“Il mio diario – 11” di Antonio Saccà
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- Category: Scritture
- Creato: 25 Ottobre 2024
- Scritto da Redazione Culturelite
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La connessione è sparita, avevo rifondato relazioni con l’umanità esterna, e dopo, scomparsa, non sono connesso. Ritento, opero le manovre , nessun risultato. Mi sconforto più che infastidire. Questa recisione comunicativa rende l’isolamento netto, già non bastasse la chiusura ospedaliera.
I soliti liquidi goccianti nelle vene, le flebo, ma stavolta ,ore, e il dosaggio non scende, pulsante, infermiere, non viene, infine qualcuno, il congegno era malposto, ecco il tremore, che una disattenzione ti rovinerebbe. Il mio vicino di stanza parte della notte a gridare aiuto. Ha vocione rozzo, ma nel dire “aiuto” diventa stridulo,, la notte gli infermieri o per il da fare o per il non voler fare non giungono, e costui grida, afferro il pulsante, qualcuno , mi pare si tratta di bisogni, si è sporcato, luci, pulizia, e la faccenda è conclusa. Ora sta prossimo alla mia vista, steso a bocca larga, non era, non è da godere, gli sollevano lo schienale, meglio, continua con la bocca spalancata, meno morto apparente di prima.
Viene la dottoressa, gentile e di poche parole, riassume, ho delle carenze, ferro, potassio, altro, non gravi, mi prescriverà, sono diabetico?, chiedo , mi farà conoscere. Intendevo uscire oggi, ma non credo, forse domani, forse
Tutte le malattie sono male, appunto, se viene disorientata la mente forse non susciterà dolore ma orrore di certo. Ascoltare parole scorrenti a vanvera, mormorii intimi incomprensibili, vociferazioni incupite, da un pozzo oscuro, infetta più di una malattia contagiosa. La demenza imbecillita o la follia agitata entrano in noi e ci intimoriamo di quel precipizio che non ci esclude dal poter sconvolgere noi. Il pazzo, il demente sono contagiosissimi, strappano le tutele del pensiero ordinato secondo volontà e consapevolezza.
Lo guardo e lo sento mentre sconfina, e temo. Chi mi assicura che io manterrò dentro la mente linguaggio ordinato con significato reperibile e non prolungamenti di voce senza costrutto? Ora riposa, bocca larga, un sopore mortuario. Comprendo perchè talune religioni esaltano la fine, capovolgono l’orrore in via per l’eternità. E’tanta l’infelicità ed anche la bruttezza del corpo vecchio e morente che si stravolge in nuova vita. Nell’Aldilà.
Quasi le 20. Non dormirò , non riesco né voglio. Finchè vivo voglio vivere cosciente e laborioso. A non fare eternamente provvederà la morte.
In territorio di malati comprendiamo l’unione del corpo con la mente ed il sentire, evito di scrivere anima giacchè non saprei coglierla. Il corpo è totale, si manifesta con differenze. Vi è il corpo che suscita stati d’animo, sentire, ed il sentire, gli stati d’animo che agiscono nel corpo. Ma sempre strettissima vincolanza, e luna condizione non esiste mancando l’altro o non provocandola.
Mi recano la cena, la solita brodaglia, l’assaggio, e mi disgusta, mentre le zucchine sciape mi infiacchiscono. Uno stufato saporito mi rivitalizza. Corpo e sentire cosciente si stringono indistinguilmente. Annoto situazioni semplicissime, ma vere. Vengo a conoscere la morte di un amico , che pensavo esistente e da incontrare, il fianco destro ha una fitta, per qualche tempo la mente disorienta, reclino di improvvisa stanchezza. Ecco l’opposto. La mente ed il sentire determinano il corpo. Ne risulta che maltrattare, spregiare il corpo ò follia. Ritenere persino tempo sprecato la salute è un danno che si paga quando ormai è tardi per sanarlo. Il corpo sta nella mente-sentire come la mente- sentire sta nel corpo. Lo vedo. Chi azzoppato e non può alzarsi e grida disperato al soccorso, quale il mio vicino di stanza; chi suppone incertezze dalla decifrazione del proprio sangue, è il mio caso: chi cammina senza arresto preso da chi sa quale urgenza ;c’è di tutto, per tutti. La salute renderebbe felici? No! Ma toglierebbe una causa di infelicità. Nel mio caso, se avessi gambe più salde, avendole in passato esercitate, non mi sorgerebbe ansia a scendere e salire scale in una abitazione di collina senza possibilità di ausilio. Piccole incombenze. Ma ve ne sono do schiantanti.CORPOMENTE. UNO.
