“Dantedì di preghiera” di Dorothea Matranga

In pieno clima di guerra, nel giorno dell’Annunciazione, mostrando solidarietà partecipe a quanti in questo momento sono in prima linea al fronte negli ospedali e alle famiglie che hanno perso i propri cari, ai quali esprimiamo il nostro sentito cordoglio, quale inizio migliore, nel giorno dedicato al nostro Sommo Poeta Dante, nel giorno a lui dedicato, il Dantedì, se non quello di dare spazio al significato intimistico e pieno di pathos e al contenuto della preghiera dell’Ave Maria? E quale momento migliore di quello che l’intera umanità sta attraversando in questi giorni di buio profondo, per focalizzare l’attenzione nella preghiera più conosciuta, più intimamente sentita, più coinvolgente e più che mai necessaria come l’Ave Maria. È con l’Ave Maria, la Preghiera delle preghiere, con l’analisi profonda e accorata del testo, delle parole che vogliamo ricollegarci al nostro Sommo Dante, che non è soltanto il padre della lingua italiana, ma soprattutto un grande maestro della spiritualità. Ce ne ha dato prova riuscendo a eternare la sua Commedia nell’arco temporale di ben sette secoli, fama che durerà anche in futuro soprattutto come modello di spiritualità, per il quale sarà ancora oggetto di studi profondi. Maria è stata prescelta da Dio come madre di Gesù e di tutti gli uomini, e per questo Dio l’ha preservata dalla colpa originale. E il verbo si è fatto carne nel suo grembo. Ecco quindi che lo spirito di Dio, lo spirito Santo e Verbo si incarna nel grembo di Maria, per il grande Amore di Dio verso gli uomini. Ma è nell’accoglienza, nell’accettazione da parte di Maria alla volontà di Dio, che è insita la sua grandezza. La sua grandezza è nell’umiltà, nel sapere diventare Tabernacolo del corpo di Cristo, nell’essere Creatura tra le creature, dolcezza e carne, che si fa docile a essere plasmata dall’Amore di Dio. E come Maria nell’annunciazione, diventa lei stessa spirito che incarna lo spirito divino con l’accettazione e l’accoglienza, anche noi durante la preghiera dell’Ave Maria accogliamo la volontà di Dio, ascoltiamo la sua Parola, e cerchiamo di metterla in pratica. Come Maria si è fatta canale, mezzo di comunicazione e veicolo di spiritualità, oltre che gineceo e Tabernacolo della bellezza divina della Verità, casa dove il sangue e il corpo di Cristo trovano la Chiesa e un posto che sia consono alla grandezza di Dio, così anche noi dobbiamo, pur nella nostra limitatezza di uomini impregnati di peccato, cercare in tutti i modi di sviscerarlo per desiderare e tendere al Sommo Bene. Bene, che non è rivolto solo a noi stessi, in modo egoistico, ma anche al prossimo, come un sole che rischiara le nuvole e riscalda. Dobbiamo avere un cuore buono e sincero, dobbiamo saperci elevare al di sopra della materialità, per assurgere a una dimensione quasi sovrumana. Certo di difficile attuazione, così come siamo, immersi in un mondo globalizzato dove il consumismo porta benefici subitanei e allettanti, dove la strada e il cammino si prospettano facilitati, senza macigni che ne ostacolino il tragitto. Attenzione però ai falsi idoli, ai mentitori che vestiranno il vello dell’innocenza, sono e saranno solo ingannevoli volti che cercano di confondere e disperdere, veicolare verso fronti senza orizzonti e senza una vera meta. C’è voluto tanto coraggio da parte di Maria di accettare la volontà di Dio, sapendo di dovere poi scontrarsi con un mondo di ristrettezze mentali, dove non c’era spazio per Dio. Quello che stiamo vivendo oggi è un triste momento. Notiamo con grande delusione che per molti Dio è morto, per molti altri non è mai esistito neppure il pensiero di Dio. Caparbia e incosciente ambizione dell’uomo di volere essere, egli stesso, al centro del mondo, uomo che si fa da sé e per sé, dove la natura è ricondotta alla riduttiva quantificazione cosmica, la cellula a una mera entità scientifica. Maria, è la Benedetta tra le donne, la madre tra le madri. E come madre ha in comune con tutte le mamme del mondo il fatto di generare un figlio. La maternità assume così un carattere divino, in