“Il miracolo della gioia nell’ultimo atto della scrittura di Sergio Carlacchiani” – di Guglielmo Peralta

      La poesia, quando è vera, quando c’è, non è mai inattuale (diamo qui, per scontato, che essa è utilissima tralasciando di elencarne le ragioni che sfuggono a chi afferma, superficialmente, la sua ‘inutilità’ per incapacità di vedere oltre il proprio naso ciò che richiede profondità di visione e d’intelletto). Mai come in questo nostro “tempo della povertà” - cito Heidegger, interprete di Hölderlin - in cui i valori sono dissipati e tutto sembra arretrare e precipitare nella barbarie, mai come adesso la poesia è attuale e necessaria (e quindi utile) non perché possa salvarci dalla catastrofe umanitaria, dall’ecatombe atomica allontanando la minaccia di una terza guerra mondiale e nucleare, ma perché essa è, da sempre e nonostante tutto, portatrice e messaggera con le arti, sue ancelle, di tanta umana bellezza, espressa e documentata dalle grandi opere dello spirito, che costituiscono il patrimonio culturale, etico, morale di un popolo. La poesia, pertanto, ha il merito di ‘testimoniare’ la grande spiritualità dell’uomo di tutti i tempi denunciando, al tempo stesso, la follia dell’uomo invaso, conquistato dai mostri generati dal sonno della ragione, corteggiatore della morte e colpevole di deturpare e offendere la natura, di dissipare nel culto del potere, nell’indifferenza, nella mercificazione, nel consumismo, nella mancata accoglienza dell’altro, tanta ricchezza interiore.

      A Sergio Carlacchiani, uomo sensibile, di animo nobile, amante della giustizia, della lealtà, della sincerità, nonché poeta ‘navigato’, che della poesia ha fatto e fa la sua ragione di vita, il mezzo privilegiato della sua ricerca di conoscenza sempre ulteriore, che gli consente di esprimere il sentimento del bello inscindibile dal bene e dal vero, e che può dare senso al nostro esserci, non poteva sfuggire questa essenziale funzione della poesia: di essere il testamento spirituale di ogni poeta e, dunque, anche il suo lascito importante, la testimonianza di un’intera esistenza accompagnata in ogni gesto, in ogni parola, dal monologo-dialogo con l’invisibile: fondamento veritativo della scrittura, in grado di differire l’evento della morte. Perché l’Invisibile è l’essere che, in quanto dimora nel linguaggio della poesia, ne custodisce la bellezza che magnifica la vita, la quale non si può estinguere finché l’opera non è compiuta. Il “testamento” necessita dell’identità definitiva, della conquista della vita autentica degna di essere consegnata alla posterità. Se per il nostro poeta scrivere, fare poesia è conservare, salvare la memoria culturale, il patrimonio collettivo di conoscenze su cui si fonda l’identità di una società, di una nazione, allora più delle denunce, delle sfide e delle lotte contro l’irrazionalità e le miserie umane vale ‘testimoniare’ con la bellezza la grandezza di un’umanità non del tutto dispersa, capace ancora di elevarsi spiritualmente.

      Molti sono i temi trattati in questa silloge che comprende poesie pensieri epigrammi. Su tutti prevale l’amore nelle sue varie forme e dimensioni; esso si coniuga con la morte, specie quella che ci è data con le violenze e le guerre e perciò non viene mai meno nel nostro poeta la speranza nella salvezza, contro la “follia omicida”, qui rappresentata nella tragica attualità della guerra in Ucraina.

E attuale è “Il passato che ricorre sotto mentite spoglie / è un passato che non se ne vuole andare / ogni guerra è un crimine il primo crimine”. Dolore, rabbia, sconforto percepiamo in questa considerazione amara ma vera di Carlacchiani, e cioè  di un presente che si fa memoria: non dell’età felice (che è un topos ricorrente in molti poeti), ma del tragico destino dell’uomo, di essere ‘lupo all’uomo’, o, per dirla con Quasimodo, «ancora quello della pietra e della fionda». A smorzare una così grande amarezza è la leggerezza, unita alla speranza, del canto consolatorio e liberatorio dell’anima, oppressa dal ricordo di tante croci, dall’infinita semina di morti a causa della guerra.  Si chiede, infatti, il Poeta: “Un canto scarcerante ci farà riprendere dallo sfacelo? / Cimitero sarà la memoria ma l’anima andrà in vacanza / verso la gloriosa liberazione dei cieli e degli spazi aerei”. Potenza, dunque, della poesia, quando si fa canto, è sgombrare il cuore dalla notte, dall’insopportabile lutto, e di essere divina compagna dell’anima quando questa, separata dal corpo, migrerà verso le alture celesti, che raccontano la gloria di Dio, il quale resta absconditus, indifferente al dolore dell’uomo, dei suoi figli, con il cuore “sfregiato”, “cecato” dal “missile” dell’odio, del male invincibile. (“Dio dove sei tu? Che stai facendo? / Non guardi il male? Ti sta strappando i figli che hai creato / Padre Nostro sfregiato quale missile ti ha cecato il cuore”).

      L’assenza di Dio, quando non è espressa esplicitamente, si fa presenza in ‘filigrana’ rivelandosi nella  ricerca di Carlacchiani attorno al mistero dell’Essenza divina. La sua ‘solitudine’ è trovarsi di fronte a questo mistero, che la poesia gli rende ‘compagno’ e dal quale procede il suo interrogarsi sul senso della vita, sulle varie questioni che minano, cor-rodono, depauperano l’anima dei singoli individui, alla quale bisogna rendere la nobiltà e la grandezza che le sono proprie. Perché ne va del senso dell’essere e dell’esserci, che non può essere distaccato dalla vita di relazione col prossimo, se si è e si vuole essere parte attiva del consesso sociale e politico. Esserci è, per il nostro poeta,  vivere di bellezza e d’amore, che solo possono fare del dolore “forgiante punto spirituale di partenza” e rendere all’uomo l’umanità perduta, annientata dall’ampio spettro della violenza culminante nella guerra.  La poesia, allora, torna utile perché, rispetto a tutte le altre discipline e forme di conoscenza, ha il primato nella ricerca del bello e del bene, che ne contraddistinguono la natura e che essa può rendere pratica di vita avendo con quest’ultima un legame indissolubile, quale è riscontrabile ed evidente in Carlacchiani. Qui il “testamento” ha il suo valore etico ed estetico; perché la poesia esce dalla “radiosa solitudine” del Nostro e si fa verso per gli “uomini di buona volontà”, per ‘esplodere’ nel loro cuore e imprimervi la gioia. Ed è questo il dono che l’uomo Carlacchiani - il Poeta per vocazione e devoto alla vita, a questo nostro mondo, tanto da volerci restare qualora gli fosse concesso di ritornarvi dopo essere stato in paradiso - vuole lasciare a futura memoria. “Se prima di morire scriverò un libro di poesie / dal titolo GIOIA avrò compiuto un miracolo!”. E allora, solo allora la scrittura avrà fine e la morte non sarà più differita.

 

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