Due splendide espressioni palermitane di contro “cancel culture”: “I segreti del chiostro” e “Sacra et Pretiosa – Cerae”.- di Alberto Maira

In un profondo articolo dal titolo “Cancellare la cultura per cancellare l’uomo”, pubblicato sul numero 414 di Cristianità, la professoressa Laura Boccenti scrive a partire dalle prime righe dello stesso, come nel mondo occidentale si sta diffondendo sempre più un clima di «non libertà», in cui le persone non hanno più il coraggio di esprimere serenamente la loro opinione. 

Su alcune questioni-chiave — come il genere, il clima, le minoranze — vi è un’enorme pressione perché ci si muova all’interno di un’orto­dossia prefissata, seguendo un’idea di uomo e di giustizia che contraddice in modo radicale la visione ereditata dall’umanesimo occidentale e cristiano. 

Avverto subito che qui con il termine «umanesimo» non mi riferisco al movimento sviluppatosi in Europa negli ultimi decenni del secolo XIV. Parlo di «umanesimo» nel suo senso più ampio, volendo indicare, cioè, l’in­sieme delle acquisizioni filosofiche, giuridiche, artistiche e religiose che, a partire dall’antichità, hanno fondato e sviluppato la consapevolezza culturale dell’Occidente sul valore e sulla dignità dell’uomo.

La cultura occidentale ha trasmesso fino ai giorni nostri la consapevolezza che la giustizia consiste nel dare a ciascuno il suo, riconoscendo a ogni uomo ciò che gli spetta in quanto persona, in quanto portatore di diritti universali, fondati sulla comune natura umana, oltre a quanto gli spetta all’interno delle relazioni costitutive della sua esistenza: per il fatto di essere genitore, figlio, lavoratore, e così via.

L’ideologia woke (dell’essere «svegli», «consapevoli»), o del «politicamente corretto», ha sostituito a questa visione un’idea differente di uomo e di giustizia: per essa i diritti dell’uomo non sono più universali e dipendono non dal fatto di essere una persona, ma dall’appartenenza a un gruppo discriminato. 

Il «wokismo» non si presenta con una visione del mondo esplicita e organica, come, per esempio, il materialismo storico e dialettico nell’i­deologia comunista. Gli aspetti che lo caratterizzano sono più negativi che propositivi: eliminazione della nozione universale di uomo, relativismo culturale, uso del linguaggio come strumento di potere, pregiudizio di colpevolezza e denuncia della propria civiltà, accusata di aver discriminato le altre culture in nome di una presunta superiorità. 

Per queste ragioni la cancel culture, metastasi del «wokismo», è molto più appariscente del suo antecedente, in quanto si attua nella pratica di imbrattare monumenti o di estromettere dalle relazioni reali, sociali e professionali, o anche solo da quelle dei social media, chiunque sostenga tesi giudicate «politicamente scorrette». 

Il grande pericolo che questa cultura porta con sé, oltre all’esercizio generalizzato e indiscriminato dell’intolleranza, è di staccare la nostra società dalla sua eredità culturale, provocando, come spiega il sociologo inglese Frank Furedi, peraltro di formazione marxista, una catastrofe antropologica e sociale. Egli afferma, infatti: «Questo non è un problema da poco per la semplice ragione che la continuità culturale è essenziale per illuminare la difficile situazione umana. […] L’emergere stesso del concetto di “crisi d’identità” che porta a un’ossessione per l’identità e la sua politicizzazione è intimamente legato al disfacimento della continuità culturale» “.

Di fronte alla “cancel culture” che passa da vistosi incendi di chiese, cappelle, statue, all’imbrattamento sistematico di monumenti, altari, quadri fino alla vanificazione silenziosa e subdola del nostro più profondo patrimonio culturale e artistico che fa si che nulla del meglio del nostro essere e del nostro passato venga trasmesso alle attuali ed in particolare alle future generazioni vi è chi si pone il quesito di come opporsi a tale processo di distruzione. Gli uomini di buona volontà si sentono impotenti e deboli, scoraggiati e smarriti. E’ possibile fare qualcosa e cosa e come ?

Senz’altro si può e devono studiare le caratteristiche del fenomeno distruttivo e delle sue dinamiche e strategie, inserire questa lettura nel più ampio quadro di crisi della civiltà occidentale e cristiana, di quello scontro tra la “Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione” per dirla con la prospettiva di un grande lavoro del Prof. Plinio Correa de Oliveira, illustre pensatore cattolico brasiliano. Si può svolgere un’opera di vigilanza e cura intellettuale, morale, civica, normativa, pratica che può essere svolta da tanti e a diverso titolo. Promuovere ogni rivisitazione e valorizzazione delle opere d’arte e delle pratiche cultuali e culturali che sono state le ricchezze del nostro passato.

