Intervento di Ciro Spataro in occasione della presentazione del libro di Stefano Lo Cicero “Attracchi” (Ed. Thule)

 
Ho conosciuto Stefano Lo Cicero tanti anni fa, circa 40 anni fa, quando veniva con l’inseparabile “ Lilli Del Bosco “ al premio Marineo e proprio nel 1996 ottenne il secondo premio, per la poesia edita in lingua siciliana con la raccolta “ Spiragghi di lustru“ edita da Renzo Mazzone per i tipi della Ila Palma. Ma la sua affermazione la ebbe nel 1999 quando vinse Il Primo Premio con la silloge di poesie “ Cuda di dragu” pubblicata dalla casa editrice Thule, e mi sembra opportuno leggere la motivazione predisposta dal Prof. Pietro Mazzamuto e condivisa da tutta la giuria che fa comprendere appieno l’importanza della raccolta: “il ritmo lirico di Stefano Lo Cicero è decisamente simbolico e metaforico sino agli estremi di un ermetismo sano e fecondo, perché tutto il suo paesaggio tematico, fatto di assenze, di attese e di trame esistenziali e storiche, spicca come strumento di verità e di sapienza coscienziale, ma si impone sul piano letterario per la straordinaria fluidità stilistica e per l’ottimo montaggio della scrittura”; e poi nel 2014 è nella rosa di cinque finalisti al premio della quarantesima edizione con la raccolta inedita in lingua siciliana “Mutivi”.
 
Ecco la prima cosa che devo dire sulla raccolta di Stefano Lo Cicero riguarda l’autenticità di versi scaturiti dentro la realtà linguistica della nostra terra, una realtà concreta in cui palpita il vissuto del poeta, novantenne, che “ gnutticannu linzola, nte me anni m’addugnu, ca nto lemmu di lu cori, hai mpastatu tuttu chiddu, can un haju saputu fari”. È una bellissima confessione che ci fa comprendere il grado di maturità, di autocoscienza cui è pervenuto Stefano, alle soglie del novantesimo anno, con un messaggio forte per tutti: l’uomo su questa terra ha la possibilità di cominciare a capire quando le cose vanno male e dunque, “senza minzogni né pintimentu”, non dobbiamo mai cedere alla rassegnazione perché dentro di noi abbiamo delle capacità interiori per affrontare i problemi che via via si presentano.
Stefano è un vulcano attivo perché pubblicherà a breve due sillogi una in lingua e l’altra di aforismi ed è sempre presente negli eventi culturali che si tengono nella nostra provincia.
 
“ Si putissimu sapiru cu semu
Sintissimu lu suli cchiù caudu
Quadiari li nostri cuscenzi
E cu la vogghia di arrinesciri
Tinennuni pi manu
Attraccassimu sicuri
Unni lu cori si putissi ritruvari”
 
In questo senso Stefano, con una concisione quasi ungarettiana, recupera i veri valori della vita, quelli degni di essere vissuti : diciamolo chiaramente, spesso nelle nostre città, nella nostra città di Palermo, ci sentiamo asociali, quasi anonimi, disinteressati uno dell’altro e da allora dobbiamo tornare a risentire l’etica della solidarietà, “sintissimu lu suli cchiù caudu quadiari li nostri cuscenzi”.
I temi prevalenti di questa raccolta sono quelli legati al senso ultimo del destino dell’uomo, ma “cantu l’ultima canzuna cu tuttu u ciatu ca mi resta”, una risposta come antidoto al pessimismo, un invito a cantare sempre la canzone della vita con tutta la forza che abbiamo.
Ecco quello che mi avvince in questo libro è proprio il motivo della resilienza, una persona Stefano che riesce a dare un nuovo senso alla propria vita credendo in se stesso in modo da vivere e sperimentare sempre nuove emozioni.
La caratteristica fondamentale della poetica di Stefano Lo Cicero è quella di scavare fra gli aspetti essenziali dell’esistenza umana da quelli dell’amore fino a quelli che toccano le domande basilari della vita.
In tal senso nella lirica “essiri ventu” si avverte tutta la freschezza del linguaggio dialettale che ti trascina nel vortice dell’amore:
vulissi essiri ventu
pi ntrufuliarimi unni
gilusa, teni li tisori
pi sentiri trimari li to carni
scuncicati di li me carizzi
e viviri, viviri nni to surgiva
pi saziarimi di tia
tocchiamo con mano l’essenza dell’amore che avviluppa tutto l’essere.
Una poesia vissuta con il cuore, sulla pelle, va assaporata letta e riletta. In questo momento mi viene da pensare a Pablo Neruda, alla sua passione prorompente per la donna cha ha amato:
 
“ mi piaci quando taci perché sei come assente
Sei mia, sei mia, vado gridando nella brezza della sera
Fino a giungere al bacio che mi attende sulla tua bocca.
 
Opera tutta in positivo quella di Stefano Lo Cicero che consegna a tutti noi una poesia maturata lungo un percorso, certamente non piano, ma accidentato, nel quale ogni uomo riconosce i segni sofferti della propria esperienza terrena.
 
Ciro Spataro
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