quanto il grembo, il ventre di Maria e di tutte le madri è il luogo dove, per volontà di Dio, comincia a battere il cuore della vita, fino alla nascita, e al suo esordio nel mondo. Ecco che ogni madre, come Maria ha un ruolo quasi di santità, perché mezzo in cui si cala e prende vita lo Spirito divino. Senza, per questo, nulla voler togliere alla figura paterna, indispensabile certamente e compartecipe essenziale nell’atto spirituale del concepimento. Dio c’è, e c’è sempre. C’era prima e ci sarà dopo di noi. È dentro e fuori di noi. E per amore si è fatto carne in Maria, per essere anche Cristo. Una Trinità che comprende l’uomo. Un abbraccio, una mano tesa all’uomo per Amore, perché dopo la sua parentesi terrena possa tornare a Dio, nell’unione col Padre. La seconda parte dell’Ave Maria è una preghiera di affidamento incondizionato a Maria, madre di tutti gli uomini. L’uomo ha la piena consapevolezza dei suoi limiti. Nella disperazione dei giorni, quando il peso da portare è troppo pesante, e l’angoscia ha il sopravvento, egli sente il bisogno, almeno per i credenti, di essere sostenuto e supportato. Dinanzi al tunnel, dove non è visibile la luce, l’unico sostegno è trovare conforto tra le braccia di Maria, con la preghiera del Rosario, trovare la pace, la serenità affidando ogni pena nelle mani della nostra Madre Santa, certi che ci darà aiuto. Lei porgerà a suo figlio, Cristo, Dio, le nostre preoccupazioni e le nostre pene. La grazia di Dio ci verrà in aiuto sostenendoci, ridando ossigeno e forza alle nostre fragili membra. Maria sarà nostra compagna anche nel momento del trapasso se l’avremo cercata e pregata con fede. Maria è la via per il cielo, così come la Croce è il messaggio della Resurrezione della carne. È Maria la chiave del nostro successo spirituale a cui dobbiamo affidarci per essere certi di trovare la luce. Dante, nella Divina Commedia, sceglie tre donne benedette, per un cammino simbolico verso il cielo, che non è soltanto la sua direzione, è l’itinerario che deve intraprendere l’intera umanità che vuole cercare e trovare la salvezza, ottenere la vita eterna. La prima delle tre donne benedette è Beatrice, che il poeta incontra per la prima volta nella sua giovinezza, e poi quel soave momento si perpetua nella sua memoria come filo conduttore di tutta l’azione della Commedia. Ma il vero filo conduttore è la triade intera, le tre donne Sante e benedette, Beatrice, Santa Lucia, la Vergine Maria, come testimonianza e vigore alla fede cattolica. Dante poeta sceglie questo mezzo, per trarre dalla triade il perfezionamento al suo spirito in ascensione, col quale potrà meglio affrontare quel cammino spirituale di salvezza che ha deciso di intraprendere, e portare a buon fine. È un uomo che vuole spogliarsi della sua essenza terrena, per potere affrontare dei salti di livello ascensionali e spirituali che possano elevarlo e sublimarlo. Le tre donne benedette sono donne che rimangono donne, per essere d’esempio sulla terra, e sono benedette perché possano rappresentare un modello di bellezza spirituale da imitare e seguire, nella condotta della loro vita quotidiana, dove gli affanni sono superati col dono della Grazia e l’accettazione della Croce, per il raggiungimento della meta ultima nel ricongiungimento col Padre. La lotta interiore, nel cuore di Dante, non è vista come una condanna, bensì come uno spiraglio di luce. Se non c’è lotta interiore non c’è neppure una svolta e un cambiamento verso il bene. Quindi la prova non è vista come un castigo. Ritrovarsi nell’ambiente simbolico della Selva, immerso nel peccato, può essere letto come il buio che rende bisognosa la luce, come ombra che rimane ombra in quanto oscurità dalla luce. E solo conoscendo l’ombra, l’oscurità troverà la forza della fede e la speranza, nella lotta, nel superamento degli ostacoli, con il coraggio e la volontà di farcela, per ottenere il premio finale della vita eterna. In tal senso l’oltretomba non è ombra del mondo terreno, o una sua copia scolorita, al contrario è invece il mondo vero, la fede autentica dell’uomo, la dimensione a lui