“Albino Pierro venticinque anni dopo” di Franco Trifuoggi

A venticinque anni dalla scomparsa Albino Pierro rimane idealmente vivo tra noi che gli abbiamo voluto bene, unito dal vincolo, tenace e tenero insieme , del nostro affetto e della memoria nostalgica della sua nobiltà d’animo di uomo “assetato di bene”, come della suggestione della sua poesia. Risuona nel nostro animo l’eco lontana della sua “voce calda e grave, la pensosa voce meridionale” mentre rompe il silenzio della casa romana di piazza Ottavilla recitando i suoi versi tursitani, “interprete sublime di se stesso”, candido ed entusiasta come un fanciullo dell’attenzione della critica per la sua opera.

Da quella data dolorosa del 23 marzo la fama della sua grandezza di poeta, lungi dall’affievolirsi, si è, invece, intensificata. Anzitutto in varie città d’Italia si sono celebrati Convegni a lui dedicati: da Tursi a Napoli a Potenza a Salerno a Foggia a Roma a Perugia a Catania; non è mancata una fioritura di articoli e saggi di studiosi; ha visto finalmente la luce, nel 2012, l’edizione critica di tutte le sue poesie, curata con competenza e amore da Pasquale Stoppelli; e recentemente sono state ripubblicate e presentate le raccolte poetiche in lingua, a coronamento dell’impegno assiduo, intelligente e instancabile del Centro Studi Albino Pierro guidato sapientemente dal prof. Franco Ottomano.

La vitalità prodigiosa della sua lirica originale, con la sua “straripante immaginazione”, genuina, cordiale e suasiva, rimane tuttora invulnerata, segno com’è di un’inimitabile epifania poetica e di una partitura duttile, ricca di grazia e di vigore, di quella soavità e insieme scabrosità che caratterizza la “parlèta frisca di paìse”: una parlata virginea, che nella sua “aspra dolcezza” pare rispecchiare la parvenza ossimorica della realtà. Rimane intatto il fascino di una partitura musicale che conosce aperture maliose al canto come recitativi colloquiali, invenzioni favolose e riposi paesaggistici, melodie ascendenti e clausole in diminuendo, e gode della dosatura sapiente dei toni nell’ambito di una singola lirica come dell’inarcarsi della linea musicale negli enjambements.

La sua voce di poeta ci ricorda, senza retorica, i valori più alti e i sentimenti più puri che esaltano la nostra umanità: la fede religiosa vissuta senza santimonia e illuminata dalla devozione, spesso espressa in toni confidenziali, verso Gesù, S. Lucia, la Vergine in cui si riverberano l’affetto e la nostalgia per la madre terrena; l’amore trasognato de I ‘nnammurète, sapido di delizioso stilnovo che affranca dalla palude del grezzo sensualismo; il ricordo struggente dei propri cari defunti; l’ansia di risposte metafisiche alla scepsi esistenziale; la reiezione di una società ipocrita e corrotta; la nostalgia delle care abitudini di un tempo, delle semplici usanze paesane; il vagheggiamento delle memorie mitiche e incantate della fanciullezza e dell’adolescenza. E insieme l’adesione alla sofferenza delle bestie, considerate parte integrante della propria vita, di cui il poeta sente con singolare afflato, partecipe e pietoso, il palpito umano. Un motivo, questo, che mi fa pensare, per certi suoi aspetti, al postumano contemporaneo, con la deplorazione della strage degli animali al servizio della nostra alimentazione e della insensibilità alle loro sofferenze, a cui si affianca l’adesione alla muta poesia delle cose, degli oggetti, la propensione alla loro animazione (come della fontanella oggetto di tenerezza come “nu cristiène”, in una delicata lirica di Nun c’è pizze di munne), con l’auspicio dell’avvento di una sensibilità nuova e di un diverso approccio al mondo degli esseri viventi, umani ed animali; anche se, naturalmente, egli non giunge fino agli approdi estremi cari a quegli studiosi che contestano la tesi della superiorità dell’umano e ripudiano l’antropocentrismo rivendicando la struttura intelligente di tutto il creato.

Nella stagione terribile e incubosa che stiamo vivendo, e che sembra voler condizionare senza tregua e scampo la nostra vita, e comunque esige sempre più l’unità di intenti, la solidarietà e la collaborazione tra gli esseri umani, la poesia di Pierro risuona ancora più attuale nell’affermazione schietta e incondizionata del senso dell’amicizia, nell’indomito amore per il prossimo, nella vicinanza spirituale agli umili e agli emarginati che soffrono, nell’aspirazione alla fraternità universale: “Sonne d’ì ‘èsse nu frète / di tutte quante i cristiène”. E proprio in questo momento di depressione e di sconforto la parola poetica pierriana, esaltata dallo sfolgorio solare delle visioni di mare e di cielo, nutrita degli accenti vividi di un irriducibile slancio vitale che sa esorcizzare i tormenti e il dolore, e forte di una “pienezza di vita” rischiarata dalla fede cristiana, può offrirci il dono pur fugace di un sorriso e il balsamo di una miracolosamente superstite speranza.

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