La sfida (anche economica) della bellezza - di Mario Bozzi Sentieri

Economia e Bellezza: un ossimoro apparente, piuttosto una sfida. Il materiale e l’immateriale che si incrociano. E’ la postmodernità che riparte dall’essenziale, senza perdersi però nelle volute, fumose, dell’irrealtà.

La Bellezza non è infatti fuga estetizzante dal reale, al contrario. E’ rottura contro tutte le banalizzazioni. Ed è, oggi,  presa di coscienza, al di là del macchinismo industriale, dell’urbanesimo indifferenziato, dell’omologazione di massa. Ponendosi come discrimine senza tempo, la Bellezza può trovare nella sfida economica e produttiva la sua sublimazione contemporanea, segno di una nuova chiarezza narrativa, di ottimismo, di energia positiva, di forza evocativa, di sperimentazione e partecipazione. Al punto da scompaginare vecchie distinzioni, in un crogiuolo nel quale cultura alta (e specialistica) e cultura popolare (e di massa) si possano incrociare, magari scioccando gli animi aristocratici. Fino al punto da volere provocatoriamente  “un poco di bruttezza” – come ha scritto (su “Il Foglio”) Marco Archetti – evocando “una bellezza lontana, mistica, armonia sommessa, traccia da intuire, balenio sconosciuto all’opalescenza del reale” a fronte di un’idea di bellezza onnipresente, in grado di occhieggiare da un banner di agenzia di viaggi e di fare capolino in una riunione di Federalberghi, diventando la regina di qualsiasi inaugurazione e di impossessarsi di tutte le visite guidate.

Oltre gli argini dell’estetica “assoluta” il momento ci appare buono per provare a rischiare l’improbabile – fino a ieri – ossimoro, anche a costo di “contaminare” la Bellezza con qualche percentuale, con i punti del Pil, con la retorica dell’indotto. Perché l’Italia della Bellezza è anche questa: sfida economica e prospettiva di lavoro, in grado di contribuire al 17,20 per cento del Prodotto Interno Lordo – come evidenzia la ricerca elaborata dall’Ufficio studi di Banca Ifis, intitolata “L’economia della Bellezza”. Una ricerca che, nel declinare il valore della Bellezza (la sua economia) aiuta a darle sostanza reale, rendendola intelligibile ai più. A partire dal fatto che – sottolinea Ernesto Fürstenberg Fassio, Vice Presidente Banca Ifis, in premessa de “L’economia della Bellezza” – “Il concetto di Bellezza racchiude un codice di valori che da sempre contraddistingue l’identità del nostro Paese: tradizione e innovazione, connessione e competenza, creatività e conoscenza. Una vera e propria risorsa strategica per progettare il futuro attorno ad un modello sostenibile e collaborativo. Un territorio che sviluppa Bellezza, dunque, genera valore imprenditoriale e sociale per le generazioni a venire”.

Il rapporto (scaricabile on line) offre – in questa prospettiva - non pochi spunti di riflessione: l’economia della Bellezza come risultato di una complessa alchimia che affonda le sue radici nell'intreccio fra cultura umanistica e cultura materiale; un ecosistema storico, artistico e naturale in grado di fare la differenza; un’economia aperta e circolare alla quale attribuire valore tangibile; il già ricordato contributo della Bellezza italiana al PIL; la Bellezza come fattore distintivo del made in Italy.

A unire i diversi tasselli che innervano il rapporto tra Bellezza ed economia sono gli otto settori produttivi individuati come parte del perimetro made in Italy: l’agroalimentare (per il suo forte legame col territorio e la tradizione, certificato tramite denominazioni e indicazioni); l’automotive e gli altri mezzi di trasporto (nel quale il concetto di Bellezza trova il suo centro nell’estetica del prodotto, nello sviluppo tecnologico e nelle performance, ma anche nella sicurezza e nella sostenibilità); la meccanica e la manifattura (che vede un concetto di Bellezza in relazione alla precisione, alla complessità delle lavorazioni e all’elevato livello di personalizzazione); la cosmetica (grazie alla rilevanza del concetto di Bell’Essere da sempre presente nello stile di vita italiano); la moda (settore in cui l’Italia vanta una storia di stile e qualità riconosciuta internazionalmente); l’orologeria e la gioielleria (in grado di coniugare il Bello e Ben Fatto con la tecnologia d’avanguardia); il sistema casa (grazie al valore dell’Italian lifestyle, un gusto unico nell’interpretare l’abitare domestico); l’artigianato artistico, trasversale a tutti i settori produttivi, capace di reinterpretare la tradizione mantenendo la forte componente manuale che lo contraddistingue.

In un momento di passaggio epocale per il nostro sistema produttivo e sociale, mettere a sistema questo quadro complesso, sostenerlo, favorirne la crescita  (attraverso mirate politiche formative, di valorizzazione, infrastrutturali, normative) può diventare la vera sfida per l’Italia del Terzo Millennio: finalmente consapevole delle proprie potenzialità e capace di declinarle a partire dalle scelte “di valore” che le sostanziano,  nel confronto dialettico con la realtà contemporanea: radicamento vs. spaesamento, pathos vs. disincanto, partecipazione vs. egoismo, comunità vs. burocrazia, sacro vs. materialismo, merito vs. egualitarismo, equilibrio vs. degrado e così via. Anche da qui può iniziare la “ripartenza”. Nel gioco affascinante e complesso tra Bellezza ed economia. Nella sfida tra spiritualità e produttività.

 

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