Anche quelli che possono apparire piccoli gesti locali assumono il valore di grandi gesti e sono le vie attraverso le quali passa la rinascita della nostra migliore identità. Portiamo due esempi, che intendono essere al tempo stesso due schede minimamente recensive di due splendide opere curate la prima da Maria Oliveri, appassionata studiosa di arte, storia e antropologia, dal titolo “I segreti del chiostro” . Storie e ricette dei monasteri di Palermo de Il Genio Editore. Ci è aperto il mondo dei conventi di clausura palermitani delle loro abitudini, dei loro patrimoni, della loro delicatezza espressiva, e finalmente del cibo, della grandezza e gradevolezza dei sapori e dei profumi, Le oltre 210 pagine  del volume si aprono con la competente prefazione della professoressa Rita Cedrini, caratterizzata da correttezza scientifica e dovizia di particolari sconosciuti, Grande spazio è riservato ad un vero gioiello della conventualità palermitana, quello di Santa Caterina. Decine di pagine sono finalmente dedicate ai cibi ed in particolare ai dolci, dei quali sembra di sentire il gusto e i profumi. E’ un tuffo nel grande lago della nostra cultura tradizionale , di quel mondo che nel 1798 ricorda il Pitrè, a Palermo contava in in una città di 184.000 abitanti, 38 conventi maschili, 39 monasteri femminili, 152 chiese, 7000 religiosi.

Si tratta al tempo stesso di un delizioso esempio di come a partire dal “piccolo” concreto aspetto di vita quotidiana si possa fare autorevole e profonda contro cancel culture” . E’ un testo da leggere e studiare ma anche un libro da gustare e “fare”.

Il secondo testo è il catalogo della mostra “Sacra et Pretiosa – Cerae. Il Divin Infante nel Monastero di Santa Caterina “ dello stesso editore palermitano del volume precedente e curato sempre da Maria Oliveri e dalla sorella Nicole.

 La mostra inaugura un nuovo capitolo del vasto e articolato percorso di valorizzazione delle opere d’arte sacra siciliana mirante a far conoscere e valorizzare il patrimonio del sacro ma anche a raccontare la vivacità culturale e religiosa che connotava la vita all’interno dei monasteri e dei conventi poco conosciuta. Sede della mostra è stata il Monastero di Santa Caterina d’Alessandria con l’obiettivo anche della riscoperta e della valorizzazione delle tradizioni monastiche che hanno usato la cera, che in Sicilia già dal Settecento assurge a vera e propria arte. Un tempo ogni monaca professa del monastero di Santa Caterina aveva un Bambino Gesù, protetto da una scarabattola, sul cassettone all’interno della sua cella. Il Divin Infante era oggetto di contemplazione da parte della religiosa, che nell’intimità del suo cuore, in solitudine e silenzio, si interrogava e meditava sul mistero dell’Incarnazione. Diffuso era l’uso di rivestire i bambini con corredini, spesso ricamati o di adornarli con gioielli in corallo, in ossequio alla consolidata tradizione siciliana di donare ai neonati il corallo. Nelle stanze un tempo dedite alla vita comune delle suore, al primo piano del monastero, sono stati esposti i capolavori in cera, d’ambito siciliano, che attestano il culto e la devozione al Divino Infante: Gesù in fasce, perfetti in ogni dettaglio, realizzati da virtuosi “bbambiniddari” palermitani, che avevano bottega in via dei Bambinai, nei pressi della Chiesa di San Domenico; bambinelli realizzati in seno alle comunità monastiche femminili . Molti dei “Bambinelli” in esposizione provengono da collezioni private: si tratta spesso di manufatti che hanno anche un forte valore affettivo, perché se ne tramanda il possesso di generazione in generazione, in ambito familiare.

La rappresentazione più diffusa è quella del bambinello in fasce, in atteggiamento dormiente nella sua culletta, in cesta, o disteso su un divanetto, o inserito in un tempietto o in un giardino, o sdraiato su rocce di sughero. Bambinelli minuscoli di cera sono inseriti all’interno di un guscio di noce, o su una pala di fico d’india. Non manca tuttavia il Salvator Mundi, il bambino benedicente con il globo in mano ; il Buon Pastore che affianca il suo gregge; l’Ortolano, il Bambinello con i cuori, il Bambino Gesù con i simboli che prefigurano la futura passione (chiodi, martelli, scala, corona di spine), il Bambinello tra le braccia di San Giuseppe o della Madonna.

Mentre la professoressa Nicole Oliveri si sofferma nel bel saggio introduttivo sul tempo e il significato della Contro-Riforma cattolica, sulla riforma di vita tra il Rinascimento e la Modernità, Maria Oliveri approfondisce gli aspetti artistici e le espressioni e i significati della religiosità popolare con le sue devozioni,espresse dai Bambinelli di cera. Non mancano gli approfondimenti strettamente artistici, le tecniche di conservazione, manipolazione e restauro di queste manifestazioni artistiche straordinariamente dolci e belle nonché una ricchezza di immagini di singolare bellezza.

Il lavoro profuso in queste opere è il simbolo di una modalità che finisce coll’essere una risposta concreta e profonda a quel processo iconoclasta che si sta diffondendo a piene mani ed è frutto di un lungo e plurisecolare processo di scristianizzazione del nostro mondo, processo iconoclasta che trova tanti attori e purtroppo pochi oppositori.

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