volta, con rara maestria le corde che consuonano il suo spirito, fra il quotidiano e l’eterno.

Le opere di questa raccolta di Dispenza hanno stavolta come tema la musica, i suoi esecutori, interpreti, direttori che parlano come era nell’idea del suono dai greci a Nietzsche.

 

Vi è già una capacità di saper accogliere con pochi ed essenziali tratti accompagnati da un colore mai “gridato”, sempre sul filo di una prova che più che d’orchestra ci appare come prova di umanità. Paganini venne chiamato l’uomo-violino quasi a significare la simbiosi che si genera fra lo strumento e l’artista che lo fa vibrare. Altamente simbolica e di straordinaria carica espressiva è l’immagine del direttore d’orchestra che il Maestro Dispenza propone come una sorta di simbolo dinamico necessario alla perfezione possibile dell’esecuzione.

I tratti dei volti delle mani danno la sensazione di vivere l’esecuzione che non avrà identica ripetizione. Nel nostro spirito queste opere non sono classificabili secondo parametri di tempo o di correnti, sono piuttosto i sensi che l’Artista che è un fautore, ci propone come dono accanto alle sue opere ai suoi segni indelebili ecco poeti, narratori, critici che alla pari dell’artista non “commentano” ma eseguono in sintoni con Dispenza una stessa misteriosa sinfonia.

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