destinata, non per un breve transito come la vita terrena, ma per l’eternità. In tale ottica è il mondo terreno a essere ombra dell’aldilà. Ma per Dante il mondo terreno è ugualmente importante. È nel mondo terreno che l’uomo deve assumersi le sue responsabilità etiche e morali, con il proprio atteggiamento, le proprie azioni, le proprie scelte, con le quali determina la sua vita ultraterrena di dannazione o di salvezza. L’aldilà è la vera vita, senza veli o false verità. Luogo dove l’uomo è spogliato dalle sovrastrutture e incrostazioni terrene, dove appare nudo e crudo con la propria anima, a tu per tu nel riflessivo specchiarsi dell’anima. Secondo questo ragionamento, le tre cantiche, nel loro aspetto simbolico, sono per l’uomo, non solo un procedimento ascensionale di mera indicazione verso il cielo, e neppure il Sommo si erge a giudice supremo che spietatamente assegna ai dannati un posto nell’inferno, a seconda dei loro peccati. Nessun giudizio dunque, né pena assegnata per il gusto di punire. Vuole essere invece uno specchio per il ravvedimento, nelle immagini colorite di esacerbate esasperazioni, con grande maestria, Dante ci mostra la crudezza della pena, avvertimento per l’uomo, tremenda punizione per chi non avrà saputo ben operare con il criterio della scelta proiettata al Bene. Dante presenta la Divina Commedia come opera voluta da Dio stesso, mano della Provvidenza che ha provocato in lui quel travaglio interiore per spingerlo a comporla, e richiamare l’umanità intera, la comunità dei Cristiani e la Chiesa stessa per instradarli al cammino della salvezza. Egli stesso si sente spiritualmente guidato dalla Grazia, sa che il suo è un grande compito, quello di superare, grazie alla Commedia, i limiti terreni, per vestire i versi di sovrannaturale, per svolgere la Missione a cui è stato chiamato con l’opportunità del viaggio simbolico nell’aldilà. Cosciente che la sua opera porterà molte anime sulla sponda del Bene, dove il peccato è superato e vinto con la presa di coscienza del baratro in cui è piombata l’umanità. A tutti gli uomini è data la possibilità del ravvedimento, di fare dietro-front dal male. Per chiudere questo itinerario spirituale, non soltanto dantesco, crediamo sia appropriato fare riferimento all’ultimo canto che chiude i tre libri della Divina Commedia, il XXXIII canto, il canto ultimo del Paradiso e della Commedia dove, nella prima parte è riportata la preghiera di San Bernardo alla Vergine Maria. La prima parte della preghiera contiene le lodi a Maria, la seconda invoca l’intercessione presso Dio. E Maria dà il suo assenso con l’attenzione del suo sguardo. San Bernardo invita Dante a guardare in alto, nel cielo, ma lui lo sta già facendo, e quando lo fa il suo sguardo penetra per gradi entro la luce divina, fino a vedere manifesti i misteri della Trinità e dell’incarnazione. Con lampo finale della Grazia, Dante raggiunge la stessa condizione dei Beati, nell’estasi della contemplazione di appartenere all’Ordine Universale e di essere in perfetta armonia con l’Amore di Dio. La viva luce, la luce divina, è sempre uguale a sé stessa. Tuttavia è Dante a cambiare dentro di sé, man mano che la sua vista si accresce. La visione muta al mutare del suo atteggiamento interiore, quasi una trasfigurazione per gradi. Il linguaggio dantesco è insufficiente a esprimere la propria visione, ma il suo desiderio è appagato, appagata è la sua volontà di conoscere. Dante ora sa che il cerchio è chiuso. Con l’immagine del cerchio che si chiude, simbolicamente, Dante è consapevole, ora, che l’uomo è incapace di risolvere i misteri dell’Universo. Come Dante, Sommo Poeta fa nel cammino della Commedia verso il cielo, aiutato dalla Carità e dalla Grazia, affidandosi nella fase ultima del viaggio all’intercessione di Maria, lo stesso desideriamo fare noi oggi, in questo momento di buio in cui l’oscurità è calata delle nostre vite con l’affidamento incondizionato, umile e sincero, amoroso, di noi stessi e dei nostri cari alla Santissima Trinità e alla Vergine Maria.

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