Maria Cristina Pensovecchio, “Un lembo di speranza” (Ed. Giuseppe Laterza) - di Gery Scalzo

“Viaggiamo come naufraghi, dispersi nel mare immenso dell’indifferenza” recita così, una delle poesie di Maria Cristina Pensovecchio nel suo ultimo libro: “Un Lembo di Speranza” presentato a Palermo nella sede di Palazzo Ziino.
Nella realtà in cui l’umanità diventa un numero, il bisogno individuale di appartenenza al gruppo sminuisce la propria identità affettiva trascinata dalle mode o dal leader di turno. Una sensazione di smarrimento ci assale quando fuori dal gruppo si percepisce di vivere in un mondo circondato dall’indifferenza.
L’artista è un’isola nell’isola ma la sua voglia di superare qualsiasi ostacolo riesce a sublimare la condizione aberrante di questa civiltà spesso senza anima per navigare con i suoi versi alla ricerca di una dimensione più intima, dove il vento trascina i sentimenti verso una natura amica, che nulla chiede in cambio, se non di essere amata.
Un sottile dualismo affiora nei suoi versi, sottolineando la presenza dell’essere che si dibatte tra una natura dolce ed accondiscendente e il bisogno di scavare nella propria anima per trovare le ragioni dell’esistenza, forse per addolcire il silenzio e la paura dell’ineluttabile.
Ma la cruda realtà vuole la sua preda e lo sconforto si traduce in metafore, nuvole passeggere che si placano solo quando le parole trovano nella poesia la dolce musica che appartiene al sussurro della natura, al suono dei grilli, il cinguettio degli uccelli, il rumore del mare, il respiro dell’uomo, che apre alla catarsi il bisogno di esprimersi. E dai silenzi e dalla solitudine interiore, l’autrice attraverso i suoi versi crea una profonda empatia, una sinestesia tra la natura e l’uomo, attraverso il recupero dei ricordi gioiosi della fanciullezza, gli angoli della casa natia, la gioia per gli affetti più cari, lo scorrere del tempo, le stagioni spensierate della giovinezza, il profumo della zagara e del gelsomino, il bisogno di identificarsi con la propria terra.

Tra i versi, parabole d’aria disegnano il percorso del volo incantato di una farfalla, la sua bellezza e il rammarico per sua breve esistenza ma a tanta bellezza si contrappone la cecità del mondo che si affanna, non considerando che l’abisso del non ritorno si avvicina ineluttabilmente. Purtroppo l’uomo continua ad essere ancora quello della pietra e della fionda, incapace di gioire per tutto ciò che gli è stato donato, dalle piccole cose, ai gesti d’amore.
Ma cosa può fare l’artista se non mettere in guardia il mondo con i sui versi, con le immagini per far comprendere che l’umanità può ancora trovare una via di scampo, che può esserci ancora un “lembo di speranza”, un porto sicuro su cui riflettere?
L’autrice riesce a sublimare questo disagio emotivo calandosi nel mare dell’introspezione, per trovare un suggerimento, una via d’uscita per questa umanità lacerata ed offesa.
Tra i versi, le sensazioni positive cercano di riemergere, le parole si perdono e riaffiorano tra i flutti come le speranze. Sulla cresta delle onde, il continuo cullarsi accende ad improvvise ribellioni, versi di speranza, dove le gocce si abbracciano così come le sillabe delle parole, per avere la forza di evitare le correnti contrarie, per cavalcare insieme la risacca e riposare su un lembo di terra, in attesa di una nuova alba.
Questa è la speranza che Maria Cristina Pensovecchio auspica affinché l’umanità possa trovare una spiaggia dove possa abbracciarsi in nome della pace e dell’amore, per godere del respiro del mare e del dono di una natura amica e compagna di vita .

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