Ore 22. Cominciano le lamentazioni del mio prossimo di stanza, quella voce stridula di bambino disperato. Chissà , forse un grido del tempo quando chiamava la madre. Del resto, io pure in questi giorni ho sognato mia madre. Chissà, malati, torniamo sotto la protezione di chi ci amò e amammo, , la madre.
Finalmente lo ripuliscono, credo non sopporti urina e escrementi, e grida o piagnucola davvero come un bambino. Si è placato, e la notte non ha avuto successive agitazioni.
Io dormo e non dormo, tutto mi è scomodo in questo letto, tuttavia riposabile. E la luce nel corridoio che mi disturba, ho necessità di buio netto. I piedi battono la sponda, ed anche questo cresce i fastidi. Guardo l’ora ossessivamente, e giungo al momento peggiore, le ore dell’alba iniziata appena, un silenzio deserto, mi sembro il solo vivente, il mio prossimo di stanza dorme murato, bocca spalancata, in tempi successivi emetterà come un canticchio minimo, ma forse è il modo di fiatare., Deserto silenzioso, dicevo, mi credo l’unico vivente, un tremore di solitudine mi raggiunge nella mente, davvero l’uomo è una bestia solitaria, cosciente di essere trafitto dal suo io, unico, mortale, tutto mi sembra inesistente, proprio come se esistessi soltanto io, e la mia solitudine, il corridoi lucente spazia il vuoto, ho bisogno del mattino, di qualche voce, di passi, penso che scriverò quanto sento in questi momenti però mi appare inutile, scrivere di non vivere non è vivere. M dov’è la vita, che fare per sentirmi, credermi vivente? Questa irruzione nella coscienza della solitine irrimediabile! Ho bisogno di ascoltare voci, rumori, presente, dimenticare me stesso come solo…
Vengono, colazione, un giovanotto ritiene la mia barba incurata e segna la sua tornita. Mi vede scrivere e dichiara che anch’egli vorrebbe segnare la sua vita. Che strano, io immaginavo inutile scrivere.
Viene la dottoressa, si chiama Anna Maria Osso, scurissima di ampia capigliatura diffusa, ecco, mi dice quanto volevo sapere, non ho il diabete. Aggiunge che devo soccorrere l’anemia. E a tale scopo, su di una benda, pillole. Successivamente le chiedo quando potrò andarmene, lunedì, martedì, vi è questo andamento curativo. Parla pochissimo, dice quel che è opportuno dire.
Il vicino di stanza sembra un cadavere, ore a bocca larga, steso, muto. O grida aiuto. O parlicchia. Totalmente nelle sue occorrenze e nella sua evanescenza. Eppure talvolta discorre alle chiamatre, e lungamente. Una variazione tra coscienza ed incoscienza, stranezze della ragione e non ragione. Non può alzarsi, deve essere abituato alla pulizia, i suoi impeti vengono dalle evacuazioni impannolate che non sopporta. Se la tenda di separazione è ritratta lo scorgo avanti a me , sano di pelle rosata, gambe linde, robuste, dignitoso vestimento, eppure sembra un cadavere, la figurazione della morte, invece risorge, lo imboccano, mangia tutto, a mia difformità che non riesco a diventare cliente del ristorante ospedaliero.
Ancora non medicano la gamba. Mi rassegno, mi consegno ancora qualche giorno alle cure ed alla inclusione, alla solitudine, allo stare fuori dal mondo. Altre indagini, credo per la circolazione. Bene. E’ un paradosso. Sono quasi in salute per andare a incontrare chi non vorrei . Che dobbiamo fare se non vivere in salute anche sapendo che ebiteremo la non vita. E che, pensavi di essere eterno? No, ma…