"Fuggire Babele, per l’Himalaya" una poesia di Mariolina La Monica,

 

Affonda lo sguardo stanco

tra le chiome che dondolano

che saranno quando io più non sarò

(se l’accetta no reciderà pure loro).

Spento l’ultimo saluto del giorno

tra le parole dette e il silenzio che ripaga dall’urlo

si eclissa la mia semenza al vento della vita

tra la strada.

 

Resta una traccia diversa di questi figli

sudati ad uno ad uno, senza sconto

stilla a stilla, col sangue

resi adulti sullo spuntone roccioso

dei miei sogni sbadati e fioriti per difetto

provvisti di ali errate

smisurate

non consoni alla compra-vendita

dei mercanti di esistenze

indifesi per quei mammut

che incombono tra i pilastri e trasportano

troppo veri per non soffrire, com’è dato ai furbi.

 

Due rondini volteggiano nel cielo,

la lunga coda domenicale delle automobili sfila lenta

(e chissà se la sua serpe vanifica

nei tanti il respiro cercato)

un petalo cade

il mio muro

Taglia!

 

Quanti prima di questi figli (molto peggio di loro)

sono andati per confondere – ahimè, da presso

tra pietose indorature – il mio occhio attento

per farmi complice del loro tradire?

Per incidere a fuoco

la coscienza di una solitudine

e sollevare dalle spine

la determinazione di una dignità irrinunciabile!

 

Il mondo crede alla grinta e al sorriso

se ne convince

e ti fa quello che non sei.

Tra cecità e dabbenaggine

 Vede!

 

Ma tra questa carne martoriata

tra l’anima trafitta,

ho dalla mia serrate di purezza

per l’infante senza denti

per le fragili ossa che io sono

e che mi fanno giocattolo

al di là, dell’apparire salda per inintelligibile bisogno.

 

Si fa scuro;

cantano le cicale la gioia per la frescura

e un’araba fenice

sospinge tir e tir di stanchezza.

 

Dire basta a questo gioco di forza?

Fissare al chiodo lungo le situazioni insane?

Seppellire il disonesto di quegli occhi senza cristallino?

Azzerare le performance sociali

a cui costringe questa Babele sicula che brucia?

Acquietarsi, stendersi, andare

senza voltarsi a contare i feriti

per evitare di divenire una statua di sale?

 

O voi

che, prima di me, avete piegato il destino,

che vi siete riscattati, con la fatica, dal bisogno

senza nutrire la malafede, per farlo veramente.

O voi dagli occhi limpidi

che mi avete insegnato l’onestà                                                                                                      

                                          illudendomi!

Dove siete voi tutti

figure amate d’altra vita, d’altri tempi

quando i traviati bianchi sulla strada conosciuta

ancora ledono

fanno scorrere un bolo di dolore nelle vene?!

 

Mio testimone, un richiamo indugia:

arrestare la barca anomala

sprangare gli accessi

fuggire da questa Babele, per l’Himalaya!

 

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