"MEDIOEVO, FANTASIA E VERITA’ - L’INFANTICIDIO SELETTIVO" di Carmelo Currò

Mai come in questo periodo, di fronte alle violenze e alle ingiustizie perpetrate quotidianamente su singoli, deboli, gruppi ed etnie, è stata riportata la famosa frase di Leone XIII: Eppure, “vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati”, (Immortale Dei). Gli Stati, le loro istituzioni teoriche, appunto, poiché la evangelizzazione, la conversione, il mutamento di rotta per la compagine umana e i singoli, è ben lontana dall’ affermarsi una volta per tutte; ed anzi ogni nascita corrisponde alla necessità di un nuovo intenso lavoro per il trionfo del Cuore di Dio nel cuore dell’uomo venuto alla luce. Questo passo dell’Enciclica pontificia è stato usato e abusato per affermare una superiorità del sentire medievale che oggi viene adoperato per il consueto richiamo all’età dell’oro quando si vuole fuggire ai compiti del presente.

Un medioevo che invece fin dai suoi albori e continuando lungo i secoli successivi, fu un seguirsi di violenze, abusi, stragi, vendette e torture.

Ma allora come oggi (e questo basterebbe per rivisitare le nostre concezioni del tutto sbagliate), esistevano stragi occulte, conosciute ma di cui non si poteva e doveva parlare, Esistevano sparizioni dal mondo di persone, di minori, di infanti; sparizioni dal mondo dei vivi per essere dirottati a quello dei morti, con il tacito assenso della società e senza nessun rincrescimento.

Mi riferisco all’infanticidio selettivo; metodo di controllo non delle nascite ma della nutrizione e dell’economia familiare; sacrificio ritenuto indispensabile per il mantenimento dell’equilibrio precario se non dell’avanzamento sociale del gruppo familiare.

Questa forma di omicidio derivava dal fatto che una bambina era ritenuta inutile o pericolosa per le famiglie contadine che si trovavano a vivere, per motivi economici o climatici, sul confine della sussistenza. Non si deve dimenticare come nei secoli passati, in ampie parti dell’Europa, la piccola glaciazione rendeva insufficienti i raccolti, e obbligava le popolazioni a nutrirsi con alimenti molto meno nobili e proteici di quelli che oggi immaginiamo. E che comunque la carenza delle entrate faceva ristagnare le condizioni di moltissime famiglie.

In questo contesto, una donna era considerata inutile per i duri lavori dei campi, per dissodare, vangare, piantare. E inoltre, in caso di matrimonio, era necessario procurarle una dote sia pur minima, se non la si voleva vedere rimasta a casa, con il duro risultato di avere una bocca in più da soddisfare.

L’aristocrazia, del resto, aveva a suo modo le stesse esigenze; ma le affrontava con altro metodo. E quando non si voleva veder uscire dalle ricchezze familiari cifre dotali che rischiavano di incidere sulle economie per più di una generazione per fare bella figura con il proprio ambiente sociale, si ricorreva alla monacazione; costringendo o convincendo una o più ragazzine di casa ad entrare in convento o monastero. Decisione che di per sé comportava altre spese come la dote per la casa religiosa e le feste per i voti solenni. Ma che erano comunque di molto inferiori alla somma per la dote consona alla figlia di un principe o di un duca.

Insomma, per ripetere un antico proverbio confuciano, “Con un figlio hai una discendenza, con dieci figlie non hai nulla”.

Oggi la Cina rimane ancora ai primi posti nella triste classifica dell’infanticidio femminile, oltre che in quella dell’aborto selettivo, visto che i metodi moderni consentono di conoscere il sesso del nascituro. Ma “a ruota segue l’India che, dopo la Cina è lo stato dove lo sbilanciamento tra i sessi è più marcato (112 maschi ogni 100 femmine) e l’infanticidio una pratica con numeri da strage: dal 2001 al 2011 le bambine tra zero e sei anni sono passate da 78 milioni 830mila a 75 milioni 840mila. “La nostra mentalità distorta è responsabile di questo sbilanciamento tra i sessi - ha tuonato il primo ministro indiano Narendra Modi nel gennaio 2015, in occasione del lancio della campagna Save girl child, educate girl child -.” (Cf. https://magazinedelledonne.it/faq/46045-infanticidio-femminile-aborti-selettivi-la-strage-delle-bambine).

Sembrerebbe impossibile che queste concezioni criminali siano state ampiamente condivise anche tra compagini cristiane ed in tempi ritenuti sacri e insospettabili. Eppure i numeri stessi lo dicono. Io ho già denunciato lo stato dei fatti, con tabelle inoppugnabili, nel mio libro Il sogno della dama ignota -  Storia del Comune di Baronissi dalle origini al Settecento (Montoro Inferiore 2011). Esaminando i dati archivistici disponibili per le frazioni della comunità dell’hinterland salernitano, la prevalenza persistente dei maschi sulle femmine già in età infantile, mostra questa apparentemente inspiegabile situazione demografica da fine Cinquecento a tutto il Seicento, proprio in una società dedita al lavoro ­dei campi e in parte anche alla tessitura e al pericoloso compito di macerazione e lavaggio della lana.

E’ evidente che alle bambine erano riservate poche cure e scarsa alimentazione che le rendeva meno resistenti alle condizioni climatiche e alle patologie infantili. Una situazione che è esempio di quello che accadeva anche in altre comunità.

Gli elementi archivistici si fermano alla fine del Cinquecento per la diocesi di Salerno. Ma non mancano esempi più antichi e per diverse e più lontane località che confermano questo quadro spaventoso.

Le superstiti numerazioni familiari per la tassa sul focatico, che fotografano una parte consistente del Cilento nel 1489, ripetono la stessa disparità. Prendiamo qualche esempio: a Laureana, la comunità è composta da 293 maschi e 217 femmine; a Omignano si contano 134 maschi e 111 femmine; a Perdifumo una più esile maggioranza di 174 uomini rispetto a 168 donne; ma a Pollica 158 uomini contro115 femmine; a Prignano 190 e 152 donne. Si potrebbero enumerare tutti gli altri centri di cui rimangono documenti. I risultati sarebbero sempre gli stessi: mancano troppe femmine (Cf. A.SILVESTRI, La popolazione del Cilento nel 1489, Salerno 1956, alle voci menzionate­­).

Lo stesso fenomeno, in epoca ancora più lontana, è riportato a Firenze dove nella prima metà del Trecento si registra un’eccedenza di maschi da 300 a 500 su quasi 6.000 battezzati (Cf. J. BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, Milano 2008, pp.76-77). Nella città del Rinascimento, dell’ammirazione paganeggiante e della protoindustria erano dunque ampiamente diffusi, come in ogni parte d’Italia, se non i valori almeno i comportamenti anti-cristiani.

Perché fare ancora mitologia su un medioevo mai esistito?

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