
Un principe romano, mio vecchio amico, capo di una delle famiglie aristocratiche che noi chiamiamo papaline, tuttora fedeli alla Chiesa e alla Sede Apostolica, oltreché per aver dato alla Storia prelati, cardinali e pontefici, mi riferì una battuta: “Il libro d`oro nel 1946 contava 200 pagine; ora dopo settanta anni di repubblica ne conta 2000”. Conoscevo la battuta, che sottende la nota simpatica autoironia del nostro ceto, quando non il popolare sarcasmo verso la nobiltà italiana con improprie generalizzazioni. Merita qui, trattando di valore imperituro e di resistenza spirituale della nobiltà alla decadenza e alla secolarizzazione laicistica dei tempi, citare le cause di tanto. Dall’unità d'Italia, in settanta anni di Monarchia, tra tante guerre e rivolgimenti ideologici e sociali, la nobiltà fu censita coi mezzi cartaceo-burocratici, fiscali e talora discriminatori dell'epoca, tramite prefetture, podestà e carabinieri, nell’arco di pochissimi anni; con enormi, immaginabili lacune rispetto alla documentabile, ed affatto superata né archiviata formazione storica ampiamente preunitaria dei variegati ceti nobiliari della Penisola. La norma “transitoria e finale” della Costituzione che nega il riconoscimento dei titoli nobiliari, paradossalmente sorti l’effetto contrario di rinvigorire e riaffermare nelle famiglie nobili la coscienza della propria missione di testimonianza storica da tramandare, ed il desiderio di pubblici riconoscimenti.
Vuoi con l’ingresso in primari ordini cavallereschi internazionali, in istituzioni pontifice ed estere, oltreché nel figurare nell'ultrasecolare Libro d 'Oro della Nobiltà Italiana, la cui ultima edizione la XXV 2015-2019, con 32 volumi in un secolo e mezzo, a cura del glorioso Collegio Araldico, è di questi ultimi giorni. L'illustre autore spiega ampiamente il senso di tanta resistenza spirituale, nella riaffermazione dei valori metastorici dell’aristocrazia, che come erede e testimonianza dei ceti dirigenti che formarono nei secoli scorsi la società moderna nella sua evoluzione, fondarono l’idea stessa di Stato di diritto. Al punto da poter fare benissimo a meno del difetto formale, ma tardivamente giacobino o sessantottino, di “riconoscimento”. A fronte di riaffermati valori che non riguardano la vanità sociale in tempi di edonismo, consumismo e nichilismo di cui in questi tempi registriamo i tragici sviluppi ed esiti; ma attengono a valori etici, civili. Valori immateriali e per noi eterni, quelli dello Spirito.